Mortal Shell ci riporta alle atmosfere dei soulslike di From Software. Ma ha alcune novità, e riesce a cogliere il cuore dei lavori di Miyazaki
Negli ultimi anni siamo stati abituati ad avere a che fare con giochi sempre più grandi e complessi. Il pubblico d’altra parte vuole questo: essere impegnato il più a lungo possibile. Cosa fare quindi, se non produrre giochi enormi, in grado di impegnare per decine di ore, spesso anche a costo di inserire meccaniche totalmente accessorie che nulla vanno ad aggiungere al core gameplay, pur di giustificare la spesa in termini di ore giocate?
Chiaramente esistono anche giochi complessi la cui ricchezza di meccaniche e possibilità è assolutamente giustificata ed è parte integrante della visione dell’autore, e tra questi va assolutamente annoverato Dark Souls e tutta la produzione soulslike di From Software. Questo però crea una barriera all’ingresso difficilmente valicabile per gli sviluppatori indipendenti: è possibile realizzare un prodotto di genere specifico senza fare i conti con chi ha più possibilità, risorse e personale? Si può fare un open world senza scontrarsi con Assassin’s Creed Odissey, The Witcher 3 o Skyrim?
Spostiamoci un attimo, e torniamo al titolo dell’articolo. Il design sottrattivo è quell’approccio al game design per cui, contrariamente al solito aggiungere meccaniche su meccaniche, si tende a rimuoverle per asciugare totalmente il gioco lasciando solo il necessario e tutti quegli elementi che si ritengono effettivamente di peso nell’economia del gioco.
Mortal Shell fa esattamente questo: prende Dark Souls e lo asciuga di tutta quella mole di meccaniche e dettagli che probabilmente il team di sviluppo non avrebbe potuto gestire, restituendo un prodotto più snello, certamente meno esteso e complesso, ma che funziona bene in quello che è il suo scopo.
A una prima occhiata chiunque penserebbe di trovarsi di fronte a una copia della serie From Software, e il team di sviluppo non fa mistero di come Mortal Shell sia un tributo ai lavori di Miyazaki. Oltre al gameplay infatti anche la narrativa e il setting si sovrappongono in maniera quasi perfetta al percorso già tracciato dal designer giapponese.
Eppure Mortal Shell ha i suoi assi nella manica, e soprattutto è interessantissimo notare come il team di sviluppo abbia saputo maneggiare il materiale che lo ha ispirato per realizzare una versione semplificata – ma non più semplice – del soulslike.
Mortal Shell si apre con un breve tutorial in cui faremo la conoscenza del nostro protagonista senza nome e verremo, come da tradizione, picchiati fortissimo e costretti a morire. In questo breve tutorial scopriremo anche quelle che sono le principali novità dell’opera di Cold Simmetry: la possibilità di pietrificarci e quella di abitare le spoglie di altri guerrieri.
La prima di queste meccaniche è centrale nel gioco, perché va a sostituire la possibilità di utilizzare scudi: qualsiasi momento dell’azione è possibile premere il grilletto sinistro per pietrificare il protagonista, che così può resistere interamente ai danni ricevuti dal successivo colpo avversario. Il fatto che questo possa essere usato anche durante l’attacco, pietrificandosi con la spada a mezz’aria, permette approcci tattici estremamente diversificati, integrandosi perfettamente nel sistema di combattimento che chiunque abbia mai giocato un soulslike conosce molto bene.
Il prendere possesso delle spoglie di guerrieri caduti è invece il passo principale operato da Cold Simmetry per la semplificazione della struttura RPG dei soulslike. Mortal Shell abbandona totalmente il sistema di statistiche e di crescita del gioco di ruolo per offrire quattro archetipi sotto forma di corpi da scovare e abitare. Ognuno ha le sue caratteristiche, ma queste non possono essere migliorate. Ciò significa da una parte che è possibile affrontare tutto il gioco sin dall’inizio, e dall’altra che anche alla fine i nemici iniziali rappresenteranno una minaccia, portando ancora più al centro l’abilità del giocatore che non può più essere compensata dal level up.
Ci sono ancora gli omologhi delle anime però, qui chiamati Tar, che servono a sbloccare abilità attive o passive o ad acquistare prodotti dal mercante.
Un processo analogo è stato fatto per le armi: ce ne sono solamente quattro disponibili, ognuna con una serie di abilità sbloccabili utilizzando oggetti.
Queste scelte di riduzione delle possibilità non limitano però il giocatore in alcun modo, e anzi rispondono a quasi tutte le esigenze che si hanno in un soulslike. Certo, non è possibile giocare da arciere o da mago, ma anche in questo caso la volontà di Cold Simmetry era evidentemente volta al combattimento corpo a corpo, ed è sempre preferibile avere meno possibilità che funzionano che un sistema di combattimento sbilanciato da troppe cose mal implementate.
Le diverse Shell, le spoglie abitabili, si giocano effettivamente in modo molto diverso tra loro, e la difficoltà di completarne tutti gli alberi delle abilità sembra suggerire al giocatore di sceglierne una e giocare con quella, senza darsi eccessivamente alla sperimentazione, esattamente come si farebbe con una build in un Action RPG.
Grazie a queste accortezze e semplificazione il sistema di combattimento funziona bene ed è ben bilanciato. I ritmi sono piuttosto lenti mediamente, si sente tutto il peso dello scontro, e l’approccio strategico è fortemente consigliato e deve essere abbinato necessariamente a ottime capacità del giocatore.
Bisogna conoscere bene i pattern della propria arma e quelli dei diversi nemici che incontreremo, soprattutto quando decidiamo di giocare con armi molto pesanti e siamo costretti ad affrontare avversari molto veloci, ma anche imparare a gestire con il giusto timing le diverse possibilità che il gioco offre, come la già citata pietrificazione e la possibilità di effettuare parry.
L’impossibilità di fare level up e di aumentare le statistiche, unita a una difficoltà veramente alta, dona ancora più valore a ogni singolo combattimento e mette in una tensione continua anche quando si ha a che fare con nemici che, teoricamente, si dovrebbero conoscere perfettamente perché già affrontati più e più volte.
La curva di apprendimento è così praticamente verticale anche per il veterano dei soulslike: il doversi riabituare a un sistema conosciuto ma anche così nuovo non è semplice, e il gioco punisce con maggiore vigore chi pensa di avventurarsi per le sue terre forte dei diversi platini sui giochi di From Software.
Ma la curva di apprendimento non è così dura soltanto per le batoste che ci tirano i nemici, quanto anche per la difficoltà di raccapezzarsi nella grandissima area iniziale che funziona da hub di gioco e che mette in raccordo i tre templi che dovremo affrontare per concludere l’avventura.
La mancanza di punti chiari di riferimento e la ripetizione costante della decadente vegetazione creano una fortissima barriera iniziale, che unita ai pochissimi e criptici suggerimenti non aiuta certamente non solo ad orientarsi, ma proprio a capire cosa bisogna fare. Anche qui, la struttura è molto più semplice di quella che siamo abituati a vedere nei titoli di Miyazaki.
Tolto questo hub infatti, i dungeon sono piuttosto lineari e di dimensioni ristrette, e si concentrano molto sul combattimento e sulla capacità di affrontare le diverse schiere di nemici che ci si parano di fronte. Non mancano scorciatoie, ma non c’è neanche da aspettarsi chissà quale complessità, a conferma che il gioco sia molto orientato al combattimento e poco all’esplorazione.
Non si possono poi non spendere un po’ di parole sulla narrativa del gioco, ridotta ai minimi termini, tra frasi altisonanti e vocabolario ricercato che fanno da scheletro a un racconto di cui francamente si capisce poco e niente, e non in senso positivo. È tutto affascinante all’inizio, ma sul lungo periodo viene difficile trovare una completezza o quantomeno il piacere della sensazione di essere in un mondo più grande di noi di cui riusciamo a capire solo una frazione. Il potenziale c’è anche, perché il dark fantasy di Cold Simmetry ha un suo charme, ma la messa in atto non è stata certamente delle migliori.
A questo punto sarà chiaro come Mortal Shell sia un titolo più piccino rispetto ai souls a cui siamo abituati. Cionondimeno però, il lavoro di Cold Simmetry è assolutamente pregevole e orientato nella giusta direzione. Tutti quelli che sono gli elementi che hanno reso Dark Souls il gigante che è ci sono in Mortal Shell, e soprattutto funzionano. Lo sviluppatore ha imboccato la strada giusta, ovvero lo spogliare il soulslike di tutti quegli elementi se non proprio di contorno quantomeno non necessari per arrivare all’essenza dell’ARPG secondo From Software, riuscendo assolutamente nell’intento di restituire un’opera che si regge perfettamente sulle gambe, è ben bilanciata e diverte.
Cambiano i ritmi, cambia il tempo che è necessario dedicare al gioco e diventa molto più snello seguire il proprio personaggio, concentrandosi quasi unicamente sugli scontri e sulla propria abilità. Certo, se si vuole un qualcosa di enorme che impegni per centinaia di ore Mortal Shell non risponde alla necessità, ma contemporaneamente ci insegna come spesso siamo abituati a giocare a prodotti fin troppo grandi che sacrificano sull’altare di una complessità artificiale e spesso non necessaria il bisogno che dovrebbe essere primario in un opera qualsiasi: essere coerente a se stessa e ai suoi obiettivi.
Spesso, meno è meglio. Spesso, giochi più brevi sono più funzionali e organici.