A giocare con il fuoco ci si brucia, sempre

Se ricordate la nostra anteprima del gioco in quel di Colonia, vi ricorderete come le sensazioni che abbiamo provato con Need For Speed Payback fossero tutto sommato positive, lasciando presagire un nuovo passo avanti della serie affidata da ormai tre capitoli nelle mani di Ghost Games e che ha saputo risollevare un brand da tempo nell’occhio del ciclone.

E apparentemente è così: Payback è un gioco enorme e ricco di cose da fare, con una struttura che regge in piedi fintanto che non ci si addentra in meccaniche arzigogolate che scoprono un barbatrucco dopo l’altro, portando a galla pochi difetti ma gravi che non permettono al titolo di fare quel salto di qualità che ci si aspettava.

La prima novità di Payback è il ritorno di una trama, intesa come una storia realizzata ad hoc per il gioco e che, nonostante non brilli per originalità, fa il suo dovere coinvolgendo il giocatore nella vita di Tyler Morgan, pilota clandestino di grande bravura che insieme a Sean “Mac” McAlister, inglese trapiantato in America ed un’amore incondizionato per le derapate, e Jessica “Jess” Miller, autista tuttofare dai passaggi alle rapine, si uniscono per combattere la Loggia, organizzazione che sta mettendo le mani sul mondo delle corse clandestine di Fortune Valley con l’obiettivo di puntare sempre più in alto corrompendo polizia e gruppi di tuner. Aiutati da altri personaggi comprimari come il meccanico magico Rav e lo scommettitore Marcus Weir, contrasteranno in ogni modo il potere sempre più dilagante del Collezionista e il suo braccio destro Lina Navarro.

Il tutto si traduce in tutto quello che potreste aver visto in film come Fast & Furious, tra inseguimenti adrenalinici, salti mozzafiato, motori rombanti ed ettolitri di NOS come se piovesse, oltre ad una scrittura che strappa qualche sorriso ma difficilmente ci farà affezionare ai vari personaggi che arriveranno su schermo, fermo restando che la scrittura generale offre qualche momento interessante e l’uso di dialoghi dinamici all’interno delle gare è un’aggiunta molto gradevole.

L’impegno profuso nel cercare di creare una storia valida comunque c’è e va riconosciuto, così come è evidente il gran lavoro svolto nel creare un’ambientazione d’impatto e che ci facesse dimenticare rapidamente la Ventura Bay dello scorso capitolo e, anche qui, l’obiettivo è centrato. Fortune Valley è una riproduzione del Nevada che offre ai giocatori chilometri di strade e moltissime cose da fare: ogni strada potrebbe nascondere segreti e gare improvvisate, nonché collezionabili di vario tipo come cartelloni pubblicitari da distruggere e, perché no, dei telai malridotti che potrebbero diventare delle perle da esporre in garage o in gara. Certo, non parliamo di novità davvero esaltanti ma vista la natura open world abbiamo ammirato l’impegno nel creare un mondo che non lascia quasi tregua al giocatore, dando sempre una motivazione per correre liberamente senza meta senza rimanere delusi.

Allo stesso modo non si può rimanere delusi dal parco macchine di Need For Speed Payback quanto mai variegato ed intrigante grazie ad un mix bilanciato di auto di ogni nazionalità e tipo, pesantemente modificabili in termini estetici sia attraverso nuovi pezzi di scocca oppure con l’editor dei wrap, che permetterà di creare la vostra livrea definitiva oppure caricandone una creata dalla community del gioco. Le macchine sono suddivise in cinque categorie: corsa, fuoristrada, derapata, accelerazione e fuga e ogni evento della campagna richiederà l’uso di una macchina basata su un assetto ben preciso. Concentrandoci sugli eventi introdotti in questo nuovo capitolo, ad esempio, le macchine con assetto da Accelerazione avranno la nitro alla massima capacità e saranno molto rapide sul quarto di miglio e nell’arrivare da zero a 100 km/h in meno tempo possibile. Le macchine da Fuga sono invece auto di base molto agili e blindate, perfette per contrastare le pattuglie della polizia che ci ritroveremo tra i piedi in alcuni frangenti del gioco e le tante trappole che verranno piazzate sulla strada, tra barriere e strisce chiodate.
Il tutto si traduce in un sistema di controllo che, pur mantenendo le sue radici spiccatamente arcade, permette di sentire le varie differenze di auto e prestazioni e diverte molto grazie ad una semplicità d’uso che renderà le nostre scorribande divertenti e spericolate senza impegnarsi troppo. Che sia un pregio o un difetto è a gusto del giocatore ma a nostro avviso la scelta è valida.

Se siete arrivati fin qui potreste pensare che Need for Speed Payback sia un buon gioco e, di fatto, lo è. I problemi tuttavia sorgono quando si comincia a giocare e, andando avanti, si comincia a prendere confidenza con il sistema di potenziamento delle macchine: l’idea di base è la suddivisione della macchina in sei categorie diverse che rappresenteranno le varie componenti dell’auto e ognuna di esse è potenziabile attraverso le Speed Cards. Ogni carta porta scritto il nome di un tipo di componente e si caratterizza con un brand specifico di elaborazione ed un livello basato orientativamente sulla nostra reputazione, tutti valori che andranno ad influenzare le statistiche/prestazioni della macchina ed il suo livello di potenza. In particolare, associando tre componenti dello stesso brand, sarà possibile ottenere dei vantaggi bonus, coadiuvati da alcune abilità speciali che potrebbero saltare fuori dalle carte e che miglioreranno una determinata statistica dell’auto.

Se qualcosa non vi è chiaro rileggete, perché adesso le cose potrebbero complicarsi: vincere un evento ci permetterà di ottenere una Speed Card, scelta in modo casuale a fine gara e che dunque potrebbe anche non essere utile al nostro fine. In alternativa, possiamo andare nelle officine sparse nel mondo di gioco e acquistarle lì ad un prezzo abbastanza salato e che si aggira sui 10mila crediti di gioco. E poi ci sono delle carte gettone che ci permetteranno, attraverso una slot machine, di ottenere potenziamenti superiori, potendo però selezionare solo una categoria, un brand o un perks specifico. Ora, sono due i modi per ottenere questi gettoni: liberarsi di Speed Cards inutilizzate con conversione 1:1 oppure le micro transazioni. Qui vengono chiamate Consegne e sono delle lootbox che al suo interno possono contenere gettoni, denaro di gioco e modifiche estetiche come clacosn e neon, nella loro versione Base. C’è poi la versione Premium dove, insieme a questi contenuti, troveremo oggetti aggiuntivi.

Augurandoci che la spiegazione sia stata esaustiva, passiamo all’atto pratico: le micro transazioni di base non si rivelano un acquisto obbligato, così come è giusto far presente che ogni livello di reputazione garantirà un box base e altrettanti ne potremo guadagnare ogni giorno affrontando delle sfide giornaliere. La nostra impressione, tuttavia, è che il sistema di micro transazioni sia stato inserito forzatamente all’interno del gioco senza preavviso, portando ad uno sbilanciamento del gameplay sotto tanti punti di vista e trasformando la naturale progressione in un’esperienza a singhiozzo. Raramente le carte che vinceremo durante la campagna saranno determinanti per le nostre prestazioni e gran parte delle volte capiterà di essere pesantemente sottolivellati e svantaggiati rispetto ai nostri avversari. Se poi consideriamo il fatto che ogni gara ci garantirà una somma di denaro di gioco esigua, le prime ore che passerete su Payback saranno caratterizzate dal tedio più assoluto. Grazie a questa soluzione anche il selettore di difficoltà diventa una beffa per il giocatore: in modalità difficile avremo auto gestite da un’IA un po’ più brillante che in passato e con statistiche inavvicinabili, ma vi garantiamo che anche alla difficoltà più accessibile il divario di potenza può comunque rivelarsi un ostacolo faticoso dando il via a situazioni di follia pura e tanta, tanta rabbia causata da un effetto elastico che nel 2017 dovrebbe essere estinto per legge e mai così fastidioso come in questo gioco.

Parlando invece di grane che esulano dal vil denaro, il sistema di respawn dell’auto è spesso impreciso e lento: generalmente si attiva dopo scontri particolarmente violenti e gran parte delle volte ci ritroveremo di nuovo pronti a correre ma senza HUD di gioco e indicazioni sul percorso da seguire, cosa che ci porterà a perdere ancor più tempo del necessario. Giusto per inimicarsi ulteriormente il giocatore, il respawn non si attiverà nel caso in cui salteremo un checkpoint di gara e l’unica soluzione percorribile sarà riavviare direttamente l’evento con annessi insulti e blasfemie di vario genere. Sparisce inoltre la polizia: quest’ultima non sarà mai presente in game se non negli eventi Fuga, i quali però sono sostanzialmente eventi a tempo con checkpoint. Certo, speronare le auto permetterà sempre di scamparla con più facilità ma, al tempo stesso, si perde un elemento che ha sempre messo del pepe nel gameplay e che in questo capitolo è incredibilmente sottosfruttato. Ultimo ma non meno importante il multiplayer, probabilmente aggiunto nei ritagli di tempo vista la sua completa mancanza di appeal, la lentezza generale del matchmaking e il riciclo di eventi della campagna, tutti elementi che rendono questa modalità sostanzialmente inutile andando a perdere un possibile asso nella manica, come ha insegnato Forza Horizon 3.

Passando al versante tecnico, anche qui si soffre di alti e bassi: il gioco ha dalla sua un buon comparto grafico grazie all’utilizzo del celebre Frostbite, partendo da modelli dei veicoli di buonissima fattura ad un mondo di gioco ben dettagliato che non fa gridare al miracolo ma non è nemmeno da buttare a priori. Il ciclo giorno-notte funziona bene ed abbinato ad un’illuminazione dinamica offre scorci e paesaggi interessanti e anche a 30 frame al secondo giocare è comunque un piacere. Tuttavia abbiamo assistito spesso a pop in e pop out di vario genere, dettagli delle auto e degli ambienti caricati in ritardo, effetti particellari discutibili ed una gestione del traffico che poteva avere senso nello scorso capitolo, ambientato completamente in notturna, ma che qui delude soprattutto in aree cittadine quasi deserte in pieno giorno, lasciando intravedere un’ottimizzazione tecnica lacunosa in diversi aspetti.

Il profilo audio è invece più che sufficiente, al netto di una rappresentazione del sound dei motori tutt’altro che fedele ma ben realizzata, grazie anche ad una soundtrack ben concepita che alterna brani alternative rock adrenalinici con artisti come Royal Blood e Queens of the Stone Age, ma anche numerose tracce rap calate perfettamente nel mood di gioco tra cui Daytona, brano realizzato da Salmo e unica presenza italiana nella tracklist.

Verdetto

Need for Speed Payback avrebbe potuto essere un gran gioco, senza dubbio alcuno. I passi avanti sono molteplici ed è evidente che Ghost Games sia a suo agio con il brand. A rovinare tutto ci sono però tanti piccoli difetti che, nell’insieme, non permettono al titolo di spiccare il volo come dovrebbe ed un sistema di progressione irrimediabilmente sbilanciato dalla necessità di inserire un sistema di micro transazioni in corso d’opera. Amarezza, solo tanta amarezza.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.