Un walking simulator totalmente fuori di testa targato Finish Line Games
Il panorama dei Walking Simulator diventa sempre più ricco, soprattutto se si va a considerare le varie produzione indie che si possono attualmente trovare sul mercato. Il lavoro di Finish Line Game rientra in questa categoria, anche se sin dalla sua prima apparizione, con i diversi trailer proposti dallo studio, non è mai stato chiaro il contesto del gioco, così come le ambientazioni e il target. Abbiamo visto pannocchie, campi di grano, un orso super-accessoriato, ma non era facile sapere cosa aspettarsi da Maize, un titolo che non ci ha convinti del tutto. Ma andiamo per gradi.
Dormi sepolto in un campo di mais
Appena avviato il gioco, ci troviamo catapultati in un campo di mais, senza sapere chi siamo e da dove veniamo (un fiorino!). Il senso che Maize possa essere un Horror o un Thriller psicologico si fa sempre più forte, mentre ci facciamo strada tra granai e case abbandonate, risolvendo i semplici (e spesso insensati) enigmi presenti nelle varie sezioni. Proprio nelle fasi iniziali, viene fuori la volontà dello studio di raccontare una storia in maniera lineare, senza far perdere ai giocatori il filo della trama, adottando la soluzione di creare un vero e proprio muro tra i vari scenari, anche se tale scelta non è stata proposta nel migliore dei modi. A sbarrarci la strada troveremo spesso delle (odiosissime) scatole arancioni, che scompariranno soltanto dopo aver risolto tutti gli enigmi in una determinata zona. Inizialmente abbiamo pensato che questa soluzione fosse stata introdotta soltanto nelle prime battute, in modo da consentire ai giocatori di entrare nei meccanismi di gioco invece, proseguendo, ci siamo trovati sempre le ricorrenti scatole ad impedirci l’accesso in alcuni luoghi, così da ristringere gli enigmi in un’area ben definita. Dopo qualche minuto passato in giro per i campi di mais e una volta risolti i puzzle della prima ambientazione, abbiamo assistito al primo dialogo del gioco e, in questo frangente, ci siamo trovati di fronte al migliore e al peggiore aspetto di Maize: se da una parte il doppiaggio è riuscito in maniera eccellente, nel menù di gioco non abbiamo trovato il menù relativo alla lingua. Fin qui nessun problema, dato che molte produzioni del genere ci hanno abituati all’assenza di localizzazione (ciao Telltale!), ma quello che è davvero grave è la mancanza di sottotitoli, sia in italiano che in inglese, che inevitabilmente ci ha fatto perdere molte battute del gioco, soprattutto quelle tra le amiche pannocchie, che dialogano in modo veloce e diretto, in alcuni casi con particolari accenti.
Sotto questo aspetto, Maize ha perso davvero tanto, dato si tratta di un’avventura totalmente fuori di testa, con battute che divertono davvero e riportano facilmente alla mente produzioni del calibro di Monkey Island e Deponia. Lasciatici alle spalle i campi di pannocchie, ci ritroveremo in uno strano laboratorio, dove verrà fuori il vero spirito del gioco: una trama che incuriosisce e di cui non vi riveleremo nulla in quanto, come la maggioranza dei walking simulator, è l’aspetto sul quale si focalizza principalmente il gioco, e un umorismo no-sense che riesce sempre a strapparci una risata. La storia di Maize, è raccontata in maniera encomiabile e funziona sotto tutti i punti di vista, approfondita dalle note (soprattutto quelle dei 2 scienziati dietro alle vicende) che troveremo in giro per il mondo di gioco. Gli enigmi proposti, come abbiamo detto in precedenza, sono racchiusi in delle piccole aree e non offrono mai un vero e proprio livello di sfida, nonostante molto spesso ci costringeranno semplicemente a provare delle soluzioni casuali e poco sensate. La presenza delle odiosissime scatole arancioni permette al gioco di non perdere il ritmo, il tutto accompagnato da alcuni dettagli che consentono di individuare facilmente gli oggetti utili al prosieguo dell’avventura ma non neghiamo che avremmo preferito un approccio diverso nel limitare l’accesso agli scenari.
Ad accompagnarci per buona parte nostre “indagini” ci sarà il “simpatico” orsacchiotto russo che abbiamo potuto ammirare in qualche trailer e che, nonostante il suo accento, è uno dei pochi personaggi che non fa pesare l’essenza dei sottotitoli, anche perché passerà la maggior parte del tempo ad insultarci. A differenza di molte titoli indie, Maize si affida all’Unreal Engine che, come abbiamo potuto constatare in più occasioni, può rivelarsi un’arma a doppio taglio: se da un lato abbiamo apprezzato il comparto grafico appagante e ricco di dettagli, nonostante alcune texture poco curate, dall’altro il gioco presenta alcuni problemi di cui soffrono molti giochi basati su tale motore grafico, ovvero qualche raro calo di framerate e alcuni oggetti degli scenari caricati con un certo ritardo. La colonna sonora si sposa benissimo con il gioco e, soprattutto nelle fasi iniziali, aiuta ad avvolgere Maize in quell’alone di mistero che riesce a spiazzare i giocatori, nonostante nelle poche ore necessarie al completamento risulta essere spesso statica e ripetitiva.