Mahershala Ali, professionalità ed eleganza
Vincere un premio Oscar, checché se ne dica, è tutto fuorché facile.
Ottenerne due in tre anni, come miglior attore non protagonista, lo è ancora meno.
In poco tempo è diventato uno dei più affermati talenti di Hollywood, nonché un’icona del mondo afroamericano e del movimento religioso Ahmadiyya, rubando il cuore di milioni di cinefili in ogni parte del globo, grazie alle sue eccezionali interpretazioni e, soprattutto, alla sua inconfondibile presenza scenica ed eleganza.
Il suo complesso nome all’anagrafe è Mahershalalhashbaz Gilmore, ma tutti quanti lo conoscono come Mahershala Ali, ed è lui l’uomo copertina del momento e del futuro di Hollywood.
“Rapido bottino”, è questo il significato del suo nome, il più lungo di tutta la Bibbia, ma, nonostante il beneaugurante titolo, scelto dai signori Gilmore, Willicia e Philip, la scalata verso il successo di Mahershala è stata lenta, tortuosa, ma comunque progressiva.
Basti pensare che recitazione e cinema non sono sempre stati i sogni del pluri premio Oscar, visto che dopo la scuola decise di iniziare, e terminare con successo, gli studi in Scienze della comunicazione presso il St. Mary’s College.
Ma il richiamo del cinema era troppo forte, soprattutto viste le influenze artistiche del padre ballerino e performer a Broadway, e così, fatta tappa alla New York University, e diplomatosi in recitazione nel 2000, il giovane Gilmore, ha posto il primo mattone della sua carriera, dimostrando sin da subito l’abnegazione che l’ha contraddistinto in questi anni.
Perché è questo il punto fondamentale dello script che va a descrivere la vita di Ali, la sua costanza e la sua umiltà. La capacità di prefissarsi un obiettivo e lavorare senza sosta per raggiungerlo. Certo, il talento deve essere dalla tua parte, ma senza la giusta predisposizione è troppo facile finire nel cesto dei grandi “What if”.
E così, dopo qualche parte in produzioni seriali come 4400, CSY o Lie To Me, la prima e vera chiamata cinematografica arriva da parte di David Fincher, il quale gli dona un ruolo nel pluripremiato Il Curioso Caso di Benjamin Button. Ma questa pellicola rappresenta una falsa speranza per Ali, visto che, seppur un navigato regista come Fincher avesse intravisto in lui del talento, negli anni seguenti faticherà ad arrivare La chiamata definitiva.
Un forte guerrigliero RUF in Predators, il gentile colonnello Boggs in Hunger Games, e un’affascinante interpretazione al fianco di Matthew McConaughey nella pellicola dell’ottimo Gary Ross, Free State of Jones, si susseguono negli anni.
Ma tutto ciò è poco, troppo poco.
L’attore originario di Okland ha bisogno di un ruolo di maggior risalto, qualcosa che metta finalmente in luce il velluto che gli è cucito su misura sin da quando ha messo piede sopra il palco del California Shakespeare Festival.
Mahershala, il quale, nel frattempo, si è convertito all’Islam, seguendo i dettami del movimento Ahamdiyya (branca religiosa riconosciuta in soli 200 paesi del mondo e dichiarata fuorilegge in gran parte del medi oriente per la sua natura pacifista ed egualitaria, a testimonianza della grande spiritualità che pervade il suo animo), prosegue la sua preziosa e silenziosa fioritura.
Nel maestoso giardino di Hollywood, lui resta fermo, in disparte, come una Tsubaki, un fiore di camelia con profumo delicato, un aspetto meraviglioso, ma un’esistenza pacata ed anonima, incapace di risaltare tra una palette vegetale ben più sgargiante ed appariscente.
Però è noto che la bellezza, in fin dei conti, per quanto possa apparire delicata, è destinata a catturare il cuore di qualcuno. Ed è per questo che, nel ruolo di Remy Danton, aiutante di Frank Underwood, in House of Cards, riesce a ritagliarsi il suo meritato spazio. Grazie, paradossalmente, ad uno degli show meno delicati e più “forti” degli ultimi anni, dove anime come Mahershala non sarebbero mai state viste di buon occhio.
La consacrazione cinematografica arriva l’anno dopo aver lasciato lo show, grazie alla pellicola premio Oscar Moonlight, nella quale interpreta Juan, uno spacciatore americano che alterna la vita da criminale con quella da padre adottivo del giovane protagonista Chiron. Un’interpretazione potente, forte, diretta, di un uomo che oscilla tra dannazione e redenzione, centellinata in un minutaggio di appena mezz’ora, capace di folgorare la critica e fargli ricevere il suo primo Oscar, quasi a ricalcare l’impresa di Anne Hathaway nel 2013 con Les Miserables.
Senza alcun dubbio il punto più alto – sino ad ora – della sua carriera, a dimostrazione che il tortuoso cammino intrapreso sedici anni prima tra università, studio, lavoro e piccoli ruoli, ha permesso che il lento fiorire della camelia avvenisse lontano dalla massa, perché mischiarsi con la gente è il sogno di chi non ha idee, e Ali ne ha eccome.
Mahershala, seppur trasudi delicatezza, non arriva subito al cuore delle persone, ma lo accarezza pian piano, abbracciando prima l’anima dello spettatore, grazie alla incredibile bravura, per poi sedersi al suo fianco e rapirlo del tutto.
Le sue interpretazioni sono come un paio di labbra che si sfiorano appena senza baciarsi.
Il bacio, però, arriva, quando meno te lo aspetti.
Appare lì, sullo schermo, sotto la pioggia, nei panni di Don Shirley (Green Book), con gli occhi spalancati, mentre si domanda urlando :”Se non sono abbastanza bianco, e non sono abbastanza nero, e non sono abbastanza uomo, cosa sono?!”, quasi come se stesse ponendo il quesito al suo alter ego artistico Wayne Hays, il “True Detective” pieno di domande e povero di risposte, senza ricevere una soluzione all’enigma.
Sig. Shirley, Detective Hays, e voi tutti quanti, personalmente e presuntuosamente, ritengo di avere una risposta: siete dei predestinati all’immortalità, onorati ed omaggiati dalle incredibili interpretazioni di un eccezionale artista di nome Mahershala Ali, l’uomo che ha messo la propria eleganza al servizio del cinema.