Super bipolarità

Marvel come se piovesse. E, in effetti, poco ci manca. Questo mese, a conti fatti, abbiamo avuto Thor: Ragnarok, The Punisher e in Italia è finalmente sbarcato il mega evento, per quanto riguarda i fumetti, di Secret Empire, edito da Panini Comics. Per i mondi di fantasia della Casa delle Idee la risonanza mediatica è alle stelle, non da oggi ma già da qualche anno, insieme al successo crescente dell’universo cinematografico. Ma, sottotraccia, nel regno del piccolo schermo, si è fatta avanti una continuity seriale che, a differenza della sua controparte da botteghino, ha avuto poche luci e tante ombre.

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Trascurando il longevo e beneagurante caso di Agents of Shield della ABC (da poco prolungata per la 5 quinta stagione), oltre al già citato Punitore, recentemente sbarcato su Netflix, la piattaforma online più famosa al mondo ci aveva offerto adattamenti sulla carta succosi come Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage, Iron Fist e il crossover metropolitano dei Difensori. Tuttavia, solo alcuni si sono dimostrati meritevoli di attenzione, cosa che ha fatto un po’ vacillare la certezza che i prodotti Marvel fossero facilmente trasponibili in serie tv. Però, quando si tratta di una realtà narrativa così enorme le possibilità di trasposizione sono pressoché infinite e il rischio di trovare la formula giusta è dietro l’angolo. Non a caso, ora ci prova anche Hulu con Marvel’s Runaways, tratta dal celebre comic book di Brian K. Vaughan e Adrian Alphona.

Una ragazza di nome Destiny, scappata di casa in seguito ad un diverbio con i genitori, viene salvata dagli addetti di un culto particolare, chiamato la Chiesa di Gibborim, che promettono di accoglierla tra le loro fila e di occuparsi di lei.

Passano sei mesi. Alex Wilder (Rhenzy Feliz), il figlio di una coppia facoltosa, è un adolescente depresso e solitario. Un giorno, ripensando a due anni prima, decide di ricontattare i vecchi amici di un tempo, con cui non ha più parlato dopo che una tragedia all’interno del loro gruppo ha incrinato definitivamente i rapporti. Ma Nico (Lyrica Okano), Chase (Gregg Sulkin), Gert (Ariela Barer), Karolina (Virginia Gardner) e Molly (Allegra Acosta) ormai non ne vogliono più sapere e sono andati avanti con le proprie vite. Ma una casualità imprevista li porterà a riunirsi a casa di Alex, proprio mentre i loro genitori, da sempre soci in non chiare attività di beneficenza, stanno festeggiando un grande successo…

Se avete mai sentito parlare, o se avete letto Runaways, consideratevi fortunati. Il fumetto, ideato da Brian K. Vaughan e Adrian Alphona, è stato uno dei prodotti di punta del duemila. Certo, col senno di poi sarebbe stato facile prevederne il successo, considerata l’invidiabile fama raggiunta dai due autori, ma all’inizio non era affatto scontato. Anche perché la storia era nata sotto una cattiva stella, dato che all’esordio nel 2003 fu pubblicata all’interno della fallimentare rivista Tsunami, terminata dopo poche uscite. Tuttavia, il buon seguito delle vendite e la lungimiranza della Marvel spinse la dirigenza a riprendere in mano il progetto, che ottenne una testata tutta sua. Il risultato fu un trionfo che, sotto la supervisione di nuovi team creativi, dura tutt’oggi e che ha visto contribuire nomi eccelsi dal calibro di Joss Whedon, Terry Moore e Humberto Ramos. A questo punto, viene da chiedersi perché non si fosse pensato prima ad un adattamento vista l’importanza dell’opera e il calderone sempre ribollente del Marvel Cinematic Universe. In realtà, un tentativo era già stato fatto nel 2008 con la bozza di una pellicola, a cui perfino lo stesso Vaughan aveva lavorato, salvo poi ricadere nel dimenticatoio. Fino ad ora, con la serie prodotta dalla Marvel Television, dagli ABC Signature Studios e Fake Empire Productions, distribuita da Hulu e creata dagli showrunner Josh Schwartz e Stephanie Savage. E i nomi di questi due signori dovrebbero quantomeno farvi drizzare le orecchie. Infatti, entrambi hanno messo le mani in alcuni delle più recenti teen series di fama mondiale, come The O.C. e Gossip Girl. Cosa che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, dell’impronta assolutamente young di questo show, che costituisce un punto di forza e un potenziale limite.

Se dal passaggio alla carta alla televisione c’è una differenza sostanziale dal punto di vista narrativo, ne esiste un’ulteriore quando si passa dai comics di giovani supereroi alle serie per adolescenti. I fumetti hanno un personale modo di affrontare l’argomento gioventù, meccanismi concessi dal medium e dal proprio pubblico di riferimento, che lo mettono al riparo degli stereotipi tipici dei drama che sono sempre in agguato quando si parla di adattamenti. Soprattutto quando abbiamo da una parte un ottimo materiale cartaceo di partenza e, dall’altra, l’interesse a trasporlo in una serie pensata ad uso e consumo delle nuove generazioni, con tutti i vantaggi e gli svantaggi della situazione. Il rischio è di banalizzare l’opera originale e che il passaggio da albo a schermo risulti troppo straniante, così da rendere assurdo e trash quello che sulla carta è divertente e stravagante, in una parola weird. Non a caso, tutto il pilot sembra camminare in mezzo a queste due strade, senza sapere bene in quale riconoscersi. Da un lato abbiamo una storia con un certo mordente e alcuni attori che sembrano particolarmente ispirati, mentre dall’altro si fatica a comprendere dove si voglia andare a parare. La sensazione è che la puntata sia schiacciata tra il tentativo di essere il più fedele possibile al fumetto e la volontà di proporre qualcosa più in linea col teen drama classico. Ci troviamo davanti una difficile coesistenza tra scene tipicamente Marvel, che sui comics sarebbero state fruite senza problemi ma che sullo schermo inevitabilmente stonano, e altre che tanto ricordano le serie alla Dawson Creek e che invece vengono benissimo in televisione. Si strizza l’occhio di qua, si strizza l’occhio di là, si strizza l’occhio alla strizzata d’occhio, si mettono sullo sfondo i riferimenti al mondo dei supereroi dell’universo cinematografico e le relazioni adolescenziali, col risultato che si finisce per non ammiccare veramente a nessuno. Una sorta di super bipolarità impazzita che nasconde le cose buone e le rende molto difficili da vedere. Del resto, è risaputo che gli adolescenti sono lunatici, no?

Anche perché dei pregi ci sono, indubbiamente. C’è la pulita regia di Brett Morgen, il tentativo (finalmente) di un’adesione degna di questo nome ai prodotti Marvel, un cast nutrito, affiatato e corale che risulta per la maggior parte azzeccatissimo. Alcuni attori sembrano del tutto a loro agio nei ruoli e nel look, tanto simile alle loro controparti fumettistiche, riuscendo nell’impresa non facile di riprodurre personaggi tridimensionali, cosa quanto mai ardua in occasione dei teen drama dove la banalizzazione è spesso dietro l’angolo. Ma l’impressione è che, se non riuscirà presto a risolvere la sua ambiguità strutturale, se puntare più sul teen o sul lato super, oppure a coniare una brillante fusione delle due tendenze, tutto sia destinato a naufragare clamorosamente.

Cosa ci è piaciuto?

I personaggi e il giovanissimo team di attori, i costumi, le scenografie e la trama, che riprone nel dettaglio la grandissima saga di Vaughan e Alphona.

Cosa non ci è piaciuto?

La bipolarità congenita della serie, indecisa se essere più un teen drama o una serie di supereroi. Bipolarità che ne uccide la fruizione in più momenti e rende la visione decisamente straniante. Problema che andrà risolto al più presto. Le possibilità c’è e i precedenti illustri pure, basti pensare a Heroes e a Smalville.

Continueremo a guardarla?

Al netto di un pilot lunatico, la serie merita il tempo per decollare ma c’è anche la paura che lo faccia con eccessiva lentezza, perdendosi troppo nei rapporti tra i vari personaggi (che costituiscono il suo aspetto meglio riuscito) lasciando da parte lo sviluppo. L’ideale sarebbe concedergli qualche altra puntata e sperare in meglio.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!