Tra Oz e U, Mamoru Hosoda costruisce il mondo virtuale del nostro domani
etaverso: un parolone che richiama alla mente di gran parte di noi un concetto futuristico, ancora difficile da immaginare nonostante ci siano già all’opera grandi menti per renderlo possibile. Nel frattempo, riceviamo praticamente da sempre alcune sue rappresentazioni nei media e anche l’animazione giapponese non ha potuto esimersi proponendo numerosi esempi, incentrati soprattutto su mondi virtuali videoludici.
Mamoru Hosoda non fa eccezione, tuttavia si distanzia dai videogiochi per proporre ambienti virtuali in cui le persone possano sostanzialmente vivere una vita parallela a quella reale. Dei metaversi, appunto, dove i suoi personaggi si muovono in maniera molto diversa dagli altri frequentatori della rete, per poi trovare una nuova versione di sé stessi anche nella realtà, senza bisogno di alcuna skin.
Un altro te, un’altra vita: il potere dei social come Oz e U
U è il social dove puoi tutti possono crearsi una nuova vita: basta collegarsi la prima volta e si verrà catapultati in un ambiente popolato da miliardi di persone, ciascuna col suo particolare avatar col quale potrà percepire tutto come nel mondo reale. Suzu, la protagonista, in poco tempo e senza averlo assolutamente pianificato, è divenuta famosissima su U col nome di Belle. Nelle sembianze di Belle canta divinamente e ha conquistato l’enorme folla di utenti di U come un’idol, ma nella realtà è una ragazza introversa alle prese con il trauma della perdita della madre.
Come lei, tanti altri trovano un’altra vita in U: esiste una squadra di “giustizieri” che si sono autoproclamati difensori della pace in U; e vi sono, infatti, anche personalità malvage o considerate problematiche, come Ryuu, il Drago. Questi interrompe improvvisamente uno dei concerti di Belle, creando scompiglio e attaccando chiunque lo ostacoli. Belle però comprende subito che Ryuu è in realtà una persona tormentata in cerca d’aiuto e dunque cerca di avvicinarglisi per evitare che subisca l’unveil, cioè la rivelazione della sua identità reale davanti a tutto U.
Uno dei temi principali del nuovo film di Mamoru Hosoda si fa quindi strada fin dalle prime scene: online possiamo crearci tutti una maschera, quella dell’interpretazione di un personaggio ben diverso dalla persona reale, con valori e atteggiamenti certe volte totalmente opposti, è già oggi una pratica consolidata. Questa sorta di doppia personalità è alla portata di tutti, non solo per i due co-protagonisti Belle e Ryuu: anche in Summer Wars, Kenji trova la sua dimensione in Oz, in quanto genio della matematica – e infatti verrà preso di mira da nientemeno che un’intelligenza artificiale!
I personaggi di Hosoda si muovono più facilmente e con più sicurezza di sé nel mondo digitale perché in fondo nativi del periodo in cui si è sviluppato e soprattutto in quanto costretti in una realtà dove è tutto molto difficile da sopportare. A parte gli eventi più grandi di noi, causati da forze maggiori, le giornate possono essere rese intollerabili dalla condizione in cui ci si trova e in Belle troviamo un esempio sia in Suzu, affetta probabilmente da una profonda depressione, sia nel personaggio della “Bestia”, Ryuu, che proprio come nella favola francese nasconde il dolore dietro le sembianze del suo avatar. In entrambi i casi, è la famiglia il fulcro delle sofferenze dei due, altro elemento ricorrente nelle opere di Hosoda – non solo Summer Wars, ma anche il meraviglioso Wolf Children, nel quale la figura materna ha un ruolo ancor più rilevante.
Il potere dei social e del web in generale, quindi, è la possibilità di offrire una sorta di palliativo alle pene esterne. Tutto appare distante se visto attraverso queste lenti e così possiamo osservare gli effetti positivi e negativi che possono insorgere: da un lato, ci si può distinguere più facilmente, ottenere riconoscimento dei nostri talenti e del nostro valore ovunque ci troviamo e chiunque siamo (con un po’ di fortuna nell’arrivare al momento giusto); dall’altro, però, ci si espone a malignità, cattiverie e odio gratuito. In Giappone ci sono state diverse dimostrazioni di ciò, su tutte mi sovviene il caso della povera Hana Kimura, ex partecipante del programma Terrace House.
Questi luoghi, insomma, sono un’arma a doppio taglio che controlla e condiziona le nostre vite, dentro e fuori internet: in Summer Wars ogni sistema elettronico si appoggia a Oz, in Belle invece l’unveil è la macchia che potrebbe distruggere la “seconda vita” che ci si è costruiti per fuggire da quella vera, talvolta troppo dura da sopportare.
Richiami al passato e all’attualità
Anche Belle, quindi, è un film con rimandi alla nostra realtà, quella che stiamo vivendo negli ultimissimi anni e verso la quale sembra ci stiamo avviando con lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate, capaci di farci provare un’esperienza sempre più immersiva del mondo virtuale.
Mamoru Hosoda riesce a rendere benissimo ogni fascinazione di questo mondo, a cominciare dal suo aspetto, così caotico e onirico da ricordare le atmosfere folli di Paprika, il film di un altro grande regista, Satoshi Kon, che tra l’altro ha esplorato anche il mondo idol con il suo Perfect Blue. Le idol sono solo uno dei tanti tipi di personaggi dello spettacolo giapponese e Belle è simile a loro, ricordando in parte anche un’altra vecchia conoscenza come Creamy Mami, alter ego sedicenne di una ragazzina delle elementari.
Secondo Hosoda, in pratica, magia e tecnologia nel corso degli anni si sono sovrapposte, offrendo lo stesso tipo di possibilità di sfuggire in un luogo diverso, dove si possa creare letteralmente la realtà che desideriamo. Se questo sia un bene o meno, sta a ciascuno di noi capirlo.