Il canto del ghiottone
Logan, ultimo capitolo della saga cinematografica di Wolverine, interpretato in un mondo di reboot e recast all’ordine del giorno sempre da Hugh Jackman, diretto da James Mangold… è arrivato. Noi di Stay Nerd lo abbiamo visto e ci apprestiamo a recensirlo per voi. Non sarà facile, ma state tranquilli, lo faremo senza spoilerare alcunché sulla trama.
Il film, appare evidente da subito, ha un taglio molto più dichiaratamente adulto, così come, di conseguenza, sarà il suo rating. Al di là delle voci che danno questa scelta come figlia del successo dell’altrettanto “adulto” Deadpool, essa è comunque coerente con un film che racconta l’epilogo di una storia dalle tinte scure del crepuscolo, una fine ambientata in un mondo (volutamente non precisato, “a parte”, per non fare altre danni alle già ingarbugliate storyline del cinema mutante) già di per sé in declino. Quindi vedrete un sacco di sangue uscire da parti piuttosto sensibili del corpo umano, e la sensazione sarà quella giusta. I combattimenti, sebbene tendano verso la fine a ripetersi un po’, hanno decisamente il sapore che dovrebbero.
La regia di Mangold fa il suo discreto lavoro. Niente di eccelso, e forse a una pellicola che così tante volte ricerca l’emozione dello spettatore (talvolta riuscendoci bene, altre volte meno, ma su questo torniamo tra un attimo) si sarebbe potuto chiedere qualcosa in più in cabina di direzione. Non che si possa davvero imputare gravi mancanze al regista, ma tranne qualche scena, al “senza infamia” del suo voto corrisponde anche un timido “senza lode”. Qui e là si poteva fare di più, e in alcuni frangenti si percepiscono piccoli singhiozzi del montaggio. Ma, beninteso, tutte inezie. I gran bei combattimenti basterebbero a compensare tutto. Ma c’è dell’altro…
Come abbiamo anticipato, Logan è una storia d’addio sotto tanti punti di vista. Anche Hugh Jackman ha dato il suo addio al personaggio dopo… anni, che non conteremo per non sentirci vecchi dato che con lui come Wolverine ci siamo davvero cresciuti. I mutanti sembrano sull’orlo dell’estinzione (di nuovo!), e di sicuro sono messi all’angolo da un mondo che li ostracizza con violenza, razzismo e morte (di nuovo!). In questo contesto nasce una nuova speranza, giovane quanto forte e disposta a combattere. Il suo nome è Laura e, anzi, combattere è la prima e sola cosa che ha imparato. Come Wolverine, neanche si sogna di vivere in un mondo dove non dovrà più farlo, e starà proprio al vecchio Logan insegnarle a sognare quel mondo. A combattere per esso, dovunque sia.
Questo ci introduce al nutrito ed efficace cast, capitanato dal già citato Hugh, sempre in forma e in parte come l’X-man con lo scheletro d’adamantio e il fattore di guarigione (con qualche problemuccio). C’è poi un Patrick Stewart ispirato e emozionante, a fare un Professor X sulla soglia della malattia neurologica, che se capita a un telepate della sua potenza può creare più di qualche grattacapo. E poi c’è Dafne Keen, la piccola X-23, alias di Laura Kinney, nei fumetti divenuta da poco la nuovissima Wolverine (parallelamente alla presenza, guarda un po’, di Vecchio Logan). La giovane attrice fornisce una buona prima prova come bambina senza passato, senza casa, ma con gli stessi bisogni di un suo qualunque coetaneo. Certo è che, cresciuta in gabbia e addestrata come soldato dalla nascita, quei bisogni li esprime spesso e volentieri con la forza, e quella non le manca affatto. E non le mancano nemmeno gli artigli. Né le mosse. Insomma… la vedrete.
Gli altri elementi del cast, beh, non sono altrettanto incisivi, forse più per le parti che rivestono che per le proprie doti, comunque percepibili. Si ha la sensazione che almeno un co-protagonista e un co-antagonista avrebbero potuto dare molto di più, invece fanno poco. Il sintomo più grave di questa tendenza è, tristemente, la sindrome da film Marvel del villain debole. Anche Logan ne soffre, lasciando inter-cambiarsi a schermo un mucchio di soldatoni cattivi, uno stronzetto più carismatico della media, un tipo tutto muscoli e uno scienziato visionario. Tutta roba già vista, che avrebbe meritato un approfondimento più sviluppato e concentrato in uno solo dei suoi aspetti.
Questo si unisce a una parte finale del film che, contrariamente a quanto ben costruito nella prima metà, fallisce nel raccogliere il seminato delle proprie emozioni. Potrebbe essere a causa della citata opposizione poco convincente ai nostri eroi, o alla mancanza di fondamentali sorprese, o a un rallentamento un pizzico troppo accentuato del ritmo, o all’entrata in gioco troppo rapida di nuovi elementi, o all’uscita di scena di altri. Insomma, il finale potrebbe capitalizzare molto più di quello che fa, e quello che capitalizza avrebbe potuto farlo meglio. Spiace, per una pellicola che, tutto sommato, sulle emozioni punta forte e qualcosina riscuote pure, ma non il premio cui ambiva e che, dai primi minuti, sembrava poter agguantare coi propri artigli insanguinati.
Verdetto
Logan è una promessa mantenuta a metà. Si tratta di un film diverso dai precedenti, più ispirato, più sentito, dall’atmosfera malinconica e crepuscolare che sa d’addio. Un addio sporco di tanto sangue, gettato scazzottata dopo scazzottata, a base di forza e fomento. È un vero peccato che le tante emozioni coltivate con pazienza, da inizio a metà del film, fruttino poi poco nella seconda parte, che si serve di espedienti narrativi facili, a partire da una banda di villain davvero poco ispirata. Pertanto, scena finale a parte, netta eco delle emozioni che il film poteva dare, rimane la sensazione che questo vecchio Wolverine potesse regalarci di più. Non che ci dia poco, è una pellicola che, nel suo genere, non va ignorata né sottovalutata. Ma, forse per la malinconia che ci assale già, avremmo desiderato da questo Logan la perfezione. Sarà per un altro Logan.