La tecnologia influirà sul modo in cui nel futuro vedremo la morte? Senza dubbio, anzi lo sta già facendo
Siamo abituati a non pensare alla morte, a considerarla un’eventualità remota e improbabile, eppure prima o poi ci troviamo tutti a confrontarci con essa. Come per tutti gli aspetti della vita, anche il modo di affrontare la sua fine sta cambiando in maniera sensibile a causa della pervasività dell’informazione nel mondo contemporaneo, e si può pensare che l’avanzamento della tecnologia influirà in maniera ancora più pesante sul futuro della morte. Vediamo come il tema viene affrontato in alcuni recenti testi di saggistica e narrativa.
La morte fisica e la morte digitale
Il futuro della morte passa innanzitutto attraverso i social network. È un processo iniziato già una decina di anni fa e che si fa sempre più presente, via via che la prima generazione di iscritti ai vari social inizia inevitabilmente a lasciare il pianeta. Di questo tema parla diffusamente Davide Sisto nel saggio La morte si fa social pubblicato da Bollati Boringhieri. Sisto esamina il modo in cui la nostra presenza sui social influisce sul modo in cui percepiamo la morte degli altri, e di conseguenza anche la nostra.
Molti social prevedono delle modalità apposite per distinguere i profili di persone decedute, come i profili commemorativi di Facebook. Tuttavia questa distinzione non è mai perfetta, e si vengono così a creare degli ambienti in cui vivi e morti occupano lo stesso spazio e possono arrivare anche ad avere interazioni tra di loro. Si può stimare che nel giro di qualche decennio i profili commemorativi su Facebook supereranno quelli degli utenti ancora in vita. Per questo una riflessione sul rapporto tra vivi e morti sui social merita una riflessione profonda.
Esistono già social progettati per ricordare le persone decedute come MyDeathSpace, ma l’identificazione dei defunti è solo una parte del problema. Una questione fondamentale e generalmente trascurata è quella della gestione delle informazioni di una persona dopo la sua morte. In questo caso le politiche dei social, così come quelle dei servizi di email o storage, possono rivelarsi inadeguate, e hanno già dato il via a battaglie legali durate anni e finite con esiti poco piacevoli. Il dilemma centrale è infatti la priorità tra il diritto alla memoria dei sopravvissuti e quello alla privacy dei defunti.
Per rispondere a queste esigenze si sta già affermando la figura del Digital Death Manager, un professionista che si occupa proprio di indirizzare i suoi clienti verso la corretta gestione delle informazioni personali in previsione della morte. Come da sempre ci preoccupiamo della fine che faranno i nostri beni materiali dopo la dipartita, allo stesso modo dovremmo farlo per i beni digitali, a maggior ragione perché la legislazione non è ancora aggiornata per trattare di queste materie.
Il passato è una storia che raccontiamo ai nostri follower
Ma se le nostre identità digitali sono composte da una quantità immensa di informazioni, questo comporta che lo stesso ricordo di noi deriva in buona parte dalle tracce che abbiamo lasciato in vita. Anche questo è un problema che si collega direttamente al futuro della morte, perché dal momento in cui le nostre intere vite sono registrate sui vari social, ci troviamo a essere rappresentati da ciò che condividiamo, dalle foto ai video ai commenti scambiati con gli altri.
È facile rendersi conto di quanto anche i processi della memoria siano stati alterati dall’uso massivo dei social network, e questo è il tema di Ricordati di me, il saggio più recente sempre di Davide Sisto. La coltivazione della memoria è da sempre uno dei motori principali della cultura, ma anche in questo caso l’avvento dell’era dell’informazione ha interamente rivoluzionato il settore: se il passato è una storia che raccontiamo a noi stessi, allora il passato sui social è la storia che raccontiamo ai nostri follower. La corrispondenza tra l’identità fisica e l’identità digitale non è sempre perfetta, e ci sono numerosi studi a rilevare come tutti tendano a mostrare sui social una versione “più interessante” della propria vita.
Ma cosa succede dopo la morte, quando quella storia si interrompe? Una delle opzioni che stanno emergendo è quella di un’immortalità digitale, ovvero la creazione di un alter ego basato sulle stesse informazioni che abbiamo diffuso nel corso della vita. La morte nel futuro potrebbe quindi non essere definitiva, come viene mostrato nell’episodio Torna da me della serie Black Mirror, in cui dopo la morte improvvisa del compagno una donna riesce a ottenere una sua ricostruzione basata sui dati estrapolati dalle sue tracce digitali. Può sembrare un’idea futuristica ma già oggi esistono servizi come Eternime ed Eter9, che si propongono di ricostruire degli avatar sulla base delle informazioni condivise dagli utenti: dei veri e propri fantasmi nella macchina che riproducono la nostra personalità e con cui gli altri possono interagire.
In che misura queste repliche dei viventi si possono considerare la continuazione della vita della persona su cui si basano è materia di dibattito scientifico e filosofico a cui probabilmente non si troverà mai soluzione. L’argomento è in buona parte quello del mind uploading che costituisce uno dei temi classici della fantascienza fin dagli inizi, e che ritroviamo in abbondanza nella produzione degli autori classici come Isaac Asimov e Arthur C. Clarke, come in quelli più moderni quali Richard K. Morgan (nella saga di Altered Carbon) e Roert J. Sawyer. Anche molte serie tv hanno affrontato questo tema, da Westworld ad altri episodi della già citata Black Mirror, come San Junipero. Con l’avanzamento della tecnologia la possibilità che la morte nel futuro non sarà più la fine definitiva si fa sempre più plausibile.
La morte è una compagna
The companions è il titolo originale di Lasciami andare, romanzo di Katie M. Flynn pubblicato in Italia da Frassinelli. I “compagni” del titolo sono copie di persone defunte caricate all’interno di corpi robotici: non hanno un vero e proprio status legale, e l’azienda che li produce, la Metis, li concede solo a noleggio a chi ne fa richiesta. I compagni sono quindi utilizzati proprio per questo: fare da compagnia a chi ne ha bisogno e può permetterselo. Per diventare compagni bisogna sottoscrivere in vita un contratto con la Metis ed essere copiati entro pochi minuti dalla morte, prima che il cervello si deteriori.
Lasciami andare segue la storia di Lilac, sedicenne morta in un incidente dopo una festa con le amiche e trasformata poi in compagna. Lilac occupa un corpo poco sofisticato, con ruote e pinze al posto delle mani, e fa da compagna a una ragazzina costretta in casa per via di una quarantena che dura da alcuni anni. La sua padrona le chiede continuamente di raccontare le circostanze della sua morte, e Lilac realizza che c’è qualcosa di strano, che potrebbe essere stata tutt’altro che accidentale. Riesce a fuggire e inizia così il suo viaggio per scoprire la verità sulla sua vita precedente.
Contrariamente a molte storie su questo tema, in Lasciami andare la protagonista non ha il dubbio di essere una “persona vera” per poi scoprire di esserne invece una copia. Lilac sa bene di essere morta e in seguito trasferita nel corpo robotico. La storia viene raccontata dal punto di vista di molti altri personaggi, tutti accomunati dall’essere venuti in contatto in qualche modo diretto o indiretto con Lilac, e questo meccanismo permette all’autrice di tracciare un panorama molto esteso del mondo che ha immaginato, dalla quarantena al trattamento degli anziani, dalle differenze di classe all’atteggiamento verso i compagni. Da notare che il romanzo è stato pubblicato negli USA a marzo quindi l’ambientazione post-quarantena non è stata ricavata dall’attuale esperienza Covid-19, e forse per questo risuona in modo ancora più inquietante.
Copertina e sinossi potrebbero far pensare a uno young adult, ma Lasciami andare è senza dubbio un romanzo maturo e diretto, a tratti anche crudo. La coralità e l’intreccio dei personaggi lo rende anche complesso, con una storia che copre più di dieci anni e mostra così l’evoluzione di tutta la società in un momento di estrema crisi. Inoltre, come succede in tutta la migliore fantascienza, Lasciami andare non offre risposte vista la profondità degli argomenti, ma propone numerosi spunti di riflessione su cui poi il lettore dovrà interrogarsi. Se c’è un messaggio che si può trarre da questo libro, è forse che indipendentemente della tecnologia anche nel futuro la morte continuerà a essere una compagna fedele delle nostre vite.