Mamoru Hosoda presenta il suo nuovo film Belle
In occasione di Alice nella città 2021 abbiamo avuto modo di partecipare a un incontro ravvicinato con Mamoru Hosoda, regista giapponese che atterra in Italia per presentare il suo ultimo film d’animazione, Belle.
Già passato in anteprima alla scorsa edizione del Festival di Cannes come pellicola fuori concorso, il recente lavoro di Hosoda, che è uno dei punti di riferimento dell’animazione nipponica contemporanea, arriverà nelle sale italiane a partire dal 20 gennaio 2022 grazie alla distribuzione di Anime Factory in sinergia con I Wonder Pictures.
Durante il faccia a faccia durante il quale abbiamo avuto la fortuna di essere ospiti sono emerse diverse riflessioni sulla poetica e le influenze del maestro Hosoda, che ha confermato di trovarsi a suo agio nel mondo del fantastico perché ponte per ripensare anche la realtà: «Spesso si vedono opere dove i personaggi fanno avanti e indietro tra mondo reale e mondo fantasy. Da queste sembra uscire fuori un messaggio che evidenza il mondo di tutti i giorni come brutto e deprimente e un qualcosa dal quale fuggire. Penso che invece il fantastico sia un modo per illuminare gli aspetti più belli della quotidianità, dalla quale tornare cercandone gli aspetti positivi».
E in Belle, altro film di Hosoda che presenta ancora questa dualità parallela tra vita reale e vita virtuale, il regista cerca di trasmettere un senso di fiducia nelle nuove tecnologie, da percepire come strumento di possibile riscatto, di risposta a problemi che rischiano altrimenti di rimanere sommersi. «Internet è spesso descritto come una realtà quasi distopica, con un taglio critico che ricorda per alcuni versi la sfiducia nella modernità che era già proprio di Modern Times di Charlie Chaplin. Quello che tento di fare io è trovare lati positivi da queste esperienze per rivalutare la tecnologia e gli strumenti che questa offre per affrontare le proprie paure, per permettere al proprio ego di affermarsi e arricchirsi anche al di fuori dal virtuale».
L’anime come strumento per raccontare un’esigenza
Hosoda difende anche la scelta, «spesso attaccata», di usare l’anime come forma espressiva per prendere di petto i grandi temi sociali, all’interno della quale ci tiene a integrare le collaborazioni con grandi artisti in grado di leggere la contemporaneità e le sue criticità, come l’architetto Makoto Tanijiri in Mirai e ora Eric Wong in Belle.
L’importante, sottolinea il regista, è che si vada a comprendere come i confini tra i generi siano sempre più sfumati, interconnessi sul piano del cosa dire e non tanto attraverso quale involucro farlo: «Se risaliamo ai tempi di Ozu, fino agli anni ’70 e ’80, le distinzioni di genere cinematografico erano nette e ben delineate. C’era il cinema di serie A e di serie B. Adesso il dialogo tra live motion e animazione è molto più aperto. Penso agli scambi di idee che ho con i miei coetanei e colleghi Kore’ede e Hamaguchi, con i quali discutiamo più sul contenuto delle nostre opere, sulle nostre esigenze di esprimerci piuttosto che la forma con la quale farlo».
Le ispirazioni e gli insegnamenti del passato restano in ogni caso un terreno fondamentale sopra al quale andare a impalcare, ibridandolo, il racconto dell’oggi. Belle, ad esempio, unisce un classico disneyano come La bella e la bestia a un racconto nipponico di inizio novecento. «Sappiamo benissimo come La bella e la bestia abbia origine nella Francia del 18esimo secolo e come questa storia sia stata riproposta nel corso del tempo a seconda delle necessità del contesto in cui veniva ripensata. Oltre all’originale apprezzo molto la versione di Jean Cocteau. […] Belle prende alcuni tratti anche da un’opera simile di Atsushi Nakajima, dove un poeta non riesce a raggiungere i proprio obiettivi e si trasforma in una tigre. Questa storia ci aiuta a conoscere la bestia non come in contrapposizione a la bella, ma come una parte celata, e da scoprire, di noi stessi».
Il tema della famiglia e le piattaforme streaming
Una scoperta del sé che nel cinema di Hosoda avviene anche tramite il ricorrere di un tema come quello della famiglia, come già nei precedenti Wolf Children, The Boy and The Beast e Mirai. Un fil rouge che ha il sapore di qualcosa di cui si sente la mancanza, che il regista svela intendere come una sorta di «legge del contrappasso» che rievoca l’affetto nei confronti dei genitori scomparsi da tempo, il cui amore forse non è stato abbracciato abbastanza e dato per scontato in passato e che ora, attraverso questi film, viene rinnovato e apprezzato tramite gli occhi dell’età adulta.
In chiusura c’è spazio per discutere brevemente anche del sempre maggior proliferare delle piattaforme streaming e della loro massiccia offerta di contenuti: «Penso che le piattaforme abbiano avvicinato molte persone a generi cinematografici che probabilmente, altrimenti, non avrebbero mai approcciato. È anche vero che realtà come Netflix portano l’autore a cedere i proprio diritti sull’opera, facendolo diventare di fatto un mero fornitore di prodotto, cosa che creerà più problemi in futuro. In ogni caso, Belle è un’opera pensata per il grande schermo e vorrei che ognuno decidesse di respirarla al cinema e non su un portable device».