Dai documentari alle serie e i film: realtà e finzione LGBT, finestre sul mondo grazie a Netflix
Nell’universo di Netflix c’è un collaborazione che, tra tutte quelle instaurate tra la piattaforma streaming e i propri autori di serie e lungometraggi, vale più di molte altre. È quella andatasi a intersecare tra Ryan Murphy e una delle finestre più esposte sul mondo della narrazione e del reale, che ha permesso a Netflix di avere nella propria schiera non solo l’autore televisivo più richiesto e pagato dell’intrattenimento contemporaneo, ma uno le cui intenzioni di apertura e legittimazione delle minoranze sono sempre state al centro della propria maniera di concepire lo storytelling.
E così Netflix si fa da contenitore di una serie che delle diversità si fa la portavoce. È Hollywood l’operazione di re-scrittura della storia americana e dello spettacolo che Ryan Murphy sceglie di riprendere e riformulare, facendo dell’industria dell’intrattenimento il primo veicolo di una dichiarazione di diversificazione e speranza, che se partito realmente negli anni ’40, da quelli studios capitanati da magnati di potere, uomini della classe privilegiata e eterosessuale statunitense, avrebbe potuto da prima combattere contro la repressione di tutte quelle splendide e differenti voci che abbiamo scoperto far parte della nostra normalità.
Un’analisi per nulla critica se si va esponendo l’atmosfera da sogno che la miniserie Hollywood propone, ma indubbiamente un manifesto paradigmatico di cosa ha significato per un mezzo di comunicazione e espansione come il cinema non lasciare spazio se non a un unico e stilizzato pensiero.
Nell’accogliere, però, tra i suoi autori Ryan Murphy, Netflix fa già di per sé una dichiarazione precisa di cosa desidera possa essere la piattaforma streaming per gli utenti e coloro che vogliono approcciarsi ai suoi prodotti.
Con un contratto di cinque anni che lega a sé una delle personalità più influenti della serialità contemporanea, l’intento di Netflix non è quello di assicurarsi solamente un esponente indispensabile nell’operazione di natura variegata e multiforme su cui si vuole lavorare, ma rende esplicativo un suo intento che, anche con altre realtà produttive tra lungometraggi e serie a puntate, fa di questa bolla virtuale la più ampia e coinvolgente possibile.
LGBT e le diversità su Netflix
L’opportunità che Netflix ha dato a tante verità umane è stata quella di stilare un catalogo che non si prefiggesse lo scopo di omologare e unificare una sola idea e un solo messaggio.
Pur nella riconosciuta decisione di concentrarsi primariamente su prodotti audiovisivi più improntati su un target teen e che segua determinate direttive a livello strutturale e non necessariamente contenutistico, la società nata più di vent’anni fa ha dato modo a quelle diversità, che la Hollywood di Murphy concentra tutte al proprio interno, di concedersi un proprio spazio, con un’attenzione alle questioni sul gender e sulla maniera di raccontarlo che hanno reso Netflix uno dei bacini maggiormente vividi da cui poter trarre le riflessioni più complete e argomentate.
Una pratica, quella dell’inclusione sotto il punto di vista sessuale e identitario, che questa dimensione streaming ha reso più attinente non solamente con serie tv e lungometraggi di finzione dalla qualità e dall’influenza ben nota (dalla fondamentale puntata San Junipero di Black Mirror, ai più recenti Feel Good e L’altra metà, a tutti i personaggi iconici che ci ha donato come l’Eric Effiong di Sex Education e il più scanzonato Titus Andromedon di Unbreakable Kimmy Schmidt), ma che Netflix ha voluto riportare con pertinenza alla realtà, con una serie di documentari e racconti che hanno dato lo spunto per indagare ancora più approfonditamente nell’universo delle questioni sociali di natura LGBT.
Tutte le opportunità, tra protagonisti e spettatori
Sia con titoli esportati di cui è comunque decisiva la presenza, come il Paris is Burning di Jennie Livingstone – al momento fuori catalogo, ma impossibile da non nominare vista la sua rilevanza – a produzioni che partono proprio da casa Netflix, l’audiovisivo offerto ha non solo rinfoltito le schiere di materiali per le liste della piattaforma, ma ha contribuito a ricostruire, con tutti i pezzi e i mezzi disponibili, la storia di un’identità e una formulazione sulle teorie gender che hanno dato il via a due importantissime opportunità.
Una a chi, fino anche a pochi anni fa, si sentiva escluso dalle narrazioni principali dell’audiovisivo, convinto di essere trascurato dall’industria dell’entertainment e ora ritrovatosi finalmente rappresentato non solo attraverso canoni macchiettistici o grezzi, ma diventando protagonista di un mondo di cui prima gli erano riservati solo i margini. L’altra, invece, a tutti gli altri, abilitati ora ad acuire – o per alcuni, addirittura, attivare – la propria sensibilità riconoscendo la bellezza e purezza di una moltitudine di identità, che molte volte possono differire dalle nostre, ma di cui è essenziale conoscere e ascoltare le parole.
E se Ryan Murphy con Hollywood e il precedente The Politician si è posto in prima fila come autore e regista, ha saputo mostrare anche di poter valere in quanto produttore con uno dei documentari originali della piattaforma più teneri e riportanti l’umano come sia possibile vederne. A secret love è la storia d’amore lunga settant’anni di Terry e Pat, da tutti considerate cugine o amiche da una vita, ma in verità l’una l’amore dell’altra per la parte più consistente della propria esistenza. Inoltrandosi nell’ultima fase di convivenza delle due ormai anziane signore, il documentario di Chris Bolan ne riprende tantissimo l’attuale condizione di debolezza dovuta all’età, intervallandola dall’incredibile diligenza e costrizione che hanno dovuto passare le due donne, prigioniere di una società in cui l’omosessualità era considerata un reato.
Con la delicatezza che si merita chi ha dovuto vivere per anni nascosto, A secret love documenta, ma, prima ancora, testimonia un amore puro, di quelli che resistono al tempo e alle avversità, che non cerca di focalizzarsi solamente sulle ingiustizie passate, mostrando come un sentimento reale possa affrontare qualsiasi difficoltà.
Netflix e le sue finestre LGBT
È poi Circus of Book a risaltare un ulteriore aspetto dell’apertura a una conoscenza sfaccettata e illimitata della nostra società, risanando la memoria di un luogo di incontro e condivisione come quello che in Santa Monica Boulevard ha permesso a tantissimi di addentrarsi nei territori della sessualità, anche quella più spinta o stravagante, per un posto che è stato vitale negli anni delle lotte alla libertà di poter amare chiunque vogliamo, nonché di poter divertirci sfatando i tabù.
L’avvio, il rilancio e la caduta di un faro per la comunità LGBT pre-internet destinato ora a chiudere i propri battenti, in un documentario in cui si intrecciano gli accadimenti attorno (e dentro) il famoso negozio e la vita dei proprietari, in uno scambio continuo tra lavoro e famiglia.
Un grandissimo merito quello di Netflix e del suo continuare a comprendere il significato che questa finestre sul mondo, artificiose o reali a seconda delle produzioni, possono avere e indicare per tutto il loro pubblico. Una spinta alla meraviglia che va componendo questo pianeta e verso tutte le tipologie di persone che lo abitano, che possono rivivere o rivedersi come in uno specchio grazie alla più diffusa e potente casa distributiva al mondo.