Signor Hunt, la sua missione, se deciderà di accettarla, è riuscire a stupire gli spettatori come mai prima d’ora. Missione impossibile?
E cosi, incredibile ma vero, il buon Tom Cruise torna a vestire i panni dell’agente Ethan Hunt per la quinta volta, e con già un sesto capitolo in cantiere. Al suo debutto con il franchise di Mission Impossible il regista McQuarrie, che già ha lavorato in passato insieme a Cruise in Jack Reacher – La prova decisiva, e che ora ci sforna questo ottimo quinto capitolo denominato Rogue Nation. Ma si, bando alla suspense, quella ce n’è già in abbondanza nel film, sveliamo subito le carte: MI: Rouge Nation è sicuramente uno dei più bei capitoli della serie e rappresenta il punto d’incontro perfetto tra le due opposte personalità della saga, ovvero quella thriller tipica delle spy-story alla James Bond con cui De Palma plasmò principalmente il primo storico film del 1996 e quella più sfrontata, circense ed esasperata dell’azione estrema che in misura altalenante non sempre si è ben bilanciata con la struttura generale degli episodi, facendo a volte vacillare l’equilibrio tra trama e coerenza.
Con questo non voglio assolutamente dire che in Rogue Nation manchino le prove fisiche e i set pieces incredibili (e impossibili) che per il buon Tom sono un marchio di fabbrica assolutamente imprescindibile in quella che ormai è la SUA saga, (oltre ad esserne la star e produttore è anche una importante determinante per quel che riguarda la sceneggiatura) che ormai gli è entrata sottopelle rendendo il suo alter ego Ethan Hunt sicuramente quello più riuscito della sua attuale carriera. Ma dicevamo, il perfetto connubio tra azione e “infiltrazione” e aggiungiamo, un Mission Impossible dal ritmo anomalo. Infatti non riserva le sue scene più spettacolari per il climax finale, basti pensare che il film si apre con Ethan Hunt aggrappato ad un aereo cargo a 5000 piedi di altezza. In Rogue Nation i gimmick fisici di Tom Cruise (e ce ne sono almeno 2 o 3 nel film, tra cui l’immancabile inseguimento in moto e una sequenza ‘in apnea’ veramente mozzafiato) non costituiscono il catartico momento di soluzione e risoluzione degli eventi ma ‘semplici’ espedienti per veicolare una spy-story ben più dimessa che in passato, e in un certo senso anche più matura, che lascia da parte pretestuose storie d’amore tra il buon Ethan e la bella di turno (una carismatica Rebecca Ferguson che eleva lo status delle quote rosa all’interno della serie con il suo personaggio forte scaltro e non meno ‘pericoloso’ del veterano protagonista) e si costruisce principalmente intorno al concetto di suspense. Non ha caso, una delle più belle scene del film, è un tentativo di omicidio che si svolge durante lo spettacolo lirico di un’opera di Puccini, Turandot, una sequenza che affascina non certo attraverso improbabili coreografie ma grazie al montaggio, il tempismo, il coinvolgimento e la capacità di creare la giusta tensione riuscendo ad inserire anche una punta di umorismo.
Umorismo distribuito con un contagocce ‘svizzero’ in tutto il film e sempre azzeccato, complice anche il maggior peso dato al personaggio di Simon Pegg, che nella generale rimpatriata di tutta la ‘crew’ che costituisce il team dell’Impossible Mission Force (I.M.F.), ha questa volta un ruolo più corposo, diviene la spalla perfetta di Ethan, che però in ultima analisi, rimane non solo protagonista assoluto come in ogni episodio, ma vero motore trainante della storia, in quello che forse è l’episodio più ‘Cruise-centrico’ dell’intera saga. Infatti anche lo stesso McGuffin del film, il pretesto per accendere la miccia degli eventi, oltre ad essere fortunatamente diverso dal solito, si dissolve come neve al sole man mano che l’azione procede, evitando di disperdere la narrazione con mille personaggi, sotto eventi, macchinazioni e voli pindarici di sorta, e l’occhio della macchina da presa si focalizza sul semplice obiettivo dell’agente Hunt che, nonostante venga messo in gioco l’equilibrio geopolitico di due paesi (Inghilterra e America), è mosso da una questione personale e meramente di ‘principio’. Per chiarire le cose, diciamo solo che la trama questa volta rende Hunt una preda fin dal principio, braccato da una società segreta di apparente origine britannica chiamata Il Sindacato e composta da pericolosi ex agenti e militanti (capeggiati da Solomon Lane, interpretato dal bravo Sean Harris) che oltre a voler creare il solito scompiglio sociopolitico cerca di far fuori quello che rappresenta il loro nemico numero uno: Ethan per l’appunto.
Ecco quindi che Rouge Nation diventa una caccia all’uomo bilaterale, in cui preda e predatore cercano di farsi scacco matto l’uno con l’altro prima di essere sopraffatti dall’avversario, mentre la stessa organizzazione I.M.F. rischia di essere smantellata dalla C.I.A. (con a capo un brillante Alec Baldwin) a causa delle sue turbolente condotte. Insomma, Ethan contro tutti e tutti contro Ethan, questo è il nuovo Mission Impossible, un soggetto che McQuarrie gestisce con grande maestria, grazie ad un’arguzia visiva di prim’ordine, alla ricerca di un punto di vista spesso più ‘stretto’, più vicino alle espressioni, alle micro-dinamiche, che avvicina l’occhio e l’orecchio all’azione il più possibile. Inoltre, le location di Cuba, Parigi, Vienna, Casablanca, Londra, in cui si svolgono gli eventi del film, vengono fotografate in maniera mai asettica, restituiscono le atmosfere locali con luci spesso cupe e calde allo stesso tempo e contribuiscono a riportare Rogue Nation a quella dimensione più ‘Noir’, se volete concedermelo, che in parte caratterizzava il primo episodio. Gli affezionati della saga però non si impauriscano di tutti questi miei tentativi di inquadrare Rogue Nation come qualcosa di estraneo ai canoni della serie, non è mia intenzione: luoghi inespugnabili in cui infiltrarsi, doppi giochi, sotterfugi, travestimenti estremi, colpi di scena incredibili, scene adrenaliniche e tutti quelli elementi che fanno parte del DNA di Mission Impossible sono sempre presenti, la differenza è semplice e limpida: cosi ben orchestrati, non li abbiamo mai visti.