Non abbiate paura della pubblicità
C’è un usanza, quasi esclusivamente italiana, che vede un certo tipo di pubblicità oggetto delle peggiori critiche. Ci riferiamo al malcontento generalizzato quando su di un sito, su un blog o persino su di un canale YouTube si inseriscono all’interno dei normali contenuti piccoli ritagli pubblicitari. Lungi da noi difendere tutta la pubblicità presente in rete a maggior ragione quando questa può diventare così prepotente e fastidiosa da minare la fruibilità dei contenuti da noi cercati. Va fatta a nostro avviso una buona scrematura tra pubblicità dannosa e non. Ci riferiamo quindi a tutte quelle persone, spesso indignate, che hanno così poco spirito critico da non saper distinguere un semplice banner pubblicitario da una mezza truffa come i seducenti e allettantissimi premi dietro i “sei il fantacoglionesimo visitatore, clicca qui per ricevere un premio spettacolare!”, sì, come no. C’è da dire che l’advertising è ben digerito quando è fine a se stesso ed assume la forma di un semplice banner o di una pagina di reindirizzamento per accedere effettivamente al contenuto richiesto. In questi casi, sarà che ricordano molto gli stacchi televisivi (che personalmente aborro) ma il pubblico internettiano pare non dare troppo peso a questa tipologia di advertising. I problemi sorgono quando i suggerimenti commerciali assumono forme diverse, quando il concetto stesso di reclame non è più palese come prima. Qui – ahinoi – la gente va nel panico. La pubblicità diventa immediatamente un mostro cattivo! Oh no, quel banner ha stuprato mia figlia! Magari la gente non arriva a tanto, ma poco ci manca. Non sappiamo cosa scatti nella mente delle persone, eppure qualcosa succede. Ci riferiamo in particolar modo a escamotage come il native advertising e alla partnership commerciali che le compagnie stipulano con siti, blog e youtubers.
Per chi non lo sapesse il native advertising è una metodologia che ibrida contenuti autoprodotti alle reclame, in cui quest’ultime non sono presentate come normale spot ma sotto forma di normale contenuto. L’inserzionista può richiedere ad una determinata piattaforma di inserire nella propria line-up editoriale un articolo che, pur non essendo finalizzato a scopi commerciali, integra comunque un qualche tipo di advertising. Se ad esempio siete un famosissimo YouTuber che si filma mentre si fa del male fisico nei modi più disparati (bravi, sul serio), una compagnia che produce accessori per la sicurezza può sponsorizzarvi un video in cui, dopo esservi devastati nei modi più impensabili, compare il logo della suddetta compagnia. Voi YouTuber non dovrete far nulla di diverso da ciò che non fate già, non dovrete pubblicizzare ingannevolmente nessun prodotto, né parlare bene o male di un determinato marchio, i contenuti sono gli stessi, identici in tutto e per tutto e compatibili con tutto ciò che avete prodotto fino a quel momento, solo che, come già detto, ci sarà al completamento del video un remainder pubblicitario. Tutto qui, né più né meno. Eppure tutto ciò destabilizza l’utenza. Questo tipo di pubblicità spaventa. C’è chi viene etichettato come venduto, come persona dalla dubbia moralità subito pronta ad intascare mazzette a destra e manca. Ci è capitato recentemente di imbatterci in un video dei The Jackal, se non li conosceste si tratta di un gruppo di registi/attori molto famosi su YouTube. In vista dell’uscita al cinema di X-MEN – Giorni di un Futuro Passato hanno pubblicato sul loro canale dei video, divertentissimi tra l’altro, in cui inscenano reazioni a piccole avversità quotidiane con l’ausilio di super poteri, al termine del video c’è il remainder dell’uscita nelle sale del film. I The Jackal sono famosi per video/parodie molto divertenti per cui questi native advertising sono del tutto compatibili con i loro lavori, eppure non sono mancati (insieme ai tanti complimenti) i commenti di persone poco felici per la presenza della pubblicità. Le ragioni di questo malcostume sono molteplici. Il primo è quello dell’ignoranza, senza voler offendere nessuno è palese che chi insinua strani e assurdi rapporti commerciali per un semplice video è chiaramente una persona ignorante. Ancora più assurda è l’idea generale di un internet popolato di siti, soprattutto quelli a tema entertainment, in cui ogni cosa è fatta per pura passione. Se una persona ha un sito di videogames e offre un servizio di qualità, è un grande fin quando non ci guadagna, dal momento in cui la pubblicità o le partnership si fanno importanti diventa automaticamente un venduto. C’è qualcosa di profondamente sbagliato e di profondamente triste in tutto ciò. Far diventare la propria passione il proprio mestiere non intacca minimamente la qualità del lavoro, così come una pubblicità in più non cambia lo spirito critico di una persona. Detto questo bisogna anche tener conto che molti portali hanno come unica fonte di sostentamento economico gli introiti derivanti dall’advertising e, nonostante offrano un servizio di qualità completamente gratuito, a volte si devono anche sentire attaccati da parte di chi evidentemente non comprende meccaniche semplici come queste. Bisognerebbe riconoscere alle pubblicità il merito di lasciar “sopravvivere” realtà che fanno veramente bene al settore e, anche quando gli spot si fanno più molesti, considerali come un male necessario e non la punta dell’iceberg di un sistema losco e corrotto. Detto questo, vi assicuriamo di non aver visto un soldo per scrivere tutto ciò.