Per la prima volta in Italia, Aoko Matsuda con la raccolta Nel paese delle donne selvagge
l Giappone ha una storia di miti, leggende e racconti orali dalle radici antichissime, sviluppatasi poi attraverso i secoli e la graduale diffusione di influenze dai Paesi con cui sono entrati in contatto già prima dei tempi moderni. Tra fiabe folkloristiche e drammi teatrali, Aoko Matsuda ha dunque trovato terreno fertile per le brevi storie raccolte nel nuovo libro di Edizioni e/o, Nel paese delle donne selvagge.
Un titolo curioso ed evocativo, se si pensa alla condizione della donna in Giappone, che sia quella lavorativa oppure all’interno del nucleo familiare: l’immagine della donna giapponese che viene in mente ai più è quella di una donna sottomessa, una brava moglie e una buona madre, che si occupa della casa, del marito e lascia il lavoro per votarsi completamente alla famiglia. Naturalmente non è più un ideale inseguito da tutte al giorno d’oggi, ma sono ancora numerosissime le donne giapponesi e non solo che non riescono a liberarsi dal giogo della società che le vuole obbedienti e perfette nell’aspetto tanto quanto nello spirito di abnegazione.
Le donne, esseri (sovra)umani
Aoko Matsuda decide di prendere spunto da alcune storie dagli elementi fantastici e folkloristici, tipici della tradizione giapponese, per dare uno sguardo più vispo e atipico alle possibilità che possono schiudersi alle donne quando decidono di darsi ascolto.
Sono soprattutto storie di yokai: una donna fantasma con cui la protagonista del racconto intreccia una delicata relazione; due donne affascinanti ma in qualche modo sospette, presentatesi come insistenti venditrici porta a porta sulla soglia dell’uomo protagonista; una giovane kitsune impiegata d’azienda… Ma ciò che le accomuna sono due aspetti che Aoko Matsuda ha badato bene di inserire in ogni storia della raccolta Nel paese delle donne selvagge.
Innanzitutto, l’atmosfera un po’ weird, che può ricordare i film d’animazione diretti da Tim Burton, in quanto avviene quasi una sospensione dell’incredulità e il fantastico viene accettato molto più facilmente del previsto. Inoltre, il mistero e le apparizioni che caratterizzano questi racconti, pur avendo un tono molto più leggero, trasognato quasi, ricordano le storie di paura raccontate durante l’estate giapponese, i cosiddetti kaidan con i quali a volte si divertono anche i protagonisti di anime scolastici quando vanno in vacanza insieme.
Il secondo elemento in comune, però, è la presenza di donne – umane o di forma spiritica che siano – capaci di relazionarsi tra loro e con gli altri nonostante la distanza sul piano materiale e, talvolta, temporale. Capaci, oltretutto, di farsi notare, di rimanere impresse, di superare limiti imposti su di loro dalla società nella quale si muovono o si sono mosse in vita: Nel paese delle donne selvagge diventa quindi una raccolta nella quale, con sguardo ironico e a tratti divertito, si smontano standard di bellezza che vogliono un corpo candido e glabro; regole che mettono la donna in secondo piano sul posto di lavoro anche quando si dimostra più capace dei colleghi; costrutti sociali che vogliono la donna nel ruolo di madre e moglie perfetta.
Questi ribaltamenti delle situazioni, a volte grazie a una riflessione, altre volte con un’azione decisa, o talvolta semplicemente grazie a un’epifania, portano a una metamorfosi interna ed esterna delle protagoniste e così la loro visione del mondo o il loro stesso destino cambia radicalmente, rendendole libere di essere quello che vogliono in una società ancora non disposta ad accettarle e, anzi, che finora le ha sempre “zittite”: perfino in quei kaidan e quei drammi di teatro rakugo o kabuki da cui sono tratti i racconti de Nel paese delle donne selvagge, le donne protagoniste vengono ritratte come tragiche, vendicative, “senza voce” e, in un certo senso, “mostruose”.
Matsuda allora sfida queste immagini tradizionali ribaltandone cause e conseguenze, dando spazio al desiderio di indipendenza e autodeterminazione delle protagoniste, che vogliono riprendere il controllo del proprio corpo, del proprio status, dei propri sentimenti. La raccolta, malgrado la potenza dei racconti vada un po’ scemando con il proseguimento della lettura, assume così i tratti di una sorta di manifesto femminista personale e, al contempo, collettivo per le donne giapponesi contemporanee, che possono sentirsi maggiormente legate a quelle figure femminili più antiche ma dai patimenti così potenti e sofferti da riuscire ad arrivare fino a noi e influenzare con la loro femminilità sovrannaturale anche i giorni nostri.