Rilasciata su Netflix la prima parte (cinque puntate) di Lupin, una serie con un ottimo Omar Sy ma con poca creatività
Il fascino di Lupin ha una duplice natura nel nuovo prodotto Netflix (di cui abbiamo visto la prima parte): quella del suo ideatore George Kay, che porta le avventure scritte da Maurice Leblanc a un alto livello di aspirazione, e quella del suo protagonista Assane Diop, che non rappresenta il ladro gentiluomo tratteggiato dalla fantasia dello scrittore francese, ma ne è ammiratore, emulatore, discendente ideale per linea diretta.
Il concetto alla base della nuova serie Netflix è infatti non quello di una correlazione parentale o, ancor più, identificativa con il personaggio nato agli inizi del Novecento. Non è la derivazione di quel Lupin III figlio del mangaka Monkey Punch che, forse più di tutti, ha raggiunto il più popolare impatto nella storia della diffusione e idolatria per l’inafferrabile truffaldino.
La serie originale Lupin è la fascinazione per un personaggio letterario che ha significato per il protagonista degli eventi Netflix la svolta nella propria vita, la risoluzione di un’ingiustizia subita anni prima e che, finalmente, ha l’occasione di sistemare. Se Monkey Punch creava un collegamento famigliare tra il suo Lupin e quello dell’immaginario della letteratura, l’operazione narrativa della serie lavora di ammirazione e di influenza rispetto a ciò che, nella nostra vita, può condizionare scelte, obiettivi e, in questo caso, professioni.
La natura criminale di Assane, sempre dettata da una galanteria e da un rispetto che fanno l’etica esperta e sempre umana del suo protagonista, è infatti semplicemente ispirazione per una passione del passato, nonché attaccamento a un genitore che regalava al proprio figlio un libro su Arsenio Lupin da leggere e di cui scoprire, nel tempo, gli indizi posti in segreto.
La fascinazione di Lupin per il suo protagonista… Ma per il pubblico?
Diventare ladro e criminale è dunque soluzione ad un problema stesso a cui, finalmente, il personaggio di Assane Dion potrà porre rimedio, impersonato da un Omar Sy che, da diverso tempo a questa parte, interpreta un ruolo completamente attinente al proprio spirito malizioso e affine a una goliardia attoriale che gli appartiene.
Vero ruolo indicativo da diverso tempo per l’interprete francese, che torna protagonista assai aderente ai contorni del personaggio descritto e riportato con adeguatezza, purtroppo però perno di una storia che, seppur in grado di intrattenere senza particolari problematiche, finisce per adagiarsi puntata dopo puntata perdendo qualsiasi appiglio o tono.
Se i trucchetti e le strategie adoperate dall’apprendista di Arsenio Lupin rimangono sempre intriganti e altamente avvincenti nel momento in cui vengono dispiegati dopo essere stati messi in atto, è l’atmosfera semi immobile a non giovare al luccichio della scintilla del suo protagonista, che nello stesso Sy mostra il tentativo di farsi più trascinante possibile, ma deve sottostare ad una flemmaticità del ritmo che difficilmente permette alla serie di carburare.
Conseguenza che si riversa, dunque, sugli escamotage e sulle astute trovate che non vedremmo l’ora di osservare nella messa in opera del nostro Assane, ma che perdono di grinta troppo presto, con troppa facilità, come se bastasse solamente il dispiegarsi dei piani messi in atto dal ladro gentiluomo, senza che ci si impegnasse in un coinvolgimento o in una fiamma di inventiva anche per il loro contorno.
Lupin e quella prima parte della serie Netflix
Tenore che la serie Netflix assume nella propria totalità se si va notando la consuetudine dei movimenti di macchina che non tendono, in riferimento alla regia, ad aumentare o sostenere un carattere accattivante per le dinamiche del racconto di Lupin, e che vengono accentuate dalla fotografia smorzata nei colori di una Parigi grigia e soffusa, che condizionano le tonalità picaresche che appartengono alla serie.
Una sorta di operazione alla Sherlock, ma molto, molto meno ispirata, con nulla degli inserti conturbanti della regia e del montaggio appartenenti alla serie britannica, oltre all’assenza fondamentale di un vero accenno creativo.
Un’insoddisfazione a cui va contribuendo il solo rilascio delle prime cinque puntate della serie Lupin. Non prima stagione, bensì distribuzione di una sola cinquina di episodi che dovranno, poi, essere integrati da una seconda parte, che se già non si era sicuri di continuare l’intera prima stagione, mette così un ulteriore impedimento dividendo il prodotto in due differenti parti.
Data di diffusione del continuo di Lupin di cui inoltre non si ha, al momento del suo arrivo su Netflix, ancora alcuna notizia, ma di cui sarà difficile attendere con trepidazione la fine visto il risultato bonario, ma scialbo di ben metà serie.