Ovvero come NON fare il critico ma preoccuparsi soltanto dei click
a quando faccio questo lavoro, ormai da molti anni, ho sempre cercato di rispettare il più possibile la materia e soprattutto le persone che si sono adoperate così tanto per produrre le loro opere. È chiaro che il mestiere del critico possa risultare fastidioso, per se stessi e per gli altri, soprattutto quando si a che fare con un prodotto che si ritiene non troppo riuscito. Questo non vuol dire affatto che si debba promuovere tutto, ma che anche quando si boccia un film, una serie o qualsiasi altro tipo di opera lo si debba fare rispettando sempre il lavoro altrui, ed anzi cercando di entrare più nel dettaglio delle proprie motivazioni quando si dà un voto negativo piuttosto che quando si passa agli elogi.
Rispetto ai “miei tempi”, noto che sono cambiate un po’ di cose. Quando entrai nella prima redazione, iniziai recensendo film vietnamiti dove gli attori guardavano verso la telecamera, non certo scribacchiando giudizi sull’ultimo film di De Palma o Spielberg. E non si tratta soltanto di competenze, ma proprio di quello a cui facevo riferimento sopra, ovvero la necessità di acquisire esperienza per trattare coi guanti anche quello che non ci piace.
Adesso le cose sono un po’ cambiate: giovani “critici” entrano in massa nelle redazioni di testate di cinema o generaliste, scrivendo su qualsiasi argomento perché la gigantesca mole di produzioni disponibili tra cinema e piattaforme richiede che si copra tutto e il prima possibile. È un problema dei nostri tempi, che probabilmente peggiorerà e basta, per cui bisogna ahinoi prenderne atto.
Detto ciò, ormai non faccio nemmeno troppo caso alle news e gli articoli messe su ad arte, che sono una questione di sopravvivenza, che anche noi capiamo benissimo e in fondo è giusto così.
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Quello che è totalmente inammissibile, nella ricerca esasperata del click, è quando la mancanza di rispetto coinvolge icone del cinema, mostri sacri che hanno reso questa arte così importante e che ci hanno consegnato capolavori senza tempo.
Recentemente ho letto un tweet di Guillermo del Toro, rilanciato da un po’ di testate, che ha dovuto difendere Martin Scorsese dall’accusa di essere un regista sopravvalutato.
Sì, avete letto bene. Martin Scorsese, l’artefice di opere come Taxi Driver, Toro scatenato, Gangs of New York, The Departed e decine e decine di altri capolavori è stato definito da un giornalista di una testata inglese (che non voglio citare o suggerire tra gli hyperlink, per non regalarci nemmeno un altro click oltre al mio) un talento irregolare e autoindulgente. Chiaramente poi, come spesso accade, il titolo ingigantisce il concetto che nell’articolo viene leggermente ridimensionato, ma la questione è mostruosa a monte. È chiaro che da nessun artista, soprattutto dopo oltre 50 anni di attività, si possa pretendere che non abbia mai sbagliato un film o che abbia mantenuto lo stesso livello qualitativo in tutte le opere, ma sottolineare questo muovendogli l’accusa di essere di fatto un regista sopravvalutato è inconcepibile e irrispettoso.
Immaginiamo certo che a Scorsese, di chiacchiere di questo tipo, interessi molto poco, ma a sentirsi oltraggiato è il cinema stesso, nel momento in cui quello del regista newyorkese ne fa parte in modo predominante, e allora fa benissimo Guillermo del Toro a prendere le sue difese.
“La quantità di pregiudizi, inesattezze approssimative e aggettivi ostili non supportati da un’effettiva razionalità è offensiva, crudele e malintenzionata. Questo articolo ha attirato traffico, ma a quale costo?”. Così si esprime del Toro, razionalmente.
Il problema è infatti proprio quello a cui facevamo accenno poc’anzi, relativo alla necessità di guadagnarsi click, andando però oltre ogni limite.
Ho sempre pensato che il cinema sia un’arte in cui anche la soggettività ha dei limiti, perché ci sono artisti e opere che non è possibile criticare. Si può pensare di amarli e apprezzarli più o meno di altri, ma alcuni capolavori e i loro ideatori vanno oltre la nostra capacità di critica.
Cedere alle leggi di mercato è spesso un obbligo imposto dalla società attuale, dalla necessità di procurarsi il modo di andare avanti. Ma farlo ad ogni costo, annichilendo il concetto di deontologia professionale, è quanto di più sbagliato possa esistere.
Continuiamo, per favore, ad amare il cinema e sostenere chi l’ha reso grande. Come Martin Scorsese.