A Musical Story, debutto dello studio francese Glee-Cheese, è una rock opera digitale che ci parla della volontà di chi l’ha creato di ispirarsi e rendere omaggio senza mai cedere alla perdita di consapevolezza del presente e del personale
uando ho letto le prime informazioni a riguardo di A Musical Story devo confessare che ho iniziato a covare dei dubbi. Avevo paura che il gioco di debutto dello studio Glee-Cheese, volendo essere un omaggio alla musica che ruotava intorno ai movimenti hippy americani, risultasse fin troppo legato a quei contesti culturali e poco propenso al porre questo tipo di narrazione all’interno del presente. Sono però bastate poche righe di descrizione del progetto e del gruppo di lavoro, insieme ai vari trailer che hanno accompagnato il periodo di promozione, per capire che mi stavo sbagliando nel trarre conclusioni così affrettate.
Prima di scendere nel dettaglio dei perché e per come io abbia preso un abbaglio nel male interpretare questo videogioco dalla sua premessa mi dilungo nel consueto snocciolamento di dettagli e contesti, che credo siano utili per creare uno sfondo al resto del mio articolo. A Musical Story è un rythm game atipico in moltissimi dei suoi aspetti, tanto tecnici quanto estetici e anche progettuali. Si tratta infatti di un gioco musicale interamente narrativo, pensato come fosse un concept album (formula tanto cara alla musica dell’epoca che negli ultimi anni sta incontrando il videoludico più spesso di quanto possa sembrare) che stravolge in modo abbastanza netto le consuetudini della tipologia.
Tale ribaltamento è dettato dal fatto che le sezioni giocabili, rappresentate dalle ventiquattro canzoni (a cui si aggiungono le due extra necessarie per sbloccare il finale alternativo) che accompagnano il racconto, hanno come punto ludico centrale l’ascolto e la padronanza della sfera ritmica rispetto a un approccio più strettamente visivo. Chi gioca deve quindi calarsi dentro le composizioni di Charles Bardin (che oltre a dirigere la musica ha anche progettato la struttura ludica, come game designer) in modo tale da assumerle, piuttosto che intuirle visivamente e prevederle. Giocando si assiste quindi a un’inversione di marcia davvero poco esplorata nel genere di riferimento, dominato dallo studio meccanico delle charts anziché da un approccio più strettamente musicale e finalizzato all’armonia tra immagine e suono.
Una mescolanza tra visivo, udibile e giocabile che si incrociano nella storia di Gabriel, protagonista di A Musical Story. La sua è una storia che tratta di come la musica possa essere l’unica valvola di sfogo in un contesto sociale opprimente, e di come l’escapismo forzato dalle sostanze anziché generare creatività possa solo isolare le persone e generare effetti opposti a quelli sperati. Un racconto che ovviamente ci riporta in modo automatico al contesto storico in cui è ambientata la vicenda, con situazioni, usi e costumi tipicamente californiani e riconducibili a quel periodo, e che senza fare troppi misteri chiama in causa nomi giganti di quella scena come Jimi Hendrix e Joni Mitchell dando ai personaggi del gioco sembianze, accessori e atteggiamenti che immediatamente possiamo collegare.
La storia viene comunicata attraverso delle animazioni che pescano a piene mani dalla tradizione grafica e visiva dell’epoca, dalle copertine dei dischi ai cartoni animati. I colori accesi dei vestiti vengono contornati da effetti e texture grezze e vivide che ci portano subito in un’atmosfera familiare ma non troppo. Riusciamo in poco tempo a capire perché è stata scelta questa direzione artistica e quali valori vengono tirati in causa, ma contemporaneamente nulla sembra derivativo o troppo ancorato al materiale di origine. Al contrario le tecniche e i modi in cui vengono gestite le istanze artistiche ci portano immediatamente al presente e a un discorso contemporaneo e personale.
Ragionamento analogo può essere fatto per le musiche, anch’esse legate al passato solo per punto di partenza e che mai cedono alla lusinga dello scimmiottamento per imbonire chi gioca A Musical Story. Le partiture che accompagnano il gioco, oltre a essere la base su cui è costruita l’esperienza ludica (e per chi vi scrive anche piuttosto difficili, nonostante la semplicità dei comandi), assumono una connotazione stilistica che solo in parte rientra in quel che normalmente potremmo associare a quel periodo. Ovviamente c’è un riferimento ma è tenuto come impalcatura su cui poi viene costruito tutto il resto. Il risultato è una colonna sonora ambient molto contemporanea e variegata, dotata di refrain e movimenti ricorrenti nelle varie tracce per ricordare ciò che si è visto in momenti precedenti della storia.
A Musical Story è dunque un omaggio ma anche una cosa nuova che nasce a partire da. Quello di Glee-Cheese si rivela come un percorso che ispirandosi prende direzioni proprie e esplora dimensioni ludiche nate da bisogni evidentemente personali. Una storia fortemente drammatica raccontata interamente senza parole, lasciando chi gioca a fare i conti con ciò che vede e che sente e reagire di conseguenza. Il viaggio di Gabriel e delle persone che lo accompagnano verso il festival immaginario di Pinewood è quindi la metafora sia di un periodo storico molto preciso ma assume anche piccole connotazioni autobiografiche da ritrovare nelle intenzioni che stanno dietro le persone che hanno lavorato a questo progetto, che devono molto a ciò da cui hanno preso ispirazione ma che contemporaneamente vogliono affermarsi per il proprio senza parassitare.