Dopo la polemica sul grooming nel fumetto americano, in redazione ci sono arrivate diverse segnalazioni. Il fumetto in Italia è estraneo a dinamiche sessiste e alle molestie?

Una breve premessa

Era un tranquillo pomeriggio di inizio estate, quando una bomba mediatica è esplosa nell’America dei Tweet: le accuse a Warren Ellis e Charles Brownstein, le reazioni di Mike Mignola e tanto, tanto altro. Quasi nessuno ne parlava ufficialmente, ma nel sottosuolo dei social è iniziato a ribollire un certo fermento. Alcuni si sono preoccupati della disamina social di questo termine arrivato dagli USA, il grooming, definendolo “difficile da interpretare con chiarezza”. Altri hanno iniziato a tuonare “Eh! Tutti lo sanno e nessuno ne parla”.

Un giorno, poi, una fumettista (giovane, ma il cui talento inizia a raccogliere anche i giusti riconoscimenti) ci ha scritto. “Anche in Italia succedono queste cose, vogliamo parlarne. Ci aiutate?”. Siamo qua (anche) per questo.
Lei, poi un’altra e poi un’altra ancora. Mail, lunghe telefonate, messaggi privati, manifestazioni di supporto, consigli. Ma anche persone che hanno preferito non uscire allo scoperto.

Nessuno ne parla?

Andiamo per ordine. Reagire di fronte a un abuso non è affatto facile, né si può dare per scontato che se ne parli o che si sporga denuncia. Uno dei motivi è che, oltre alla violenza in sé, esiste un fenomeno di rivittimizzazione secondaria. Piuttosto che lanciarci in interpretazioni, andiamo a vedere come si esprime la comunità scientifica su questo concetto.

Il presidente del Centro Studi per la Legalità, la Sicurezza e la Giustizia Marco Strano spiega che il danno secondario “è determinato dagli atteggiamenti negativi nei confronti delle vittime da parte delle agenzie di controllo sociale, sotto forma di mancanza di supporto o di condanna morale”. E continua: “Sembrerebbe, infatti, che il processo, gli interrogatori e la pubblicità colpevolizzassero le vittime che sarebbero nuovamente vittimizzate dal processo penale”. (M. Strano, Manuale di criminologia clinica, SEE Firenze, pag.107).

Scrive anche l’avvocato Raffaella Mendicino nell’articolo “La vittimizzazione secondaria” pubblicato nel settembre 2015 sulla rivista Profiling – I profili dell’abuso: “La vittima del reato occupa un ruolo da protagonista nella società contemporanea e per rendersene conto è sufficiente porre l’attenzione sulle notizie presentate quotidianamente dai mass media. Da un punto di vista mediatico è sicuramente una figura sovraesposta, spesso abusata, pertanto capace di attrarre l’attenzione del pubblico in maniera direttamente proporzionale alla gravità del reato in cui è coinvolta”.

A proposito del “punto di vista mediatico”, è un fatto che alcuni giornali hanno pubblicato negli ultimi anni titoli come: “Rimini, Minorenne non ricorda lo stupro dopo una sbronza, un 22enne finisce a processo” o, anche: “Ubriache fradice al party in spiaggia, due 15enni violentate dall’amichetto”.

Un po’ di numeri

Se questo è quello che ci dicono alcuni psicologi e alcuni giornali, come è percepita la vittima di reato sessuale da una parte dell’opinione pubblica?

Nelle statistiche ISTAT pubblicate il 25 novembre 2019 si legge: “Il 39,3% della popolazione ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Anche la percentuale di chi pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire è elevata (23,9%). Il 15,1%, inoltre, è dell’opinione che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile”. E infine: “Per il 10,3% della popolazione spesso le accuse di violenza sessuale sono false (più uomini, 12,7%, che donne, 7,9%); per il 7,2% “di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì, per il 6,2% le donne serie non vengono violentate. Solo l’1,9% ritiene che non si tratta di violenza se un uomo obbliga la propria moglie/compagna ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà”.

Per quel che riguarda le denunce, nel “Report di analisi dei dati del numero verde contro la violenza e lo stalking 1522” dell’ISTAT riferito al periodo che va da Gennaio 2013 a Settembre 2019, si legge che “Le vittime che si rivolgono al 1522 per lo più non sporgono denuncia: dei 59.975 dei casi di violenza e/o stalking registrati dal numero verde, solo il 17,7% decide di denunciare e di non ritirare la denuncia. Nella maggior parte dei casi la vittima non sporge denuncia (77,5%) oppure ha sporto denuncia per poi ritirarla (4%)”.

Quindi…

La denuncia, che tante volte è evocata dai commentatori e dagli opinionisti come un necessario atto di coraggio da parte della parte lesa, è un processo non immediato e richiede una certa fatica. Motivo per cui lo strattonare sui social un #meetoo all’italiana è una richiesta che va calibrata con molta attenzione. Vale il principio dell’autodeterminazione, anche in questo caso.
Per queste ragioni, chi avuto fiducia in noi e ci ha raccontato la sua esperienza, sarà protetto nella scrittura di questo articolo. Consigliamo, invece, a chi si riconosce nelle dinamiche di abuso a contattare un centro antiviolenza (alcuni saranno indicati in chiusura). Forse occorre precisare che questo non è un voler disimpegnarsi dalle responsabilità, ma restituire ruoli a chi ne ha le competenze? Un sito d’informazione, come è Stay Nerd, può raccontare, può smuovere (speriamo) un dibattito, ma non può occuparsi di processi psicologici e legali delicati, che vanno trattati solo dalle mani esperte di professionisti.

Sbattere le esperienze intime delle protagoniste di queste storia in homepage per sfruttarne il clamore mediatico è qualcosa che non solo ci allontana dal nostro tracciato umano, ma che – come è successo per l’ondata italiana di #meetoo gestita da un noto programma televisivo – non ha contribuito un granché né al dibattito, né al movimento, né probabilmente, alle testimoni.

Torniamo a noi.

Sottolineiamo che le testimonianze che ci sono arrivate, che descrivono comportamenti lesivi che potrebbero essere definiti come molestie e abusi sessuali sono state tutte pronunciate da donne. Questo, però, non vuol dire che il fenomeno degli abusi e delle molestie non riguardi anche vittime di genere maschile: semplicemente finora nessun uomo si è rivolto a noi per raccontare la sua esperienza.

Stando alle testimonianze raccolte, abbiamo potuto individuare alcuni luoghi delicati del mondo del fumetto italiano, dove spesso si consumano fenomeni di percepita violenza: le scuole di fumetto e i colloqui di lavoro. E, inoltre, come mezzo privilegiato di interlocuzione, la comunicazione via internet.

Spesso non si riesce a distinguere il comportamento violento dal lecito approccio interpersonale, anche finalizzato all’ancor più lecito incontro sessuale. La differenza tra i due casi dipende molto spesso dal modo in cui si dimostra il proprio interesse e, in questo caso, molto dipende anche dal contesto in cui si manifestano le attenzioni. Ci sono posizioni che possono generare uno squilibrio di potere: un rapporto insegnante/allieva o editore/curatore e aspirante autrice.

Se chiedere è lecito e rispondere e cortesia, questo amabile scambio di intenzioni può essere falsato da rapporti impari, quando un rifiuto da parte della donna può portare a ripercussioni lavorative negative. La minaccia può essere implicita o esplicita (uno o l’altro dipendono dal grado di consapevolezza e di malintenzione dell’abusante). In ogni caso, la donna non è nelle condizioni di scegliere in piena libertà poiché non si tratta semplicemente di un avvicinamento tra persone consenzienti.

Non sta a noi stabilire se si tratti di reati o no, ma stando a ciò che abbiamo appreso e che possiamo (per il momento) riportare solo in forma estremamente filtrata parliamo di comportamenti che travalicano i confini dell’etica professionale.

Qualora si trattasse di reati, però, ricordiamo che esistono delle condizioni aggravanti, che il Codice Penale (art.61, comma 5, 11 e 11 ter) spiega come “l’aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità, l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione”.

Esaminando le testimonianze che ci sono arrivate…

Quando succede, ad esempio, che un insegnante o un curatore o un editore invita a casa propria o in qualsivoglia luogo appartato e “intimo” un’autrice che gli si è rivolta per chiedere un’opinione e o – addirittura – un lavoro, si va a creare una situazione di abuso del proprio ruolo, oltre che di disagio.

Analogamente, quando si utilizza l’appiglio professionale e artistico per avvicinare un’autrice verso cui si ha anche (o soprattutto) un altro tipo di interesse, paventando in maniera più o meno velata la possibilità di una collaborazione, si sta abusando della propria posizione professionale, specialmente in caso di autori affermati che si rivolgono ad artiste emergenti.
Quando un insegnante intrattiene dialoghi a sfondo erotico con studentesse e basa la sua valutazione in maniera più o meno palese sulla disponibilità della studentessa, sta abusando del proprio ruolo e sta rendendo le scuole (attraversate da individui in formazione e proprio per questo in una posizione di maggiore fragilità) un posto non sicuro.

Fin ora abbiamo parlato di casi su cui abbiamo sentito la necessità di soffermarci, per iniziare a instaurare una discussione che agevoli un linguaggio condiviso sulle mille sfumature della violenza che si consuma in rapporti che si instaurano in ambienti di lavoro e di formazione.

Stiamo tralasciando i casi in cui gli abusanti hanno deliberatamente violato la volontà delle donne con atti inequivocabili. Questi saranno casi che esulano dalla nostra competenza e sui cui possiamo solo fornire tutto il supporto personale e logistico di cui siamo capaci.

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Data la confusione generale, può essere difficile da parte di alcuni discernere i confini entro i quali il proprio comportamento è lecito. Per chiarire ogni dubbio, ci rivolgiamo nuovamente al Codice Penale. Secondo l’articolo 609 bis è definibile come violenza (o abuso) sessuale quell’atto commesso da “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”. Nello stesso articolo si aggiunge che violenza sessuale è anche quell’azione che si compie “abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto” o “traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”.

Quando, invece, parliamo di molestie, ci rifacciamo all’articolo 660 che la definisce come l’azione di “chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”. Questa assume i connotati di “molestia sessuale” quando si è in presenza di atti di corteggiamento invasivo e insistente, o quando si usano espressioni volgari a sfondo sessuale. Tuttavia, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 4 ottobre 2012, n. 38719 ha stabilito che il corteggiamento molesto si può trasformare in tentativo di abuso sessuale nel caso in cui la vittima non ha possibilità di fuga e si va a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale.
Nel dibattito americano abbiamo spesso sentito parlare del grooming, in italiano tradotto con “adescamento di minori”. Secondo la sua definizione giuridica: “Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”. (art. 609 undecies del Codice Penale). Per minore età, in questo caso, si intendono le ragazze e i ragazzi che hanno fino a 16 anni.

Se ritieni di aver subito abusi o molestie puoi rivolgerti al Centro Antiviolenza che preferisci. Noi te ne suggeriamo alcuni:

https://luchaysiesta.wordpress.com/
https://www.differenzadonna.org
https://www.vitadidonna.it/

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.