Addio Terry…
È morto Sir Terry Pratchett e l’unico modo in cui posso dire come mi sento è che quando ho comunicato la cosa ad una mia cara amica, mi ha risposto così: “Lo so, è che non sapevo come dirtelo”. Per me è “solo” l’autore che cito in continuazione, colui che ha creato opere che riesco a citare a memoria (con gran disperazione di tutti i miei amici meno fanatici che non capiscono di che io stia parlando) e ha influenzato irrimediabilmente il mio senso dell’umorismo (con buona pace di tutti gli altri). Per tutto il resto del mondo parliamo dell’uomo i cui libri sono i più rubati delle librerie della Gran Bretagna, del creatore del Mondo Disco, autore di più di cinquanta libri di cui meno della metà sono, per ora, tradotti in italiano e dai quali sono stati tratti un film e una mini serie (di due puntate).
Se ancora non conoscete quest’autore posso solo consigliarvi di cospargervi il capo di cenere e rimediare, perché è impossibile pentirsene. Terence David John Pratchett dal 1948 a oggi è stato anche giornalista, come addetto stampa della Central Electricity Generating Board (GEGB), la società di stato britannica per la produzione di energia elettrica, per una zona che comprendeva quattro centrali nucleari (a tal proposito disse che avrebbe «scritto un libro sulla sua esperienze, se avesse pensato che qualcuno avrebbe potuto credergli.»). Terry Pratchett è stato nominato ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico (OBE) nel 1998 e ha ricevuto il titolo di cavaliere (Knight Bachelor) nel 2009 per i servizi resi alla letteratura, ma tutto questo comunque non basta descriverlo. Nemmeno la sua passione per la scienza, la sua smisurata cultura bastano per dare un’idea di lui a chi non lo conosceva. Nemmeno il fatto che Neil Gaiman avesse ricevuto da lui alcuni consigli durante un viaggio in treno e che abbiano scritto “Buona Apocalisse a Tutti” a quattro mani probabilmente basterà a rendere realmente omaggio a quest’uomo. In fondo è “solo” un autore di fantasy-comico no? Il fatto invece che il suo motto fosse “Noli Timere Messorem”, ovvero “Non temere il mietitore” potrebbe a conti fatti darci qualche idea. Pratchett infatti pur essendo partito nel lontano 1983 con “Il colore della magia” ed il suo seguito “La luce fantastica” esilaranti prese in giro di tutti i cliché della letteratura fantasy e fantascientifica ha subito mostrato la sua reale profondità e inclinazione. Al fianco di un Cohen il barbaro ultra ottantenne, dell’avventuriera che non si veste in modo provocante e attillato perché sarebbe molto poco saggio, di “orrori delle dimensioni sotterranee indescrivibili fra i quali il più carino assomigliava alla progenie di una piovra e di una bicicletta”, troviamo ben altro. E non parlo del saltellante Bagaglio (una cassa del tesoro fatta di legno di pero sapiente, dotata di centinaia di piedini rosa, un pessimo carattere, la capacità di contenere a scelta biancheria pulita, oro, o un bel po’ di denti e una linguona color mogano… praticamente l’ispirazione del “mimic” di D&D), dell’adorabile Scuotivento (una delle tante citazioni da Shakespeare… ovvero scuoti-lancia). Parlo del concetto stesso dell’ottarino, il colore della magia, il pigmento dell’immaginazione. Del potere dell’immaginazione, delle pietre druidiche che stanno in aria solo per convincimento (meglio non pensare che dovrebbero cadere, potrebbero accorgersene).
E soprattutto parlo del personaggio di Morte. Potrei veramente passare ore a illustrarvi tutta la genialità e la cultura celata nei suoi libri che irrimediabilmente strappano una risata dopo l’altra. Come in Maledette Piramidi si nascondano una miriade di citazioni puntuali dalla complessa mitologia egizia oltre che alla filosofia greca, come il suo “Stupidissimo Johnson”, l’architetto che non ha azzeccato una sola misura in vita sua, non sia altro che una presa in giro di “Capability Brown”, architetto di giardini inglese estremamente in voga nel 1700. Oppure spiegare come il grande concetto che c’è nella storia del “Il Tristo Mietitore” venga da riflessioni sull’urbanistica e la sociologia urbana. Ma basterebbe anche dire che ne “La scienza di mondo disco” ha dimostrato insieme a tre scienziati (un matematico, un geologo e un antropologo) come una miriade di trovate che parevano assurde non fossero altro che la trasposizione di accreditate teorie scientifiche. Ma tutto questo sarebbe ancora riduttivo. Pratchett infatti ha dato via non solo ad un “mondo che esiste solo perché ogni curva di improbabilità deve avere una fine”, dove il razzismo è superato dallo specismo (i troll hanno fondati motivi di odiare i nani, provate voi a svegliarvi scoprendo che vostra nonna è stata scavata fino a divenire un caminetto ornamentale) ed esiste un rifugio per draghi di palude abbandonati. Ma anche a personaggi indimenticabili come le Tre Streghe, il Patrizio, Carota e Morte. Un Morte così incuriosito dagli umani e preso dal tentativo di capirli che arriva a desiderare di proteggere la loro stessa umanità, a costo di prendere il posto di Hogfather (Babbo Maiale) e consegnare lui stesso i doni per la Posta del Cinghiale (o Festa del Maiale) al suo posto pur di non farlo dimenticare. (e se per caso la storia vi ricorda stranamente le 5 leggende… ebbene avete ragione, solo che questa la anticipa di una decina d’anni). Morte è un personaggio che si trova perfino destituito dal suo ruolo proprio per aver sviluppato una personalità, che lotta costantemente con una incomprensione totale dei modi di dire (“questo diamante… quanto è amichevole?”) e l’ammirazione per questi fragili, incredibili e inconsapevoli umani. Come lo Sciame e l’Invernaio anche Morte cerca di capire cosa sia realmente un uomo, con la differenza che lui riesce a cogliere molto di più, divenendo paradossalmente più umano degli umani. Ed ecco, appena mi hanno detto che Terry era morto, che l’uomo che ha allietato tanti momenti della mia vita se n’era andato, la prima cosa che ho detto è stata “Sta viaggiando nel deserto di sabbia nera“. Chiunque di voi abbia letto come me il ciclo di Tiffany sa di che sto parlando e non mi sono stupita leggendo che sul suo profilo Twitter è apparso questo: «Terry prese il braccio di Morte e lo seguì attraverso le porte, avanzando nel deserto nero sotto l’infinita notte». La regola è che quel deserto va attraversato da soli, nessuno ti può aiutare, e in fondo.. in fondo c’è il giudizio.
Ma so anche che Burda ha barato accompagnando Vorbis e da qualche parte io credo, voglio fermamente credere che Nonnina Waetherwax, miss Treason, tutta la banda dei Feegle, Morte stesso, perfino Azraphel e Crowley e tutti gli altri gli stiano accanto, chiacchierando, stando in silenzio, o semplicemente scansando il Bagaglio quando passa. Del resto si sa che il Bagaglio segue il suo proprietario ovunque ed ha un atteggiamento piuttosto ostile verso tutto il resto del mondo. E soprattutto mi piace pensare che non ci siano più Spiritelli a rubargli i ricordi. So che ora chi non ha letto nulla di Pratchett non potrà seguirmi appieno, ma vi posso dire che ben un anno prima che gli fosse diagnosticato l’alzhaimer, uno dei suoi personaggi (Roland, ndr) disse questo, a proposito degli Spiritelli che infestano l’Aldilà e si cibano di ricordi “Io odio le cose che cercano di portarti via quello che sei. Le voglio uccidere quelle cose, signor Chitipare. Le voglio uccidere tutte quante. Perchè quando ti porti via i ricordi, ti porti via la vita di una persona. Tutto quello che è”. Quando l’ho letto sono rimasta folgorata per la sua preveggenza, ho colto molto meglio il delicato gioco di rimandi che lui ha sempre avuto su questo tema. Come si può non stimare chi ha saputo giocare, fino all’ultimo, con temi come la paura, la malattia, la morte, ma anche la fede, la morale, la speranza? Che ha saputo scrivere storie che fanno ridere di cuore e solo dopo pensare che “però in fondo vuol dire che…”?
Ecco perché non voglio chiedermi se sia ricorso al suicidio assistito, come aveva annunciato a suo tempo avrebbe fatto, o se sia morto di morte naturale. Nemmeno mi chiedo se la dozzina di scomuniche da religioni assortite che aver ricevuto per aver scritto Tartarughe divine possa aver fatto effetto. Lui ha sempre detto che dopo la morte, in fondo, uno riceve quello che sente di meritare. Non è forse quello che un po’ tutti i sognatori, in cuor loro, pensano? Di attraversare il ponte e trovarsi con i loro compagni d’arme, di gesta, gli amici di sempre, gli amori di una vita? Suvvia è così banale che perfino Dylan Dog c’è incappato in una sua storia, perfino il delicatissimo Big Fish di Tim Burton ne fa la dolcissima e commovente conclusione. Quindi preferisco pensare a questo, al Sir che ha insegnato a non temere il Mietitore, e che magari gli avrà anche chiesto di farsi una bella corsa in groppa a Binky (sì, il cavallo del tristo mietitore si chiama così, ma non sono in molti a saperlo). Forse sarà banale, ma non riesco a immaginare ad un modo migliore per salutare questo grande autore e, mi permetto di dire, maestro, che rileggere il nostro libro preferito e ridere, ringraziandolo di cuore. Se invece non avete ancora letto nulla prendete in mano “Morty l’apprendista della morte” oppure, se amate la fisica e le assurdità che accadono pasticciando con lo spazio tempo, Maledette Piramidi. Oppure semplicemente iniziate dalla saga della guardia cittadina, partendo da “A me le guardie”, se siete persone ordinate, arrischiatevi a partire da “il colore della magia”, pur con il suo stile fresco ma ancora acerbo. Se adorate Shakespeare ed il potere delle storie invece iniziate da Sorellanza Stregonesca, non ve ne pentirete. Ma fatelo, non ve ne pentirete.
Ora scusatemi, ma “Il Tristo mietitore” e “Tartarughe divine” mi aspettano.