Con Gideon la Nona di Tamsyn Muir torna alla ribalta la necromanzia in letteratura
Ulisse, Victor Frankenstein, Lord Voldemort. A prima vista non hanno nulla in comune, eppure sono tre dei tanti portabandiera di una pratica sorprendentemente diffusa in letteratura: la necromanzia. L’arcana arte di comunicare con i morti affonda le proprie radici negli albori della civiltà e si dimostra di grande interesse ancora oggi, con l’uscita per Oscar Fantastica di Gideon la Nona, romanzo della talentuosa autrice neozelandese Tamsyn Muir. Scopriamo insieme la necromanzia e le mille forme che ha assunto nella storia della letteratura.
Necromanzia in letteratura: un po’ di storia
Il desiderio tutto umano di comunicare con i defunti risale all’alba dei tempi, prima dell’invenzione della scrittura. Sono infatti gli sciamani primitivi a mettere a punto i primi riti finalizzati all’evocazione dello spirito o alla resurrezione corporea. Gli obiettivi principali sono entrare in possesso di conoscenze segrete, ottenere informazioni sul passato o sul futuro, utilizzare il defunto come arma.
La più antica menzione di necromanzia in letteratura appartiene all’Odissea. Ulisse impiega un rituale insegnatogli dalla maga Circe per discendere nel regno dei morti (katabasis) e invocare lo spirito dell’indovino Tiresia. Nelle Metamorfosi di Ovidio, invece, l’aldilà è una sorta di luogo di scambio di informazioni tra defunti. Nella Bibbia re Saul evoca il profeta Samuele grazie ai sortilegi della strega di Endor.
Il Medioevo è una sorta di età dell’oro per la necromanzia, che viene formalizzata dentro e fuori dalla letteratura. La magia astrale araba si fonde con l’esorcismo di origine cristiana ed ebraica, includendo formule ripetute e l’uso di piante allucinogene come la belladonna. I demoni evocati prendono le sembianze dei defunti e richiedono sacrifici in cambio dei propri servigi.
Nel Rinascimento in poi le pratiche arcane si diffondono nonostante i tribunali ecclesiastici, includendo nei rituali l’invocazione di spiriti ed entità estranei al Cristianesimo. Ciascun adepto smette di studiare testi condivisi per crearne uno totalmente personale, mettendo insieme le conoscenze che gli interessano di più.
Gideon la Nona, una nuova saga letteraria sulla necromanzia
La necromanzia è la pietra angolare su cui Tamsyn Muir costruisce l’universo narrativo della trilogia del Sepolcro Sigillato, della quale Gideon la Nona costituisce il primo volume. L’impero galattico che funge da ambientazione è infatti composto da nove pianeti governati da altrettante nobili Case, ciascuna con la propria particolare forma di necromanzia. Alla sommità della piramide del comando c’è l’Imperatore, potente e immortale così come i Littori, i necromanti più importanti. La protagonista Gideon Nav sogna però di arruolarsi nella Coorte, l’esercito reale. Le sue fughe dal pianeta della Nona Casa, dove è costretta a risiedere per saldare un debito di cui non è a conoscenza, sono continuamente funestate dall’acerrima nemica Harrowhark “Harrow” Nonagesimus. La ragazza è l’unica erede della sua Casa, la sola in grado di risollevarne le sorti. Per questo partecipa a una sorta di gara a eliminazione indetta dall’Imperatore in persona sul pianeta della Prima Casa, in cui ogni negromante deve essere accompagnato dal proprio paladino.
Per Harrow l’unica scelta possibile è proprio Gideon: molte delle vicende girano infatti intorno al loro rapporto sempre conflittuale, che rappresenta il tema principale della storia. Come nella necromanzia bisogna sempre sacrificare qualcosa per ottenere qualcos’altro, così le due giovani imparano a smussare il proprio carattere e a spalleggiarsi in un vero e proprio gioco al massacro. La competizione, che ha come obiettivo l’ascensione al grado di Littori, si dimostra crudele e si colora di alleanze momentanee, ricatti, omicidi e tradimenti. Tralasciando l’epilogo pirotecnico per evitare gli spoiler, Gideon la Nona è un romanzo denso di azione e suspense, che parla agli appassionati di necromanzia e non solo. Il linguaggio adulto, colorito e denso di black humor di Tamsyn Muir lo rende una chicca, un’eccezione all’interno di un genere di solito povero di sperimentazione lessicale come il fantasy.
L’imitazione della divinitÃ
Soprattutto nelle opere fondative del genere, ma non solo, la necromanzia in letteratura viene impiegata nel tentativo di imitare una facoltà tipica delle divinità : il potere di dare (o ridare) vita a qualcosa di inanimato. Il risultato, però, è sempre un surrogato, una pallida imitazione. In Frankenstein di Mary Shelley, per esempio, il dottor Victor riesce a infondere nella creatura non più di una scintilla di vita. In Herbert West – Rianimatore di H. P. Lovecraft i tentativi ripetuti di resurrezione hanno esiti via via più orrendi.
L’impiego della necromanzia è spesso appannaggio di persone normali, che provano a riportare in vita i propri cari. In Pet Sematary di Stephen King il desiderio del protagonista di resuscitare moglie e figlio è così forte da fargli sorvolare qualsiasi prova evidente della pericolosità dell’atto.
Un altro modo di imitare la divinità servendosi della necromanzia è il tentativo di ottenere la vita eterna. Lord Voldemort, nella saga di Harry Potter, nasconde parte della propria essenza in oggetti inanimati. In Il caso di Charles Dexter Ward, Lovecraft conferisce a Curwen il potere di trasferirsi nel corpo di altre persone per continuare a vivere. Spesso, in questi casi nei quali il necromante utilizza l’arte arcana su se stesso, l’allungarsi della vita porta alla progressiva diminuzione di intensità di sentimenti tipicamente umani come l’empatia e l’amore. Nelle storie più recenti come la saga di Twilight di Stephenie Meyer, però, le creature immortali non perdono la propria umanità .
Perdita del controllo e pedine abominevoli
La necromanzia è un’attività che dovrebbe spettare alle sole divinità . La possibilità che qualcosa vada storto è sempre dietro l’angolo e i risultati possono essere terrificanti. Il primo pericolo per chi la pratica è quello di soccombere al suo fascino e perderne il controllo. In Il mago di Earthsea di Ursula Le Guin, per esempio, il protagonista si lascia sopraffare dalla magia nera e cerca per tutto il romanzo di rimediare al proprio errore: ha lasciato libera una creatura non-morta nel mondo dei vivi. Altri esempi simili si possono trovare nelle saghe tolkieniane di Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, oppure in Revival di Stephen King.
Quando il necromante riesce invece a controllare le strane creature evocate, di solito le priva del libero arbitrio e le usa come semplici pedine per i propri scopi. In Il Calderone Nero di L. Alexander il signore della Morte Arawn riporta in vita infiniti soldati per combattere la sua guerra. In Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo il burattinaio è lo stesso Ade, che resuscita celebri guerrieri antichi.
In altri casi le creature non-morte si presentano come chimere, ovvero una sorta di collage di creature differenti, come lo stesso Frankenstein. Il demone di Io non sono un serial killer (D. Wells) è composto di parti del corpo delle sue vittime. In Raven Boys di M. Stiefvater il protagonista risorge sotto forma di Re Corvo, un agglomerato di corpi diversi.
La necromanzia è la risposta magica a una delle più grandi aspirazioni dell’uomo: la comunicazione e la manipolazione dei defunti. La sua trasposizione in letteratura è quindi naturale, anche se complessa, e non si limita solo ai gradi classici o alle opere per ragazzi. Gideon la Nona di Tamsyn Muir è un buon punto di partenza per riscoprirla in chiave contemporanea.