Uno yuri fuori dal comune
Donne alla ricerca della propria identità, regine dell’introspezione, acute indagatrici dei bisogni e dei desideri: ecco il manga che fa per voi. La mia prima volta – My Lesbian Experience With Loneliness di Kabi Nagata, pubblicato il 23 gennaio in Italia da J-Pop Manga, è il report esatto della prima volta (e della seconda, in appendice) di una ragazza giapponese. Lontana dall’indugiare in una sensualità compiacente e voyeuristica, Nagata non risparmia la sua bellissima personalità, che emerge limpida e spontanea in ognuna delle tavole del manga. Più che uno yuri in senso classico, una confessione fluviale e sofferta su temi importanti, come l’omosessualità, il disagio mentale e la necessità di essere accettati dalla propria famiglia e dalla società.
My Lesbian Experience With Loneliness: iniziamo dalle basi
Chi già mastica di manga e cultura giapponese non avrà bisogno di questa premessa, ma per tutti gli altri è il caso di chiarire cosa intendiamo quando parliamo di yuri e yaoi. Sappiamo già tutti che dire “manga” è dire niente, data la grande quantità di sottogeneri che lo caratterizzano. Tra questi, abbiamo due filoni concentrati sulle esperienze sentimentali e sessuali di giovani ragazzi e ragazze che amano persone del loro stesso sesso. Chiaramente, la divisione non è mai così netta come si potrebbe credere, tant’è che anche manga e anime di tutt’altro tipo hanno sempre accolto qualche traccia di ambiguità nei rapporti tra i personaggi. Ricordate, a tal proposito, la figura androgina di Lady Oscar e la sua liaison più o meno manifesta con Maria Antonietta o la relazione tra Sailor Urano e Sailor Nettuno.
Un topos piuttosto ricorrente del racconto dell’omosessualità (femminile e non solo) è l’ambientazione scolastica. In effetti, questo contesto è piuttosto battuto dalla letteratura illustrata giapponese per raccontare l’educazione sentimentale dei giovani lettori e delle giovani lettrici. Laddove i ragazzi e le ragazze fanno vite piuttosto separate, diventa naturale che si sviluppino rapporti che tendano all’attrazione (omo)erotica, oltre che allo struggimento amoroso: è l’adolescenza, baby.
Per questo motivo, i fan del genere yuri (e del loro corrispettivo maschile, lo yaoi) amano particolarmente seguire le vicende romantiche che si intrecciano tra ragazzine e ragazzini: sono le dinamiche perfette su cui proiettarsi, sia per chi ha la stessa età del protagonisti, sia per chi quell’età l’ha passata da un po’.
Un altro elemento importante di questi due generi (restando sempre sul vago) è il ribaltamento dei ruoli canonici sia dei personaggi femminili, sia di quelli maschili. Le donne fragili e i maschi alpha perdono consenso e le personalità si aprono a nuove sfumature: il risultato? La codificazione – ahimè – in nuovi stereotipi, con ragazzi delicati e valchirie glaciali e impenitenti.
Una nota: contrariamente a quanto si possa pensare, le lettrici sono le fan più accanite del genere yaoi e non solo le ragazze omosessuali sono grandi lettrici di genere yuri. Le storie, così come le personalità dei personaggi, sono trasversali e vanno a solleticare l’immaginazione del pubblico più vasto.
Perché My Lesbian Experience With Loneliness è uno yuri fuori dal comune?
Nonostante la varietà interna al genere – abbiamo lo shounen yuri (scritto da uomini per uomini), lo shoujo yuri (scritto da donne eterosessuali per donne eterosessuali) e lo yuri scritto da lesbiche per lesbiche – ciò che accomuna molta di questa produzione è quella più o meno sottile tensione erotica che si sviluppa tra le protagoniste. Mi spiego: certamente quando si tratta di un tema come questo, non ha alcun senso tralasciare la componente sessuale, ma nella maggior parte degli yuri questa è delicata o spinta, e mai fonte di conflitti o tormenti psicologici. Come mai? Il Giappone è talmente avanti da parlare (ormai da anni) di omosessualità femminile senza battere ciglio?
La verità, purtroppo, non è così semplice. In Giappone, stando alla testimonianza diretta di molti ragazzi e molte ragazze, l’omosessualità non è considerata un problema perché nella maggior parte dei casi non è riconosciuta. Sia chiaro: non si tratta di omofobia violenta ed esplicita ma di un altrettanto crudele mettere la testa sotto la sabbia. Se le relazioni fra ragazze – tanto per tornare sul nostro tema – sono accettate implicitamente durante la fase adolescenziale/scolastica, una volta diventate adulte le donne devono semplicemente farsela passare.
Interrogati sul tema in dibattiti molto informali, i ragazzi giapponesi affermano semplicemente di non conoscere nessun omosessuale o di non capire il motivo per cui doversi dichiarare gay. Certo, da un lato abbiamo la discrezione tipica del Paese, ma dall’altro anche un atteggiamento piuttosto repressivo. Ricapitolando: l’omosessualità non è che non esista, semplicemente non è il caso di parlarne. E, inoltre, si possono avere pensieri di natura erotica nei confronti di una ragazza/o dello stesso sesso ma, da adulti, non è più il caso di coltivarli.
Qual è la risposta della comunità Lgqbti? Un manga sincero e sentito come My Lesbian Experience, ad esempio.
My Lesbian Experience With Loneliness parla di sesso, ma non di erotismo
Non c’è alcuna volontà di solleticare il desiderio del lettore e della lettrice, in My Lesbian Experience With Loneliness. Il racconto è solamente un resoconto della sofferenza e della liberazione della protagonista, e del suo difficilissimo percorso psicologico che l’ha portata ad essere la donna che è.
Il suo rapporto pressoché inesistente col sesso, fino all’età di 28 anni – quando si sforza di cimentarsi in un rapporto con un’accompagnatrice a pagamento – le causa non pochi scompensi. Non si parla solo di omosessualità, infatti, ma anche e soprattutto di ruolo: il segreto della protagonista sarebbe potuto essere un altro, avrebbe avuto lo stesso effetto perché quello che l’omosessualità mette in discussione è soprattutto il vestito sociale che la protagonista deve indossare.
Quel qualcosa di cui è meglio non parlare, quel desiderio che stenta trovare la sua strada giace in fondo allo stomaco della nostra Kabi Nagata, consumandola in maniera violenta. Da una forma di alopecia, a disturbi alimentari, fino a una depressione sempre più profonda che l’ha distolta a lungo dalla ricerca del proprio posto nel mondo, tutte queste manifestazioni urlano a gran voce un desiderio di essere riconosciuta, per quello che è: donna, lesbica, artista e desiderosa di cura, attenzioni, amore.
L’ossessione di Nagata in My lesbian experience, come lei stessa riconosce in questa confessione-terapia è la ferrea volontà di non deludere mai i suoi genitori: ed ecco che torniamo al confronto castrante con la società giapponese contemporanea. Il sottile confine tra ciò che è vietato e ciò di cui è opportuno non parlare affonda le sue radici nelle più antiche tradizioni giapponesi, fin dai tempi dei Samurai. Non era per nulla raro che – sempre in quel clima separatista che vedeva la formazione maschile e quella femminile prendere strade radicalmente diverse – si instaurassero rapporti di profondo sentimento, destinati a morire nel segreto. Scriveva Yamamoto Tsunetomo, attivo tra il XVII e il XVIII secolo, in una magnifica testimonianza raccolta poi nell’Hagakure:
L’amore più profondo è l’amore nascosto. Una poesia dice: «Alla mia morte dal fumo conoscerai il mio amore, mai espresso e tenuto celato nel mio cuore». Chi esprime il suo amore prima di morire, non ama profondamente. Solo l’amore che rimane celato fino alla morte è infinitamente nobile. Sono convinto che sia sublime amare fino alla morte. […] Su questo si basa ogni altra conoscenza e la stessa relazione tra il daimio e colui che lo serve. Per essere puro di fronte alle persone, un uomo non fa nulla di riprovevole quando è solo nel buio e non pensa alle bassezze.