Il mercato videoludico cinese è da sempre dominato da esperienze di gioco online spiccatamente rivolte al mondo della competizione, eppure Sony Interactive Entertainment prova nell’arduo compito di vendere all’esigente pubblico asiatico un titolo single player ispirato ad un blockbuster cinematografico amatissimo dai bambini. Scommessa vinta? Vediamolo insieme.
Nato dalla collaborazione fra HexaDrive, Oasis Games, Sony Interactive Entertainment e una serie di studi minori, Monkey King Hero is Back è la prima vera IP videoludica cinese a ricevere una trasposizione per console con valori di produzione AAA. Questo almeno è ciò che le roboanti dichiarazioni volevano farci intendere durante il periodo di promozione del titolo, massicciamente presente con immagini e sequenze di gioco in ogni pubblicità di PlayStation 4 diretta al pubblico asiatico.
Molti potrebbero non cogliere il fascino dell’ennesimo videogioco ispirato all’antico racconto cinese “Viaggio in Occidente” (lo stesso che ispirò opere come Dragon Ball, per intenderci), ma questo titolo in particolare, pubblicato oggi, sul finire del 2019, è soprattutto noto in Cina per essere l’adattamento videoludico di un omonimo film d’animazione in computer grafica diretto da Tian Xiaopeng.
Arrivata anche nelle sale cinematografiche italiane nel settembre dello scorso anno, Monkey King: Hero is Back è una pellicola per famiglie non più che mediocre, ma dando un’occhiata al contesto creativo in cui prese vita si capisce fin da subito il motivo che ha spinto Sony a produrne un’incarnazione videoludica a ben 4 anni dal debutto in terra natia: il film fu creato con un budget di soli 16 milioni di dollari (Z la formica di Dreamworks Pictures, un lungometraggio noto per gli scarsi valori di produzione, vantava un budget almeno cinque volte superiore) e tutte le spese di marketing vennero coperte grazie ad una campagna crowdfunding a cui presero parte numerose persone, persino bambini.
Genialità del reparto pubblicitario o semplice e romantica retorica del “sogno che diventa realtà” (provenendo, immancabilmente, dal basso), il film riscosse ai botteghini nazionali un successo tale da essere ancora oggi annoverato nella top 3 dei film d’animazione con il maggiore numero di incassi mai registrato in patria.
Ora, non è un segreto che in Cina PlayStation 4 sia arrivata solamente nel 2015 e che da allora la console abbia potuto vantare al proprio arco un buon numero di titoli dallo spiccato gusto nipponico, ma mai prima d’ora Sony si era spinta a creare un prodotto che fosse espressamente diretto al pubblico casual cinese. Sfruttando, quindi, l’intramontabile fascino dell’arcinota leggenda e l’innegabile richiamo offerto dall’opera cinematografica, giunge oggi sulle nostre console questo prodotto che a prima vista potrebbe ricordare uno di quei tanti platform colorati che fecero la felicità dei giocatori durante l’epoca 128 bit. In realtà la produzione nata dal matrimonio fra studi nipponici e cinesi è un videogioco fortemente piagato da difetti di design talmente evidenti da annullare in pochi minuti la sospensione dell’incredulità, laddove elementi interattivi e non interattivi giacciono a pochi pixel di distanza quasi a ricordarci che di AAA, questo frutto della joint venture asiatica, ha davvero poco.
Monkey King: Hero Is Back: “Mi sale la scimmia”
Il più grande problema di Monkey King: Hero Is Back, infatti, è quello di non riuscire a coniugare ad un immaginario tutto sommato convincente (preso in prestito, bada bene) un gameplay anche solo lontanamente comparabile a quello di produzioni odierne similari; la storia segue a grandi linee quanto raccontato nel film, pur presentando una serie di modifiche che meglio la adattano al medium videoludico: il protagonista è nientepopodimeno che Sun Wukong, imbattibile guerriero scimmia la cui grande presunzione ha spinto lo stesso Buddha a sigillarlo in una prigione di cristallo, privandolo dei suoi poteri. Il destino in seguito porta il guerriero antropomorfo ad incrociare la strada con il giovanissimo Lieur, il quale dopo averlo liberato per errore lo convincerà ad aiutarlo nella liberazione di un gruppo di bambini rapiti dal misterioso cattivo di turno.
Come è possibile notare, l’impianto narrativo segue uno dei canovacci più classici della narrativa per ragazzi, seguendo le fatiche di un burbero anti-eroe (con il cuore d’oro) il cui obiettivo è quello di redimersi dai peccati passati mediante legami significativi con altre persone, riscoprendo così l’umiltà e il valore degli affetti. Ciò è portato in vita da un sufficiente numero di scene cinematiche che dettagliano in modo credibile i rapporti fra i personaggi senza scadere nella continua proposizione di cieca azione ipertrofica, tipica invece della controparte cinematografica.
Se il film può facilmente essere assimilato ai più beceri esponenti dei più dimenticabili prodotti per l’infanzia, il videogioco riesce, con un ritmo decisamente più disteso, ad avvicinarsi invece ai prodotti per famiglie in cui sia grandi che piccini possono ritrovare punti di connessione senza rimanere alienati dalla narrazione. Monkey King: Hero is Back rimane tuttavia piagato da problemi, come già detto, piuttosto significativi: il gioco è infatti poco più che un ripetitivo action adventure 3D dotato di un sistema di combattimento che dovrebbe, in teoria, rappresentarne il fulcro ludico; nel gioco si combatte per la gran parte del tempo e nei primi minuti di gioco la produzione sfoggia ottime animazioni del protagonista, promettendo al contempo, con lo sfoggio di un albero delle abilità, che il titolo si arricchisca di nuove possibilità man mano che la storia prosegue.
Sulla carta, estremamente interessante e promettente. Nella pratica, una mera prova di pazienza da superare menando colpi praticamente a caso contro nemici sempre uguali, dotati di un’intelligenza artificiale poco reattiva, il tutto ambientato in una progressione lineare che propone situazioni senza alcun guizzo d’originalità. Monkey King: Hero Is Back cerca comunque di aggiungere maggiore spessore agli scontri proponendo un sistema di contromosse attivabile usando colpi leggeri o pesanti con un certo tempismo, ma realisticamente ogni nemico può essere sconfitto molto più velocemente semplicemente ripetendo l’unica combo a disposizione del protagonista o abusando della magia, con tecniche le cui animazioni donano frame di invincibilità talmente lunghi da vanificare le azioni degli stessi boss. Il tutto, ripetibile senza alcuna preoccupazione o problema di sorta grazie ad un sistema di crafting attraverso il quale è possibile creare oggetti curativi a iosa semplicemente dedicandosi qualche minuto alla raccolta di ingredienti sparsi nelle ambientazioni.
In un mondo tridimensionale fitto di muri invisibili e ambientazioni non interattive popolate da forse dieci modelli poligonali TOTALI fra personaggi non giocanti e mostri, non è chiaro come il titolo sia giunto sugli scaffali nostrani – oltretutto doppiato in italiano – in queste condizioni, soprattutto considerando la martellante campagna pubblicitaria promossa in Oriente. Ad affossare ulteriormente la già fragile esperienza di gioco ci pensa un level design fatto di corridoi e ovvie arene disseminate di schermate di caricamento dalla durata piuttosto generosa (almeno su PS4, piattaforma sulla quale abbiamo avuto modo di testare il titolo): salire su una torretta per verificare la presenza di nemici nelle vicinanze conta ben due schermate di caricamento, e no, questo non è più tollerabile nell’anno domini 2019.
Sembra, insomma, che la collaborazione fra team cinesi e giapponesi abbia dato vita ad un videogioco appena sufficiente sulla carta, la cui ambizione è ancora testimoniata solamente da alcune scene cinematiche che per spettacolarità superano di gran lunga quanto visto nella controparte animata. Un vero e proprio spreco di energie che può essere prolungato, vista la scarsa durata di Monkey King: Hero Is Back, acquistando anche un season pass che promette due scenari inediti e un paio di costumi aggiuntivi, inseriti a forza quasi a dover giustificarne il prezzo. Nel caso foste proprio interessati…