Io voglio una Delorean. L’ho sempre voluta e fa parte del mio garage del fantastico insieme a pochi altri significativi veicoli (una su tutte la Ecto 1). Voglio una Delorean per le sue portiere ad ali di gabbiano, per il suo design ancora incredibilmente futuristico ma, fondamentalmente, voglio una Delorean perché ne ho vista una nella serie Ritorno al Futuro e da lì la mia infanzia ha avuto un sapore diverso. E quindi altro giro, altra corsa. E come fosse passato solo un attimo, in un battito di ciglia ci troviamo già alle soglie del trentennale dell’uscita di Ritorno al Futuro. Il bellissimo, indimenticabile Ritorno al Futuro la cui terza parte, quella in salsa western, uscì 14 anni or sono concludendo, per sempre, il viaggio di Doc e Marty McFly. La notizia? La notizia è che viene oggi festeggiata in ogni dove con il Back to the Future Day la cui celebrazione, in soldoni, riporterà il terzo episodio nei cinema in qualità 4K. E scusate se è poco per un film che è parte della leggenda infantile di buona parte degli abitanti del pianeta Terra! Quale momento migliore, quindi, per farci un giro sul carosello della memoria? Abbiamo impostato il nostro contatore del tempo al 1980, anno in cui un certo Bob Gale concepì la stesura della prima, storica, sceneggiatura!
[youtube url=”http://youtu.be/C8yHWyl0trc” autohide=”2″ fs=”1″ hd=”1″]
Back to the past
C’è una regola precisa nello show biz: non diventi una leggenda senza passare un calvario. È una cosa che sanno tutti i grandi, che scontano nella propria esperienza un bel po’ di grattacapi. Ritorno al Futuro, in quanto “big” della storia del cinema non fu esente da questa regola, tant’è che pensare che tutto sia filato liscio dalla concezione della sceneggiatura alla messa su pellicola è, fondamentalmente, un’eresia. La trilogia è stata, sin dagli esordi, vittima di un bel po’ di problemi tant’è che dalla stesura della sceneggiatura alla possibilità di andare nelle sale passarono ben 5 anni. Non tantissimi dirà qualcuno, ma comunque neanche pochi. L’idea del film nasce come una tipica favola americana. L’uomo della favola è Michael Robert Gale, meglio noto come Bob, un tizio speranzoso e di talento che aveva dalla sua un lavoro non da poco, 1941 – Allarme ad Hollywood. Una roba che a voi non dirà niente, ma che di fatto è la prima commedia mai girata da un certo Steven Spielberg, con attori del calibro John Belusci e Dan Aykroyd. Il film, neanche a dirlo, fu un fiasco al botteghino ma permise a Bob di conoscere un uomo con cui avrebbe poi collaborato per tanti, tantissimi, anni: Robert Zemeckis.
Tornando alla favola di cui sopra, succede che dopo il fallimento di 1941 – Allarme a Hollywood, Gale è alla ricerca di un’idea. La cosa deve essere un pensiero fisso, tant’è che un pomeriggio, mentre riordina la sua polverosa soffitta rinviene alcuni vecchi cimeli del padre tra cui, pare, un diario dei tempi della scuola in cui scopre che Gale Senior era capoclasse. La notizia di per sé non sconvolse Bob, ma cominciò a farlo viaggiare in trip non da poco, in cui provò a immaginare la vita di suo padre ai tempi della scuola e lì, evidentemente, fu in odore di epifania. Gale scese quindi dalla soffitta e fece un colpo di telefono a Zemeckis, regista di belle aspettative ma anch’egli spiantato. Mister Z tra le altre cose portava sulle spalle non uno, ma ben due smacchi di botteghino: La fantastica sfida e 1964 – Allarme a N.Y. arrivano i Beatles! (che al duo le situazioni di “allarmi” evidentemente non portavano bene). Gale e Zemeckis, quindi, si incontrarono per parlare delle idee di Bob e si trovarono subito entusiasti dello sviluppo del progetto. Si erano già visti al cinema prodotti incentrati sul viaggio del tempo, ma il duo aveva progetti diversi. L’idea sarebbe stata quella di una commedia dal taglio giovanile, con situazioni per ragazzi e che non si sarebbe semplicemente interrogata sulle possibilità del viaggio nel tempo, ma che avesse esplorato i “guai” in cui un giovane si sarebbe potuto imbattere intralciando il passato della propria famiglia. Nacque così la prima, vera, stesura di Ritorno al Futuro, ma da qui alla storia ci volle ancora un po’.
Back to the money
L’idea di Ritorno al Futuro era buona, e probabilmente profumava anche di denaro ma il passato di entrambi i suoi ideatori non era di buon auspicio per nessuno studio di produzione. I due avevano infatti credito dalla critica (che aveva giudicato tutte le opere precedentemente citate di ottima qualità), ma il riscontro dei botteghini era stato così povero che trovare denaro per Ritorno al Futuro era diventato una chimera. Certo, si era offerto Steven Spielberg come produttore esecutivo del progetto, dato soprattutto l’amore di quest’ultimo per la fantascienza cinematografica, ma lo script del film veniva comunque rifiutato da tutti gli studio di produzione. Lo smacco, inoltre, non arrivava solo dal fatto che i due fossero stati particolarmente sfortunati in termini di pubblico, ma anche da quello che era il trend del momento: la college comedy. Film come Porky’s, incentrati su di una certa volgarità da confraternita universitaria erano distanti anni luce da Ritorno al Futuro e molti studio ritennero l’uscita al cinema del film un fiasco assicurato, grazie soprattutto alla sua mancanza di tematiche spinte che lo accomunassero al Porky’s di cui sopra. L’unica mosca bianca in questa storia fu Disney, che si dimostrò interessata alla cosa ma che mal digeriva l’idea che il giovane Marty potesse avere un incesto con sua madre… dopo vari tentennamenti, ed alla luce della volontà dei due di non cambiare né stravolgere la loro creatura, infine anche Disney fece crollare il suo interesse e la questione si accantonò… di nuovo. Passarono quindi diversi anni, e pareva che per Ritorno al Futuro non ci fosse soluzione. Gale e Zemeckis chiesero praticamente a tutte le major i fondi per finanziare il film, ma ottennero solo che Columbia Pictures ne mettesse in vendita i diritti, senza comunque riuscire ad accaparrarsi fondi. Nonostante l’altisonante nome di Spielberg come produttore esecutivo, quel che ottennero fu insomma un buco nell’acqua… questo almeno fino al 1984.
Back to the stone
Si è detto che il genere più in voga nel cinema a quei tempi era la commedia in stile college americano, fatta di tette, ubriachi, confraternite e volgarità. Ma in realtà essa non era l’unico filone a godere dei favori del pubblico. Il genere avventuroso stava infatti riscuotendo un gran successo nelle sale, anche con film spesso non proprio al vertice della qualità. Tutto questo lo si deve a un solo uomo: Indiana Jones, o meglio a Steven Spielberg che nel 1981 con I Predatori dell’Arca Perduta aveva instillato nella testa degli spettatori il bisogno di avventure esotiche.
Di Indy prima o poi parleremo, ma se è il discorso è stato introdotto è perché proprio sulla necessità di seguire questo trend, anche Zemeckis se ne uscì con un film di genere avventuroso: All’inseguimento della Pietra Verde (Romancing the Stone) che arrivato nei cinema nel 1984 ottenne un successo considerevole, tanto che alcuni critici lo ritennero forse il miglior erede dello spirito (avventura con un tocco di humor) del primo Indiana Jones tra tutti quelli che lo avevano copiato. Forte soprattutto dell’affiatamento della coppia di attori scelti per il film (Michael Douglas e Kathleen Turner), il film fu osannato dal pubblico, tanto che potette competere senza fatica con uscite come Ghostbuster che con Beverly Hills Cop (non tratteniamo le lacrime per nessuno dei due!). L’arrivo del suo primo successo al box office permise quindi a Zemeckis di ri-ottenere credito presso le major, cosicché FINALMENTE, si presentò l’occasione per poter presentare il progetto di Ritorno al Futuro senza che gli venissero chiuse le porte in faccia. Ricontattato Spielberg e la sua Amblin Entertainment, gli unici che si erano detti interessati al film in tempi sospetti, e incaricato il mitico Steven del ruolo di Produttore Esecutivo, il film fu definitivamente preso sotto l’ala della Universal e il duo poté quindi dare vita al sogno, anche se i problemi non erano ancora finiti. Il casting, infatti, impegnò la produzione con non pochi grattacapi, uno su tutti: Michael J. Fox. L’attore, allora poco più che ventenne, stava infatti godendo di un buon successo, soprattutto nei circoli familiari (fascia a cui, di fatto, il film puntava) grazie alla sit-com Casa Keaton in cui Fox interpretava il personaggio di Alex. Zemeckis voleva assolutamente che Fox prendesse parte al progetto, ma le riprese serrate della serie tv non davano all’attore possibilità di partecipare alle riprese, ed ecco perché al buon Michael si preferì, almeno inizialmente, un attore che gli somigliasse ossia Eric Stoltz, allora emergente che si è poi consacrato negli anni grazie al cinema indipendente.
Ma la presenza di Stoltz non durò che sei settimane, poiché evidentemente a Fox il tarlo di apparire al cinema stava rodendo nel profondo. Dopo aver riflettuto su come dividersi tra cinema e tv, Fox contatto Zemeckis dandosi infine disponibile ad interpretare Marty e Stoltz fu così liquidato. La produzione subì un arresto brusco e il tutto fu riassettato per andare incontro alle esigenze di Fox che, pare, fosse per lo più disponibile di notte il che obbligava la troupe a lavorare in orari assurdi (e lo stesso Fox a dormire pochissimo, tant’è che spesso, confessò Zemeckis, il ragazzo dormiva sul set). Le scene dinamiche e i campi lunghi in cui non era possibile distinguere Stoltz da Fox furono quindi tenute, mentre tutte le scene restanti furono cestinate e rigirate. Fox si affiancò quindi al co-protagonista che il duo aveva già scelto, e che si era accaparrato il ruolo grazie al suo fisico e alla sua presenza da “scienziato pazzo”. Parliamo ovviamente di Christopher Lloyd che, già consacratosi con Qualcuno volò sul nido del cuculo nelle vesti di un folle, fu scelto senza remore per il ruolo di Doc. Brown. La storia ci dice che fu lo stesso Zemeckis a sceglierlo perché; pare, giudicasse le sue doti da caratterista e la sua mimica impareggiabili. E diamine aveva ragione!
TRIVIA: L’idea originale non voleva che la macchina del tempo fosse una Delorean, ma piuttosto un frigorifero che potesse essere sbalzato nel tempo grazie al rilascio energetico di un’esplosione atomica. L’idea fu però scartata in quanto c’era il timore che, nel tentativo di imitare il film, i ragazzini si chiudessero nei frigoriferi, e quelli dell’epoca avevano particolari mollettoni che impedivano di aprirli dall’interno. Al posto del frigo fu quindi usata la fighissima Delorean, un’auto dall’aspetto futuristico, presente sul mercato in pochissime copie, e praticamente unico successo commerciale di una casa ben presto fallita. L’idea del “frigo atomico” tuttavia non è stata cestinata negli anni, e proprio Spielberg l’ha recuperata nel suo controverso Indiana Jones 4.
Back to the third
Ritorno al Futuro arrivo quindi nei cinema nel 1985 e fu un successo esplosivo. Il film incassò tantissimo e ottenne sia dal pubblico che dalla critica un consenso pressoché unanime e positivo. Gale e Zemeckis, tuttavia, erano stati furbi, ed avevano chiuso il film con la possibilità evidente che, se si fossero trovati i fondi, si sarebbe girato un sequel. La preparazione a Ritorno al Futuro II fu, anche stavolta, molto lunga e ciò lo si dovette non alla necessità di trovare fondi ma proprio al successo che praticamente ogni membro della squadra stava ottenendo a livello mondiale. Con ognuno coinvolto in vari progetti, ci vollero quattro anni affinché Ritorno al Futuro Parte II arrivasse nei cinema.
La lavorazione, anche stavolta, fu fuori di testa, su tutto a causa di una prima stesura della sceneggiatura che fu giudicata “non filmabile” (non si seppe mai bene il perché) e poi a causa della defezione di Crispin Glover, l’attore che aveva interpretato George McFly e che portò, pare, a una parziale modifica dello script. Come fu, il film doveva inoltre essere unico e completo, e non la seconda parte di una trilogia. L’idea originale, infatti, era di uscire con un solo film chiamato Paradox, ma probabilmente per il sovraffollarsi di idee (e di girato), l’opzione più sensata e godibile fu quello di dividere il lavorato in due parti, e nacque così anche Parte III che, di fatti, uscì ad un solo anno di distanza dal suo prequel.
E con Parte III si chiuse quella che fu una trilogia dal successo immane, stupendo anche il pubblico con un’ambientazione inattesa e inedita. Gli attori, ormai ampiamente consacratisi vissero l’esperienza di Ritorno al Futuro II & III con un mood completamente diverso, tanto che alcune delle trovate del film furono scherzosamente suggerite da loro, una su tutte (o almeno così si dice), proprio l’idea del far west che, pare, sia stata suggerita da Fox e dal suo amore per il cinema di genere. Certo, in quel periodo la produzione fece letteralmente le corse per girare il tutto in poco tempo ed è sorprendente scoprire come Parte II e Parte III siano stati girati praticamente in successione, con un tempo di realizzazione totale di 11 mesi, questo probabilmente a causa dell’originale idea di “Paradox”. Come che sia la pellicola fu un successo enorme e consacrò in via definitiva gran parte degli addetti ai lavori, soprattutto nelle figure di Zemeckis e Fox che negli anni 90 godettero, grazie alla serie, di un credito notevole. Nonostante fosse spesso considerato il più fiacco dei 3 capitoli, a Ritorno al Futuro Parte III si da comunque il merito di aver sorpreso con gusto lo spettatore con una serie di trovate in salsa spaghetti western che potevano bellamente sollazzare i fan di Leone. Partendo dal presupposto che l’intera pellicola è un’enorme citazione della Trilogia del Dollaro, il film fu anche un’occasione per divertirsi in un forsennato citazionismo che, partendo dal nome Clint Eastwood (il cui utilizzo fu appositamente concesso da Clint in persona!) si fa strada tra poncho, occhiate strette, impiccagioni e tutto il resto. Gran parte delle scene è stata girata richiamando appositamente un corrispettivo esistente nella grande cinematografia western, spesso con esiti anche pericolosi come quanro, nella scena dell’impiccagione, Michael J. Fox restò accidentalmente strozzato perdendo i sensi.
Back to the Doc
Ma la trilogia non è solo Delorean e incestuose situazioni edipiche, quanto piuttosto fisique du role di quell’attore iconico e immenso che è Christopher Allen Lloyd. “Disegnato” per richiamare tanto Albert Einstein quanto Leopold Stokowski (direttore d’orchestra polacco), Il Dottor Emmett Lathrop “Doc” Brown è una vera e propria icona del cinema moderno. Vuoi per il suo aspetto a metà tra il serio e il caricaturale, vuoi per la straordinaria presenza dell’attore che lo ha interpretato, vuoi certamente per la sua più celebre esclamazione: Grande Giove! Quest’ultima, degnamente tradotta nella nostra lingua, era a sua volta una citazione poiché “Great Scott” era una delle esclamazioni preferite di Sherlock Holmes.
Ritenuto tra i 100 migliori personaggi della storia del cinema (per la precisione occuperebbe la 76° posizione) Doc Brown gode di una storia molto più cesellata di quel che si pensi, e questo soprattutto grazie alla multimedialità di cui godette Ritorno al Futuro, tale che oltre ad una serie a cartoni animati ne fu prodotto anche un videogame con protagonista un giovane Doc Brown. L’eccentrico dottore nasce, quindi, nel 1914 a Hill Valley, in California, paese dove passerà praticamente tutta la sua vita. Il suo cognome originale non era tuttavia Brown, ma von Braun, essendo la sua famiglia di origini tedesche. Anche questa, in realtà, è una piccola citazione colta della sceneggiatura, a voler suggerire che la famiglia Brown sia indissolubilmente legata con le scienze e la meccanica tant’è che il mondo ricorda Wernher von Braun come il brillante scienziato tedesco che sarà fondamentale nello sviluppo della missilistica moderna. Doc è un personaggio speranzoso, positivo, ed è il motore della morale di Marty convincendolo, spesso, a desistere dalla sua stessa idiozia giovanile. Ma Marty, a sua volta, diventa pian piano l’appiglio alla realtà per il Dottore, spesso sin troppo divagante nelle sue folli teorie, alla ricerca di metodi (pericolosi) per metterle in atto. Proprio il conseguimento di un esperimento dall’esito difficile è il fulcro dell’amicizia dei due, concentrata in ogni media nel reciproco e mutuo soccorso. Come se Marty e Doc, con le differenze più che dovute, siano in realtà due aspetti di una stessa verve: quella che punta alla scoperta del mondo.
Quello imminente per Marty, e quello più immanente per Doc. A Chris Loyd diamo il merito di aver dato vita a un personaggio che, nonostante un’apparente stereotipizzazione da “scienziato pazzo” (cosa su cui gioca lo stesso film più e più volte), nasconde in realtà un qualcosa di più definito e apprezzabile. La cosa non ci sorprende. Non bastasse la sapiente penna del duo Gale/Zemeckis, Loyd si è sempre distinto per essere un caratterista di primo livello, tant’è che al di la dei ruoli più diversi e disparati, lo si ricorda oltre che per Doc per due personaggi stravaganti e completamente diversi: Zio Fester Addams e Il Giudice Morton in Chi Ha Incastrato Rober Rabbit?. Ruoli strani, accomunati da una pazzia, da un lato sottesa, dall’altro manifesta che più che stupire fa quasi sorridere, soprattutto se si pensa che la sua consacrazione al settore, ossia il suo primo ruolo di spessore, fu proprio quello di un matto in cura psichiatrica nel caposaldo del cinema: Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman.
Ultimo trivia prima di chiudere: anche il nome proprio di Doc è una simpatica trovata di sceneggiatura. Se letto al contrario, infatti, Emmet suona, in pronuncia inglese (e quindi scandendo “te” come “ti”) come molto assonante alla parola time. Il secondo nome invece, Lathrop (ormai così incredibilmente assonante a “laptop”) è invece la pronuncia inversa della parola “Portal” per cui, di fatto, Doc si chiama “portale del tempo”. Nomen omen.