Circondati dalle rovine
700mila copie. Provate ad immaginarvele. Provate a visualizzare una montagna composta da 700mila libri a fumetti disposti uno sopra l’altro. Difficile, eh? Una roba che probabilmente non entrerebbe neanche nel deposito di Zio Paperone. Eppure, secondo le stime di maggio 2017, queste sono le vendite che i titoli di Zerocalcare hanno totalizzato dal 2012 a oggi, quando uscì la Profezia dell’Armadillo in versione technicolor per Bao Publishing.
Sembrano passati decenni, invece sono solo cinque anni. Cinque anni dove è successo praticamente di tutto. Mentre Michele Rech guadagnava lettori a suon di uscite, diventando un fenomeno culturale e di costume, il mercato dei comics da libreria maturava, trasformandosi in uno dei pochi settori dell’editoria costantemente in crescita. Da feticismo per pochi, i graphic novel stanno conquistando le masse e il poeta di Rebbibia è da sempre in prima fila. Un polpo alla gola, Ogni Maledetto lunedì su due, Dodici, Dimentica il mio nome, L’elenco telefonico degli accolli… Titoli su titoli, successi su successi, fino ad arrivare a Kobane Calling, assoluto bestseller che è stato a lungo in cima alle classifiche dei libri più venduti del paese. Un risultato straordinario di cui è difficile valutare il reale impatto perfino adesso, a distanza di un anno e mezzo. E, probabilmente, per capirlo sarà necessario attendere ancora più tempo. Ora, dopo quel successo, arriva Macerie Prime, nuova opera di Zero uscita il 14 novembre 2017.
Ormai Zerocalcare ne ha fatta di strada. Lontani sono i giorni in cui, per campare, doveva lavorare all’aeroporto, in studi di animazione sconclusionati e tradurre i documentari di caccia e pesca. È un autore affermato, forse un fenomeno mediatico e culturale di cui si fatica ancora a vedere il raggio d’azione. Non a caso riceve giornalmente, al ritmo di una ogni 120 secondi, richieste di aiuto e di supporto da parte di organizzazioni umanitarie, campagne di sensibilizzazione, associazioni e “accolli” vari, talmente tanti che è diventato impossibile stare dietro a tutti. In pratica non sa più come raccappezzarsi tra tutti gli impegni e la sua salute mentale è seriamente a rischio. Oltre al danno, si unisce la proverbiale beffa, un mastodontico problema all’orizzonte che contribuisce a rendere la situazione ancora più drammatica: l’amico cinghiale si sposa! Costretto a prendere parte ad un matrimonio, Zero incontrerà molti amici che aveva perso di vista nell’ultimo periodo e scoprirà che tante cose sono cambiate. Alcune in meglio, altre in peggio. Ma per tutti è arrivato il momento di crescere.
Kobane Calling è stata forse la prima opera a raggiungere il grandissimo pubblico e dare definitiva notorietà ad un genere che, da queste parti, era rimasto relegato agli ambienti di nicchia: il graphic journalism. In effetti, nonostante la sua età relativamente recente, in Italia non aveva mai avuto una simile risonanza pur con apparizioni tutt’altro che estemporanee sui giornali e il mirabile impegno di case editrici come Becco Giallo e Coconino.
Kobane Calling ha creato un sconquasso, un terremoto che forse potremmo assorbire completamente solo tra qualche anno, tale da meritare all’uscita la tiratura monstre di centomila esemplari e la distribuzione capillare da un capo all’altro della penisola.
Perché se è vero che negli ultimi anni il fumetto in libreria è stato uno dei pochi settori dell’editoria a crescere costantemente, parte del merito va a Michele Rech e al suo impatto nella società di oggi, alla formula che è riuscito a coniare.
Tutte quelle migliaia di migliaia di copie smerciate sono numeri da capogiro a cui l’industria culturale del belpaese non era più abituata, nel contesto devastante e terrificante della crisi economica e dell’imbarbarimento dei lettori. Nel momento più buio, nonostante l’incomprensione dei media e della cosiddetta “intellighenzia”, il graphic novel ha ridato una linfa vitale ad un’editoria che sembrava destinata all’estinzione.
Per farvi capire di cosa stiamo parlando, molte case editrici che solo pochi anni fa non avevano neanche una linea di narrativa stanno sbarcando in questo campo. Tanto per citarne una, è di poche settimane fa la notizia della creazione dell’etichetta Feltrinelli Comics, curata da Tito Faraci. Il risultato è che le grandi realtà nostrane non possono più schifare il fumetto come facevamo un tempo. Si tratta di una rivoluzione in continua espansione che ha in Zerocalcare uno dei suoi maggiori trascinatori.
E c’è un motivo se Michele è riuscito a scalare simili vette. Oltre al linguaggio, alle storie raccontate, alle trovate grafiche, alle citazioni, Zero è l’unico che riesce a parlare a quella fascia che teoricamente dovrebbe essere il futuro ma a cui la società italiana ha voltato le spalle: i giovani. Per quanto se ne faccia un gran parlare, tra politiche del lavoro, sgravi sulle assunzioni, laureati che finiscono ai call center se va bene ed emigrazione, in Italia i “gggiovani” sono una seccatura a cui nessuno ha voglia di dedicare le proprie energie, un problema che c’è ma chissene, sono solo dei fannulloni, dei mangiapane a tradimento, eccetera, eccetera, eccetera.
Una generazione intera lasciata allo sbando, incapace di diventare adulta perché negata del lavoro, impossibilitata a crescere poiché condannata alle precarietà, destinata a diventare vecchia senza aver mai vissuto. Milioni di ragazzi abbandonati a se stessi, senza considerazione, senza peso politico, senza modelli culturali che tentino di comunicare con loro.
In libreria potete trovare centinaia di romanzi con protagonisti il commissario regionale di turno, ovviamente sui quaranta o a ridosso dei cinquanta; le solite storie alla “si stava meglio quando si stava peggio”; saggi sulla politica; il fantasy che ancora viene discriminato ad una roba d’intrattenimento per svitati, ma niente che parli alla gioventù. Anzi, qualcosa c’è, però si tratta sempre di contenuti scritti da adulti. E come può un adulto, una persona nata in un’altra epoca, sperare anche solo per sbaglio di intercettare le nuove generazioni? Non può. Non importa quanto sia bravo, capace e interessante. Non può.
Perfino uno dei pochi film dell’anno passato che hanno cercato di esplorare il fenomeno dei cervelli in fuga, Non è un paese per giovani, per quanto potente e ben girato toppava nel fatto di essere realizzato da registi e sceneggiatori appartenenti ad un’altra epoca. Il fumetto è l’unica cosa che ci riesce ed è anche il solo che ci prova davvero.
Attenzione, però: non quello da edicola, non i bonelliani che da decenni hanno perso il contatto con quel tipo di pubblico, ma i graphic novel che hanno invaso le librerie negli ultimi anni.
Se è pur vero che nel 2016 solo il 40% degli italiani ha comprato e/o letto un libro, secondo i dati AIE del rapporto sulla lettura, nessuno si è preso la briga di aggiungere alla statistica i romanzi grafici adorati dai giovani lettori. Ennesimo specchio di un paese che ha deciso di non considerare mai la sua gioventù neanche nelle statistiche.
Li accusiamo di essere persi dietro ai telefoni, su Facebook, su Youtube, a farsi i selfie, di essere dei rimbambiti digitali quando in realtà lo sono più i quarantenni e cinquantenni che pubblicano le foto dei gattini e dei caffè (o kaffèèè). Soprattutto li accusiamo di non leggere mai. In verità leggono tanto, tantissimo, ma non possiamo certo pretendere che prendano in mano un libro in prosa se evitiamo a priori di realizzarne a loro uso e consumo solo perché siamo convinti che preferiscano gli smartphone a tutto il resto.
Zerocalcare è uno dei pochi che ha deciso di farne il suo pubblico di riferimento fin da subito, frantumando record su record e vendendo centinaia di migliaia di copie.
Non è mai stata una volontà decisa a tavolino, un’idea maturata e messa in atto, bensì l’aspirazione di parlare di sé e del suo mondo, cosa che lo ha portato ad intercettare i suoi contemporanei dialogando con loro da pari a pari. Ed è questo l’unico modo per riuscire a comunicare con i giovani. Giovani che parlano ai giovani. E quando prendi te stesso come centro da cui partire per la tua narrazione, è naturale arrivare poi a descrivere il tempo che passa e l’atto della crescita, tua personale e degli amici che ti stanno intorno. Perché quando diventiamo grandi è tutto il contesto che ci circonda a farlo insieme a noi. Ed è questo il plot che porta alla realizzazione di Macerie Prime: aggiornare e portare avanti il cast di personaggi dei suoi libri, Zero compreso. Sfumatura che avevamo già colto alla fine di Dimentica il mio nome, ma che qui viene ripresa e ampliata fino a coinvolgere l’ambientazione classica dell’armadillo nel suo complesso. Non a caso, più che una storia autobiografica, questo nuovo libro finisce per essere un racconto corale dove Secco, l’amico cinghiale, Sarah, Katja e Giulia Cometti, tutte le figure che avevamo già visto in Un polpo alla Gola e Dodici, sono protagoniste al pari di Zerocalcare, a cui si aggiunge la new entry Deprecabile, il modello paterno.
Ciascuno fa i conti con i risultati raggiunti nella vita adulta rispetto alle aspettative della giovinezza. Chi ha 33 anni e sta ancora dai suoi genitori, chi ha finito per trovare un impiego a cui non avrebbe mai pensato, chi decide di sposarsi e figliare, chi non può perché non ha le possibilità e chi deve fare sopportare una sopraggiunta fama in cui fatica a riconoscersi. E questo fa del microcosmo in evoluzione di Rebibbia uno specchio del paese, della condizione giovanile, di quella generazione perduta dove uno come Michele costituisce una mosca bianca, l’unico che è riuscito ad avere successo, a realizzare qualcosa partendo dalle “macerie prime”, quelle lasciate da chi è venuto prima di noi. Le macerie che sono soprattutto una condizione simbolica, evidenziata dalle sequenze tra sogno e allegoria del disegno, ambientate in una realtà postapocalittica dove si aggirano demoni e mostri. Il tutto evidenziato dallo stile di Zero, che è ormai talmente rodato e funzionale da fare scuola: la rappresentazione di figure immaginifiche e significative, gli intermezzi comici dove si intromette la cultura mainstream e social, l’accostamento di scene metaforiche che spiegano cosa accade nelle sequenze reali della storia, il romanesco, le simbologie, un intero repertorio che abbiamo imparato ad apprezzare negli anni e che, di fatto, non annoia mai.
Questo perché Michele lo gestisce con una tale destrezza da cancellare totalmente i possibili vuoti e spargendo memorabilità in ogni tavola, per un totale di 192 pagine sensazionali. Rispetto a Kobane Calling e i lavori precedenti, in cui la voce dell’autore cercava di commentare e filtrare gli eventi, qui abbiamo un narratore che si discosta quando può per lasciare spazio ai coprotagonisti, soffermandosi sulla loro psicologia e sulla recitazione. Il risultato sono personaggi vivi, tangibili, che parlano e si muovono in un contesto in cui è impossibile non riconoscersi, che per quanto geograficamente inquadrato nel quartiere di Roma finisce per rappresentare l’Italia intera.
La forza di Zero sta proprio qui: parlando di un quartiere riesce a tirare in ballo tutte le realtà simili disseminate in giro per la penisola, i ragazzi che ci vivono e che sono accomunati dalla stessa condizione. Giovani privati del futuro, che si trovano a vivere dove non sembra esserci più spazio per loro e che agiscono senza tempo, incapaci di andare avanti e consapevoli di non poter tornare indietro. Ed è sul tempo che batte particolarmente lo spettro della narrazione.
Non a caso, questo Macerie Prime è la prima parte di una storia più lunga che vedrà la sua conclusione tra sei mesi, tempo che trascorrerà anche nella narrazione. Un esperimento interessante che aumenta il peso temporale sulla storia e sui personaggi, che permette ai lettori di interagire ancora di più con loro e di riconoscersi. Perché il tempo passa per tutti. Anche per i giovani, a cui Zero cerca costantemente di parlare. Ed è l’unico, sul piano della cultura di massa, che lo fa.
Verdetto: