Il ritorno di Mr. Robot
“Io volevo salvare il mondo…” così sussurrava, incredulo, Elliot Alderson, con una bella inquadratura in primissimo piano, nei momenti più concitati dell’ultimo episodio della prima stagione, mentre intuiva cosa aveva scatenato il suo attacco del 9 maggio.
Adesso invece se n’è reso definitivamente conto. “Non ho iniziato una rivoluzione. Ci ho solo resi abbastanza docili da farci massacrare”. Dice adesso all’amico immaginario che abita gli scomparti sempre più contorti e nascosti del suo cervello, un amico a cui spesso si rivolge come se fosse uno di noi, uno degli spettatori che osservano le sue disturbanti avventure in una realtà folle, allucinata e oscura, così diversa dalla nostra eppure così simile. Una realtà che ha contribuito a creare. E che adesso da cercando di distruggere prima che sia troppo tardi.
Se non avete mai seguito la serie fin qui, un simile preambolo potrà sembrarvi sconnesso e privo di logica. E sarebbe anche giusto, diciamoci la verità. In questa lunga storia, in questo moderno romanzone televisivo, il delirio, la confusione, il caos semplice e banale la fanno da padroni. Esattamente come nei tempi assurdi che viviamo.
Mettetevi comodi: Mr. Robot riparte da qui.
È passato poco più di un anno da quando l’episodio conclusivo della seconda stagione, Tempo scaduto, ci aveva lasciato in sospeso mostrandoci i momenti più drammatici dell’intera vicenda (e ce ne sono stati tanti). Cisco (Michael Drayer) morto, Darlene (Carly Chaikin) catturata dall’agente Dominique Dipierro (Grace Gummer) e probabilmente compromessa con l’FBI, Trenton (Azhar Khan) e Mobley (Sunita Mani) rintanati chissà dove, la Dark Army intenzionata a rimuovere tutti i suoi scomodi alleati, Angela (Portia Doubleday) illuminata dall’incontro con l’enigmatico White Rose in un crescendo dall’esito imprevedibile. E specialmente Elliot (Rami Malek), la mente demiurgica della strategia di cambiamento globale, a terra con un proiettile nello stomaco sparato da Tyrell Wellick (Martin Wallstrom), ex dirigente della Evil Corp passato dalla parte dei rivoltosi. Il tutto non era altro che una complessa strategia di Mr. Robot (Christian Slater), che ha cercato in ogni modo di tenere la sua controparte all’oscuro di ogni cosa e, per ora, ci è riuscito. Ma l’hacker più famoso del piccolo schermo non ha nessuna intenzione di arrendersi. Ed è qui che lo troviamo, nella première della terza stagione, costretto ad affrontare le conseguenze di un qualcosa che gli è sfuggito di mano e che rischia di distruggere il mondo, invece che salvarlo. Deve fermarlo, a qualunque costo. Deve ostacolare i piani che proprio lui ha realizzato, in una folle gara contro se stesso. Riuscirà a prevalere?
Andato in scena per la prima volta il 24 giugno del 2015, il primissimo episodio di Mr. Robot (diretto, tra l’altro, da Niels Arden Oplev) aveva fatto parlare di sé come uno dei migliori pilot di sempre, guadagnandosi un’attenzione perentoria tra ovazioni e click. Ora, a più di due anni da quel folgorante esordio, di acqua ne è passata sotto i ponti e la serie non può più definirsi una sorpresa. Anzi, ormai ha già centrato degli obiettivi notevoli e per certi versi si può guardare indietro con grande soddisfazione. Oltre ad avere fatto definitivamente esplodere il talento di Rami Malek, fino a quel momento conosciuto soprattutto come comprimario di spessore, ha consacrato l’astro nascente di Sam Esmail, anche lui allora non troppo noto al grande pubblico. Fin dalle prime battute, in quel suo miscuglio di dramma, thriller, psicologia, regia insolita, effetti disturbanti, Mr. Robot si è fatto vedere come un prodotto che, nonostante alcune titubanze di trama per lo più trascurabili, si è consacrato come opera autoriale dallo stile forte e inconfondibile. Non a caso è quasi tutta diretta e scritta da Sam Esmail stesso, tanto da sembrare direttamente una sua emanazione. Anche la critica ha avuto pochi dubbi sulla qualità del lavoro svolto, dai più incoronato l’erede moderno di Fight Club e portavoce del secondo decennio del duemila.
Infatti la vera chiave di volta delle serie è sempre stata l’attualità, non disconosciuta o negata per un ritorno al passato come fanno in tanti, ma affrontata di petto e rappresentata con uno spettro narrativo fuori dal comune. Fin dai personaggi, figure complesse che si muovono su uno sfondo reale e riconoscibile, passando per l’ambientazione, l’atmosfera, in tutto è possibile identificarsi facilmente e ritrovare le caratteristiche fondamentali dell’era contemporanea. Colossi aziendali simili a mostri mitologici, turbo capitalismo imperante, nevrosi, sdoppiamento di personalità, web, identità virtuale e identità reale, hackeraggio: tutti fattori che costituiscono la premessa e il contenuto di Mr. Robot. Contenuto che la rende a sua volta scomoda, contrastante e provocatoria, codice genetico dello show fin dal primo fotogramma.
Ed è proprio da qui che comincia la terza stagione della serie, da se stessa e da quello che è il suo DNA, proiettando il logo con in sottofondo l’armoniosa voce di Julie Andrews che canta Whistiling away the Dark, brano composto per il musical Operazione Crêpes Suzette (Darling Lili, in originale). Tanto per cambiare, l’effetto è straniante, deviante e stranamente familiare. È il bentornato che accoglie i fan.
Arrivati a questo punto, dopo ben 22 puntate, lo stile dello show è riconoscibile e ammorbante, uno stile che porta la firma in bella calligrafia di Sam Esmail. Dopo una seconda stagione un po’ altalenante, sebbene altrettanto valida, questi fotogrammi iniziali hanno il sapore di un ritorno al passato, di un nuovo inizio. Sensazione confermata lungo tutta la puntata, nonostante ci siano molte novità non esattamente trascurabili. Su tutti l’apparizione di Irving (Bobby Cannavale), un personaggio insolito che, da quanto apprendiamo, è una sorta di angelo custode sui piani di Mr. Robot, l’alter ego del nostro protagonista. Un personaggio anche lui doppio e contrastante, che sembra far parte di un sistema e negarlo con la sua stessa esistenza. Ed è sempre il dualismo l’argomento centrale della serie, un dualismo che nella seconda stagione sembrava in qualche modo risolto e che ora ritorna, portando nuove sfumature e sviluppi ancora più inquietanti. Se prima tra Mr. Robot ed Elliot c’era un diverbio forte, visibile, che spesso conduceva ad un confronto faccia a faccia, fatto di urla e metaforici spari alla testa, adesso è diventato più silenzioso, oscuro, eppure attivo e pericoloso, come un cancro che agisce indisturbato sotto la pelle mentre al di fuori il corpo appare del tutto sano. Ed Elliot sembra proprio un malato, un malato che cerca di guarire mentre le persone intorno a lui fingono di volerlo assistere e cercano invece di accelerare la sua dipartita per non farlo soffrire, o di sfruttarlo, per sentirsi meglio con loro stessi. Il contrasto, ancora una volta, è disarmante, perché mai come prima d’ora il nostro protagonista è stato consapevole di ciò che succede e di quello che deve fare per risolvere la situazione.
Fuori, anche il mondo sembra vivere questa crudele condizione. New York è diventata sempre più buia, flagellata da un interminabile blackout, con tanto di riferimenti infernali che occhieggiano al Taxi Driver di Scorsese. Una città sull’orlo del baratro che sembra aver finalmente visto una luce (anzi: le luci, dei lampioni), ma che in verità non è altro che un moribondo in attesa del colpo di grazia. E, in tutto questo, tornano feroci le intrusioni della contemporaneità, come lo shock dell’elezione di Donald Trump e quello della Brexit, con le immagini allucinate del presidente americano e della Premier Britannica Theresa May.
Il riferimento non è casuale. Mr. Robot aveva mostrato, nella seconda stazione, un paradigma atroce ma che pareva calarsi perfettamente nel presente di oggi: l’idea che, ormai, le rivoluzioni siano impossibili, che abbiano perso il loro significato perché perfettamente integrate in un sistema che le divora e poi le rigetta, trasformandole in qualcosa di utile per la persecuzione dell’interno organismo. Il capitalismo che ingloba gli elementi del suo stesso dissenso trasformandoli in prodotti commercializzabili. Quindi è tutto da rifare. Anzi, da disfare, come vuole Elliot. Ma proprio per questo potrebbe riuscire a cambiare qualcosa. Cosa succederà? Lo scopriremo presto. E intanto, mentre ci godiamo la fine della puntata sulle note pulsanti di Touch dei Daft Punk, questa consapevolezza ci colpisce insieme a qualcos’altro. Questa stagione di Mr. Robot potrebbe davvero superare le precedenti e raccontare qualcosa di straordinario. Mettete le maschere. Andate per le strade. La rivoluzione è qui.