Le arti marziali solo ultimamente sono riuscite a prendere il sopravvento nelle serie TV, ma la loro origine su schermo ha delle radici molto profonde
È il 1940 quando l’attore del Canton, Lee Hoi–chuen, diventa padre di un bambino che negli anni a seguire avrebbe cambiato per sempre il mondo del cinema, delle arti marziali e delle serie TV. Un bambino, divenuto uomo, che avrebbe creato un mito introno al suo nome e varie leggende collegate alle sue prodezze. Il suo nome era Lee Jun–Fan, ma per tutti quanti noi è e sarà sempre Bruce Lee.
Il talentuoso show man, divenuto il più grande combattente di arti marziali della storia (o così ci piace credere), nella sua troppo breve vita ha collezionato una serie di pellicole memorabili capaci di sdoganare i pregiudizi sull’Oriente, presenti negli Stati Uniti, e affiancare il mito del Kung Fu a quello della Boxe a stelle e strisce.
È il 1971 quando nelle sale approda una pellicola di spessore leggendario: Il Furore della Cina colpisce ancora. Il protagonista, ovviamente, è il titanico Bruce. Il film ottiene il consenso della critica e del botteghino, sbancando record su record. Precisamente è in quel momento che numerosissimi produttori televisivi di Hollywood compresero delle potenzialità di Lee e delle arti marziali trasportate nelle serie TV.
Il primo a cogliere la palla al balzo fu Ed Spielman che, con il contributo del leggendario sceneggiatore Herman Miller (Super Car; McGayver) e proprio di Bruce Lee, realizzò il primo prodotto seriale (vero) di questo genere: Kung Fu.
La serie ebbe come protagonista David Carradine (Kill Bill) e si sviluppò nell’arco di tre stagioni, ottenendo un successo clamoroso per l’epoca. La produzione parlava di un giovane monaco Shaolin, di origine americane che, dopo un viaggio negli USA, intraprende una personale lotta al crimine fondata sulle arti marziali.
Un prodotto molto simile a quelli visti negli Stati Uniti di fine secolo, con il protagonista solitario che riesce a scamparla in qualsiasi situazione grazie a ingegno e abilità, ma Kung Fu aveva qualcosa di più.
Il fenomeno delle arti marziali infatti si è sempre elevato eticamente e spiritualmente rispetto ai più generici sport di combattimento occidentali. Eliminate le narrazioni di contorno, che comunque hanno contribuito a donarci pellicole memorabili come Toro Scatenato o Million Dollar Baby (scusa Rocky), il fighter occidentale ha sempre avuto qualcosa in meno rispetto al combattente orientale. Eroi solitari che vagano per la propria strada alla ricerca di qualcosa che non ci è concesso comprendere. Capaci di lottare contro ogni malvagità.
Resi immortali da combattimenti memorabili all’ultimo sangue.
Ne è una prova comprovata l’approdo delle arti marziali nei comics americani, come in Daredevil, poi magistralmente trasportato sul web da Netflix. La produzione della N rossa, oltre a restare, fino ad oggi, la serie con il miglior combattimento in piano sequenza della storia del piccolo schermo, rappresenta una perla nel genere dei comics.
L’eroe cattolico della Marvel è in costante contrasto con il proprio Io. Una lotta interna che prova a svincolarsi costantemente tra te costrizioni cristiane e le storture del mondo circostante, malato e corrotto. La Fede non basta per salvare il nostro eroe, serve qualcosa di più. Sono le arti marziali ad aiutarlo, grazie a tutta quell’infinita lista di elementi fondamentali che caratterizzano l’etica e il comportamento di un combattente sia davanti al nemico, che di fronte alla vita.
Le serie TV sulle arti marziali, infatti, oltre ad averci mostrato un’infinità di generi di combattimenti diversi, come il già citato Kung Fu, il Tai Chi, l’Aikido o il Wing Chun, ci hanno dato modo di spalancare il nostro sguardo sulla vastità spirituale che caratterizza questi magnifici cammini.
La mente del guerriero forgia il corpo e tempra lo spirito, il corpo a sua volta rafforza la mente e l’anima dona equilibrio a tutto. Un uroboro che si manifesta in eroi come Sunny, combattente di Into the Badlands, serie TV prodotta da AMC e disponibile su Prime Video.
Sunny (Daniel Wu) è un guerriero solitario che opera come Kenshiro in un mondo distopico tanto quanto la terra post olocausto nucleare. Il suo personale diktat gli impone di lottare per la giustizia e la salvezza del prossimo senza ottenere nulla in cambio. Un eroe che combatte il male a colpi di Karate, Bojutsu e katana.
Non tutti i lottatori istruiti alle arti marziali hanno avuto, però, la vocazione per la lotta contro il male. Alcuni si sono dovuti fare largo in mezzo a battaglie che non avrebbero mai voluto combattere, ma che, in un modo o nell’altro, hanno forgiato ulteriormente le loro nocche. Uno di questi è Ah Sahm, protagonista di Warrior, la serie nata dagli scritti di Bruce Lee e portata in vita da Jonathan Tropper e Justin Lin.
La produzione Sky è una delle migliori serie TV basate sulle arti marziali nella storia del piccolo schermo. Una realtà che può tranquillamente confrontarsi con capostipiti cinematografici del genere, grazie alle sue dirompenti scene d’azione, uno script in costante evoluzione e una fotografia di pregevole fattura. Una serie molto pop, ma che fa comunque vedere le proprie origini orientali.
Uno show che, nel suo piccolo, ha per l’appunto caratterizzato il pop, quasi quanto Cobra Kai, l’ultimo piccolo asso nella manica di Netflix.
Una serie TV che ha spaccato a metà sia critica che pubblico, soprattutto per le varie scelte che hanno, in qualche modo, intaccato la sacralità di una pellicola come Karate Kid.
Qui vediamo un eroe redento grazie alla via del Karate che proverà a donare nuovamente onore ad un animo macchiato dal tempo. Una produzione parzialmente originale e di difficile lettura, ma che è stata in grado di appassionare gli spettatori tanto da ottenere, fino ad ora, ben tre stagioni.
Le serie TV incentrate sulle arti marziali, nella storia dell’intrattenimento, ci hanno donato numerosissime sfumature di guerrieri, tutti scolpiti nella mente e nei cuori degli spettatori per via dei loro combattimenti e dei loro spiriti. Eroi solitari in un mondo in costante evoluzione, quasi come dei novelli cowboy. Uomini che al posto delle pistole adoperano le mani e invece dell’Orizzonte sono alla ricerca della propria Pace. Figure leggendarie che hanno caratterizzato la nostra infanzia e plasmato la storia del cinema e della TV.