Dall’inferno di L.A. alla Terra dei Sogni.
È il 19 aprile del 1987 quando la storia della televisione americana e mondiale cambia per sempre. Quando una famiglia composta da cinque individui dalla pelle gialla compare per la prima volta in televisione, sconvolgendo le persone che stavano assistendo al Tracey Ullman Show. È la data in cui un autore di appena trentatré anni mostra al mondo la sua più grande creazione. È il giorno in cui il mondo conosce i Simpsons.
Parlare di Matt Groening significa parlare di uno dei più grandi innovatori nella storia della televisione e della satira al mondo. Non a caso è qualcuno considerato tra le menti geniali ancora in vita dei nostri tempi, qualcuno che è stato in grado di scuotere le fondamenta stesse dell’intrattenimento, squarciare con un colpo di rasoio la realtà della vita americana e dare allo spettatore oltre quarant’anni di storie.
Il mio inferno per un divano!
La carriera di Groening sembra in qualche modo ricalcare l’archetipo eroico dello scrittore capace di avere successo partendo dal basso, anzi, dal niente. È il 1977 quando un giovane di appena ventitré anni si trasferisce a Los Angeles dalla sua Portland. L’idea è quella di tanti altri ragazzi della sua generazione dotati di talento artistico: andare nella grande città e sfondare in qualche maniera, trovando il modo di guadagnarsi il pane grazie alla propria arte.
Le cose, tuttavia, non sembrano arridere al giovane. Più volte Groening ha ricordato le difficoltà dei suoi primi diciotto mesi a LA, alle diverse attività svolte in questo periodo per sbarcare il lunario. Lui stesso definirà le sue occupazioni come una “serie di pessimi lavori”, molti dei quali torneranno nelle sue successive creazioni: dal fattorino porta pizze al commesso, fino alla pessima esperienza come ghost writer per le memorie di un produttore di Hollywood ritirato.
Queste esperienze e la vita fatta campando alla giornata ispireranno il suo primo lavoro di successo, Life in Hell, più che un fumetto un vero e proprio magazine che il giovane Matt distribuirà agli amici e venderà a due dollari a copia nei locali in cui svolgeva i suoi lavori. E qui la fortuna inizia a girare. Il personaggio del coniglio Binky e quello della sua compagna Sheba, insieme alla coppia omosessuale Akbar & Jeff, ottengono un successo insperato e si conquistano una nicchia di fan fedelissima.
Nell’estate del 1978 un redattore della rivista per costumi da bagno Wet compra una copia di Life In Hell in uno dei locali dove Groening era solito distribuire il fumetto. Il passo successivo è scontato: la rivista proporrà a Matt di pubblicare Life in Hell sulle sua pagine, sancendo la sua prima vendita professionale di un fumetto. Pochi mesi dopo il Los Angeles Reader acquisterà il fumetto, iniziando a distribuirlo e sancendo il successo della striscia.
Un successo che presto attira l’attenzione di qualcuno anche dalle parti di Hollywood. È il 1985 quando James L. Brooks, fondatore della Gracie Films, contatta Matt Groening per proporgli una trasposizione televisiva di Life in Hell. Ma, strano a dirsi, Matt non è poi così entusiasta all’idea. Sa che si tratta dell’occasione di una vita e che non potrà lasciarsela scappare, ma è troppo affezionato ai personaggi di Binky e Sheba per vederli edulcorati in una trasmissione televisiva.
Così, quando Brooks ha già raggiunto un accordo con FOX per un adattamento della striscia nel Tracey Ullman Show, Matt Groening ribalta il tavolo e concepisce in fretta e furia la sua idea di una famiglia disfunzionale.
Stando a quanto raccontato dallo stesso Groening sarà nell’atrio dello studio di Brooks che prenderanno per la prima volta corpo Homer, Marge, Lisa, Maggie e Bart, personaggi con i nomi dei suoi genitori e delle sue sorelle. Solo il ragazzo, il quale avrebbe dovuto inizialmente chiamarsi come il suo autore, prese una strada diversa. Groening riteneva il nome Matt troppo ovvio e banale, optando quindi per un nome che fossa anche l’anagramma di “brat”, ovvero “monello”.
Gli schizzi realizzati in fretta e furia furono mandati agli studi della FOX, nella speranza che gli animatori potessero sistemarli. Al contrario la scelta fu quella di ricalcare fedelmente quanto disegnato da Matt, col risulto di uno stile grezzo e grottesco, che però si dimostrò efficace. L’ultimo tocco fu la colorazione giallastra dei personaggi. Come dichiarato più avanti dallo sceneggiatore Matt Selman l’idea era quella di giocare un tiro mancino agli spettatori: “Matt sperava che il pubblico si alzasse dalla sedia, chiedendosi perché fossero gialli” spiegherà Selman molti anni dopo “Voleva convincere il pubblico che il televisore fosse guasto”.
Il successo è praticamente immediato. Nonostante il Tracey Ullman Show abbia vita breve (la FOX lo cancellerà dopo la quarta stagione) la famiglia creata da Groeining è ormai conosciuta in tutti gli Stati Uniti. Una fama, quella dei Simpson, che non passa certo inosservata ai piani alti della rete, che decide di dare un posto tutto loro nel proprio palinsesto.
L’idea non fu accolta benissimo da Groening. Passare dal formato delle clip a quello di una storia di trenta minuti sembrava un ostacolo difficile da sormontare, motivo per cui l’autore fece inizialmente qualche resistenza, salvo poi farsi convincere di fronte alla possibilità di mantenere il controllo creativo dei personaggi. In fondo il suo scopo dichiarato era sempre stato creare uno spettacolo che offrisse al pubblico un’alternativa a quella lui definiva “la spazzatura tradizionale” che circolava nell’etere degli States.
FOX è sostituibile, Futurama no.
Il 17 Dicembre 1989 va in onda il primo episodio di quella che sarà una delle serie più longeve della storia, trasmesso in Italia col titolo “Un Natale da cani”.
E subito i Simpson si fecero riconoscere, ricevendo due candidature agli Emmy e creando qualche grattacapo ai censori della FOX, sconvolti per quelli che all’epoca erano argomenti duri da trattare. Nessuno, come Matt Groening prima di allora, aveva mai trattato in quel modo le difficoltà economiche della classe media in un cartone animato, mostrando in maniera così vivida e realistica l’incapacità di un padre medio-borghese di dare un Natale sereno alla propria famiglia.
Non ci volle molto perché lo show, tra la sorpresa di tutti e dello stesso Groening per primo, si trasformasse in un fenomeno globale. La serie riscuoteva successo per la sua satira sottile e crudele della vita dell’uomo medio americano, senza curarsi troppo dell’essere trasmessa da uno dei network più conservatori al mondo.
Gli anni successivi videro una crescita sempre maggiore del fenomeno Simpson. Il pubblico apprezzava il lato corale della serie, trovando spesso un comprimario da amare tra i tanti creati da Groening. Eppure non mancarono momenti di crisi, tra cui i diversi conflitti tra Groening e Sam Simon, con cui il creatore dello show entrò in rotta nel 1993. Anche con Brooks non mancarono gli screzi: rimase famoso quello per il diciottesimo episodio della sesta stagione, “Il film festival di Springfield”, cross-over con la serie “The Critic”, prodotta anch’essa da Brooks. Groening avvertì la realizzazione di questo episodio come una violazione della sua libertà creativa e un tentativo di salvare uno show che stava per essere eclissato proprio dai Simpson. La lite fu tale che l’autore chiese che il proprio nome fosse tolto dall’episodio, arrivando vicini a una rottura con Brooks.
Forse fu anche per questo e il moltiplicarsi di episodi simili che, negli anni successivi, Groening iniziò a concepire un nuovo progetto. Per diversi anni si dedicò alla lettura di libri e sceneggiature di fantascienza, arrivando a realizzare, nel 1999, il suo secondo grande successo televisivo. Stiamo parlando di Futurama.
Il genio creativo di Groening, con la collaborazione di David X. Cohen, riuscì a creare un’altra grandiosa serie, sfruttando a pieno tutta la sua immaginazione e la sua vena satirica. Le avventure di Fry e della “ciurmaglia” della Planet Express andarono in onda a partire dal 28 Marzo del 1999.
La capacità di immaginare un futuro distante, in cui lo spettatore poteva comunque trovare elementi del nostro mondo e provare familiarità nei suoi confronti, uniti con la possibilità di sfruttare oltre mille anni di storia per creare un arazzo satirico della società americana e mondiale, permisero alla show di ottenere un enorme successo di pubblico e di critica. Futurama costituisce per tutti gli spettatori la possibilità di guardare in un futuro certo paradossale, ma di cui è possibile vedere i semi nella realtà quotidiana che circonda gli spettatori. Un modo di fare fantascienza che, pur riprendendone tutti gli archetipi, riesce comunque a mostrarsi innovativo e fresco come non mai, qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che i grandi autori del genere avevano mostrato fino a quel momento.
Forse la satira di Groening non era stata gradita ai piani alti del network di Rupert Murdoch, che cancellò lo show dopo appena quattro stagioni. Tuttavia, di fronte all’immenso successo delle vendite home video, la decisione fu sospesa, consentendo la realizzazione di quattro lungometraggi. Nel frattempo Groening riuscirà comunque a trovare una nuova casa a Futurama, consentendo alla Planet Express di sbarcare su Comedy Central per avere una propria degna conclusione.
Groening non nasconderà mai il proprio affetto per questa serie. Se i Simpson, nel corso degli anni, erano diventati sempre meno qualcosa di suo, entrando a fondo nel meccanismo del network, Futurama rappresenterà per il suo creatore qualcosa di fortemente voluto e per cui aveva combattuto strenuamente. Forse proprio Futurama rappresenta il miglior prodotto dell’immaginazione del proprio autore, con quella sua incredibile capacità di unire a una serie di fantascienza una critica feroce della propria società. In fondo Futurama non è altro che la lucida accettazione del baratro verso cui è diretto il mondo: se dobbiamo cadere, facciamolo con una risata e mettendo alla berlina chi ci sta trascinando nell’abisso.
Nel frattempo le cose non si fermano per Groening. Con i Simpons saldamente tra i programmi di punta di FOX e l’inevitabile distacco dai contenuti e dalla sceneggiatura della serie, l’autore ha la possibilità di dare di nuovo sfogo alla propria immaginazione grazie a Disincanto. Con la fine della prima stagione l’idea è che Matt voglia cercare qualcosa di nuovo per esprimere la propria creatività. Una nuova avventura, in quella terra dei sogni chiamata Dreamland, con lo scopo di poter ancora una volta mettere alla prova se stesso e creare qualcosa capace di entrare a far parte dell’immaginario mondiale.