Tra grosse banalità e appaganti scelte visive, Lost Ember ci accompagna in un viaggio dal valore conservatore e reazionario.
Prendete la più banale delle storie, aggiungete un pizzico di retorica e condite il tutto con abbondanti scenografie dall’impatto scontato ma efficace, e otterrete in sintesi il valore complessivo di Lost Ember.
L’opera di Mooneye, al primo videogioco prodotto dopo una gloriosa campagna di Kickstarter, non riesce infatti a esprimere al meglio quello che appare un obiettivo abbastanza evidente e marcato, ossia un riavvicinamento sensoriale ed emotivo nei confronti del regno animale, finendo per renderlo mero mezzo esplorativo per una storia esclusivamente umana.
Inoltre, come se non bastasse, il ruolo del racconto in Lost Ember è spesso patetico, funzionale al voler forzare emozioni e stati d’animo, con un’esposizione narrativa spesso estrema ed eccessiva, che sembra cercare in tutti i modi di innescare qualcosa in chi gioca.
Infine, il portato valoriale del racconto appare estremo e incredibilmente reazionario, approcciandosi al tema della rivoluzione contro il potere schiavizzante e totalizzante dell’Impero come a un errore macroscopico e imperdonabile, in virtù delle vite perse nel processo. Vediamo il tutto più a fondo. Lo studio tedesco ha deciso di costruire un’esperienza evidentemente ispirata alle culture e alle tradizioni del Sud America, spesso caratterizzate da una sensibilità verso il regno animale e ultraterreno particolarmente marcata. Ecco dunque che ci ritroviamo nei panni di una lupa, che dovrà accompagnare uno spirito umano, nella forma di una luce parlante che ricorda lo Spettro di Destiny, verso l’aldilà, nella Città delle Luci.
Questa lupa altro non è che un altro tipo di spirito umano, reincarnatosi nel corpo di una animale selvatico perché ha commesso degli atti imperdonabili dagli dei, che hanno impedito anche a lei di accedere alla Città. Nel percorso di redenzione e scoperta del suo passato, potrà saltare di animale in animale per superare i vari livelli del gioco.
L’approccio alla natura è dunque utilitaristico, in Lost Ember, a tratti persino grottesco nella sua messa in scena: le talpe servono solo quando bisogna scavare, gli uccelli solo per superare i baratri più profondi, e le capre montane funzionano solo per arrampicarci sui pendii più ripidi, ma poi vengono lasciate lì, abbandonate al loro destino in pinnacoli da cui non è più possibile tornare indietro, mentre noi passiamo a un altro animale, un altro mezzo da usare.
Sì, nei brevi momenti di esplorazione in aree aperte è piacevole poter gestire alcuni di questi esseri magnifici, e ovviamente la lupa, protagonista del gioco, si avvantaggia anche di un numero di animazioni e di spazi molto grande, ed è liberatorio correre a perdifiato tra colline, boschi e vallate, facendo svolazzare le lucciole e disperdendo nell’aria i denti di leone.
Tolte però queste rare seppur potenti sequenze, gli animali si confermano meri strumenti nella progressione, mezzi con cui ottenere i risultati ricercati dal racconto: il fatto che gli dei stessi puniscano gli impuri con la trasformazione in animali la dice lunga, anche sull’errata interpretazione delle culture native americane (quella Inca nello specifico) da parte dello studio tedesco. Come se non bastasse, il racconto di Lost Ember sfrutta meccanismi forzati ed estremamente invadenti dal punto di vista dell’esposizione. Situazioni già perfettamente comprensibili vengono ulteriormente illustrate da dialoghi espressi con voci rotte dal pianto, e ogni angolo delle pur piccole mappe viene edulcorato da scene repentine e immediate di morte e solitudine, cercando subitanee reazioni emotive del giocatore, che invece rischia di esserne quasi infastidito, data l’evidente e pacchiana ricerca di risposte da parte degli sviluppatori.
Inoltre, il racconto in sé mette in scena una storia di tradimento e ribellione, legittimata dalla schiavitù e dagli abusi dei più potenti, eppure la colpa di chi ha sacrificato tutto per la salvezza di molti viene costantemente sottolineata, diventa il mezzo stesso che limita l’accesso alla salvezza della nostra eroina, e mette in buona luce chi sfrutta e umilia deboli e indifesi.
Un racconto reazionario, il cui valore diventa ancora più incomprensibile se lo associamo al contesto culturale imitato dal gioco, che è stato spazzato via proprio dall’arrivo di imperi e conquistatori d’oltremare. D’altronde, è quantomeno coerente con quanto espresso dalle meccaniche, che pongono l’uomo in posizione dominante sulla natura e su ciò che lo circonda, in funzione delle sue necessità.
Ma, in fondo, in Lost Ember si usano gli animali carini e teneri. Si corre in giro nei panni di un lupo, che altro ci serve?