Metallo, scintille e cuore nel nuovo action-gdr di Platinum Games.
Che si conoscesse o meno quel titolo di nicchia uscito circa 7 anni fa, chiamato Nier, particolarissimo action-gdr bistrattato da molti ma anche apprezzato da altrettanti videogiocatori, era comunque difficile avere delle aspettative basse per il suo sequel Nier: Automata, perché la collaborazione tra Square Enix, Platinum Games e il visionario autore dell’opera originale Yoko Taro, non poteva far altro che generare un certo interesse e curiosità intorno a questo titolo per PS4 e PC. Per la prima volta Platinum Games, a cui è stato affidato lo sviluppo sotto la direzione del talentuoso autore giapponese, si è cimentata in un progetto dall’ampio respiro, un gioco dalla profonda sostanza narrativa, un titolo open world con moltissime velleità tipiche del gioco di ruolo nipponico, che non rinunciasse però ad inserire nella sua struttura quelle dinamiche da puro action game che hanno reso celebre il team giapponese. Un’azione vorticosa, schizofrenica, che gli sviluppatori hanno voluto declinare all’interno del titolo in moltissime maniere diverse, tutte perfettamente coese tra loro in un opera unica, che trasuda stile e personalità. Ma partiamo dal principio.
Glory to Mankind
Il background di Nier: Automata (abbastanza slegato dal suo prequel per essere apprezzato anche senza conoscerlo) risulta sconfinato fin dalle prime battute, e si svela lentamente lungo il gioco attraverso le vicende di 2B, un androide femminile appartenente alla squadra degli Yorha, unità cibernetiche dedite al combattimento costruite dagli uomini per rivendicare la paternità della Terra, conquistata nel corso dei secoli dalle biomacchine, robot di natura extraterrestre che dominano ormai incontrastate il nostro pianeta. La storia di Automata quindi decide di nascondere e mettere in secondo piano lo scontro diretto tra le due fazioni principali che hanno generato il conflitto. Da una parte infatti c’è l’umanità, ritirata sulla Luna che impartisce gli ordini agli androidi i quali gestiscono la situazione da una base spaziale interamente popolata da questi esseri artificiali senzienti, dall’altra i misteriosi alieni artefici di quelle biomacchine che sono rimaste l’unica traccia del loro passaggio sulla Terra. Yoko Taro perciò decide di non raccontare la banale storia di un conflitto su scala planetaria, non parla delle due fazioni opposte tra loro ma bensì della vita dei loro “strumenti”. Ecco quindi che tutto diventa più sottile e interessante, anche grazie al modo intelligente con cui i dialoghi tra i vari personaggi sono gestiti, un’alchimia tra semplicità e ironia che lasciano intravedere dietro sempre molto di più di ciò che è il messaggio “diretto” di ogni androide e biomacchina incontrata sul campo.
Nier: Automata a dispetto delle premesse è quindi un gioco che parla di libero arbitrio, di identità, di emozioni, di questioni esistenziali che risultano ancora più nette, sentite e profonde proprio in virtù del contrappunto che vede queste tematiche cosi “umane” emergere dal vissuto di personaggi totalmente privi di umanità. Nier: Automata si racconta quindi su più piani di lettura: mentre svolgiamo il nostro ruolo di guardiano dell’umanità attraverso classiche operazioni di supporto alla resistenza androide sul territorio terreste, martoriato e abbandonato dalla civiltà da anni, conosciamo sempre di più protagonisti e antagonisti, ed emerge tutta l’ambiguità di un plot solo apparentemente lineare, spesso e volentieri anche attraverso scelte ludiche che fanno riflettere sul nostro operato con la diretta interazione con il mondo di gioco. Una geniale forma di meta narrazione che ci ha ricordato molto le opere di Kojima e che in Nier colpisce in maniera brillante, personale e altrettanto potente grazie all’immaginazione di un altro talentuoso game designer, Yoko Taro.
Pimp my 2B
Una volta assodata la bontà di scrittura di Nier: Automata, viene lecito domandarsi se sul piano ludico sia altrettanto riuscito e soprattutto, che tipo di gioco sia in realtà. Delle domande che richiedono una risposta complessa, che ben si sposa con quella stessa complessità effettivamente ricercata da un titolo autoriale come questo. Nier: Automata ha una macro struttura che è quella dell’action-gdr, un scheletro ben definito che però presenta al suo interno una serie di dinamiche di gioco prese da generi totalmente differenti e anche alcune soluzioni totalmente originali. Nei panni della bella 2B, avremo modo di muoverci liberamente all’interno di una vasta regione, che comprende molti scenari e una varietà paesaggistica niente male. Le missioni di gioco infatti ci porteranno a visitare deserti, città in rovina mangiate dalla vegetazione, Luna Park abbandonati e una serie di altre location che vi lascio il piacere da scoprire. Attenzione però, le ambientazioni di gioco non sono esattamente “open” come potreste pensare, diciamo che ricorda molto il level design dei Dark Souls, ovvero una serie di macro aree ben circoscritte e collegate tra loro da alcuni percorsi più o meno lineari. Il mondo di Automata quindi non è gigantesco, ma grande “il giusto” per non rendere l’azione troppo dispersiva. E già che parliamo di azione, concentriamoci su quello che è il focus del gioco, il combattimento. Per la maggior parte del tempo questo si sviluppa in un combat-system che risulterà molto familiare, per feeling, a chi ha provato altri giochi di Platinum come Metal Gear Rising e Bayonetta. Parliamo quindi di scontri frenetici basati sui riflessi i cui ingredienti principali sono velocità di esecuzione per schivare i colpi nemici e l’alternanza di colpi leggeri e pesanti. La profondità del combattimento risulta molto meno tecnica rispetto ad un action stilish in pena regola, non ci sono decine di combo performabili attraverso diverse combinazioni di tasti, gli unici tatticismi in tal senso sono i colpi caricati e un colpo unico che unisce l’utilizzo di due armi affini tra loro (combinazioni da scoprire) premendo il colpo leggero e poi subito quello pesante. Se da un lato questa scelta rende i combattimenti un po’ ripetitivi e meno intriganti rispetto ad un hack and slash vero e proprio, dall’altro la componente gdristica del titolo compensa completamente tale “superficialità”. Le armi infatti sono tantissime e sebbene come detto presentano tutte un moveset predefinito, poco “plasmabile” e spesso simile tra loro, permettono di dare una discreta varietà agli scontri in virtù della loro quantità.
Ognuna di esse è liberamente equipaggiabile in 2 set composti da una coppia di armi da switchare a proprio piacere, e si può assegnare per ogni set un’arma al colpo leggero e un’altra a quello pesante, con ovvie differenze di moveset a seconda del tasto adibito. Tale moveset può anche essere ampliato livellando l’arma fino a 4 possibili gradi di upgrade, che tra le altre cose forniranno abilità specifiche come quella di fornire più colpi critici o -ad esempio- rendere disponibili degli sconti speciali nei negozi. Inoltre, è possibile attraverso un originale sistema di personalizzazione che rimpiazza il classico skill tree, creare la propria “build” in modo da avere una 2B perfettamente costruita sul nostro stile di gioco o magari su una determinata esigenza. 2B è dotata infatti di un banco memoria (espandibile nei negozi fino ad un certo limite) che fornisce un tot di slot in cui inserire chip comprati o acquisiti durante i combattimenti, che sostanzialmente sono abilità e caratteristiche nuove per il vostro personaggio. Questi sono di supporto, attacco, difesa e moltissimi altri utilizzi. Si va dal chip che fornisce semplicemente più potenza di fuoco o di attacco, a quello che vi dà più difesa, quello che velocizza i vostri movimenti, che vi permette un range più largo per le vostre schivate, che vi dà più punti vita, che vi permette di curarvi automaticamente subiti un tot di danni e decine e decine di altri possibili utilizzi. 2B è un androide completamente personalizzabile, addirittura potrete decidere di sacrificare alcuni chip dedicati all’interfaccia di gioco, come quello che mostra i danni subiti/inferti o la vostra barra di energia, per far spazio a qualcosa che ritenete più utile. Il valore strategico di tale sistema è ulteriormente amplificato dal fatto che ogni chip può essere reperito in una sua versione migliore (+1, +2,+3 ecc.) o upgradato attraverso la fusione di chip della stessa natura e dello stesso livello. In questo caso però il chip prenderà più slot e maggiore sarà l’efficacia del vostro set di chip maggiore sarà l’attenzione che dovrete fare nello sfruttare bene lo spazio a vostra disposizione. Non è quindi possibile avere un personaggio con tutti gli attributi al massimo e dovrete comunque sempre decidere quali caratteristiche avvantaggiare. C’è da dire però che esiste anche il level up del vostro personaggio e ogni volta che acquisirete abbastanza punti esperienza passerete al livello successivo, fortificando sempre di più 2B in linea generale.
I mille volti di Nier
Ma ecco che laddove in Automata troviamo declinati in maniera estremamente personale e riuscita, elementi in qualche modo “classici” di ogni action-gdr che si rispetti, è in tutta una nuova serie di eccentriche scelte di game design che riesce a davvero a sorprendere. Innanzitutto oltre a tutto ciò che abbiamo già citato molta enfasi è stata posta sul combattimento a distanza, ed è incredibile quanto Taro e Platinum siano riusciti a fondere diverse formule di gioco appartenenti agli shooter in un titolo del genere. Partiamo dalla presenza del Pod (anch’esso espandibile nelle possibilità di attacco), un drone sempre al nostro fianco capace di sparare a mo’ di mitragliatrice, un’opzione offensiva che ha aperto agli scontri di Nier molte nuove forme di sfida. Molti nemici, compresi diversi boss infatti utilizzeranno a loro volta un approccio a distanza sparandoci sequele di proiettili sferici attraverso schemi sempre diversi che non faranno che complicarci le cose portando il concetto di bullet hell sul piano del action in terza persona. Una trovata originale e affascinante. Ma Nier: Automata fa anche di più rompendo in maniera drastica spesso e volentieri gli schemi a cui ci abitua e buttandoci ora in frenetiche sessioni di volo guidando degli esoscheletri che sembrano dei veri e propri shoot’em up, ora in esplorazioni che cambiano totalmente la prospettiva di gioco, costringendoci a giocare sezioni su un piano bidimensionale come fosse un Metal Slug o a volo d’uccello. Si tratta per lo più di parentesi sempre piuttosto brevi che fanno da corollario ad un’impostazione di gioco ben definita per il 90% del gioco, ma che permettono di stupire il giocatore ancora e ancora fino ai titoli di coda. Anzi ben oltre i titoli di coda, visto che rigiocare Nier: Automata dopo averlo finito vi aprirà la strada ad un’altra miriade di sorprese non solo sul piano narrativo ma anche sul quello del gameplay vero e proprio.
Ma quanto a lungo vi riuscirà quindi Automata a trattenere con il pad in mano? Questo dipende molto da voi: le missioni della storia (che comunque dovrete rigiocare più volte per avere un quadro completo) si finiscono piuttosto in fretta, una decina di ore al massimo. Diciamo quindi che se lo giocate come action puro, la durata è nella media del genere. Se invece però deciderete di abbracciare totalmente anche l’impianto “gdristico” del titolo, allora dovrete moltiplicare quella decina di ore per 2, o anche 3 volte. Le side quest sono davvero innumerevoli e molto spesso davvero utili per valorizzare l’offerta contenutistica del gioco, giacché vi porteranno sempre a scoprire nuovi dettagli della lore o più concretamente ad espandere il vostro equipaggiamento con nuovi oggetti, armi, chip e quant’altro. Chicche e segreti infatti in Nier non mancano, ma solo pazienza, dedizione per le attività secondarie e perizia nell’esplorazione vi porteranno a scoprire tutto.
Una sfida per tutti
Ogni buon gioco che si rispetti deve offrire una difficoltà equilibrata. In Nier: Automata la questione è controversa. Se ci basiamo infatti sui soli livelli di difficoltà disponibili, non sempre la sfida risulta adeguata per tutti i palati. La difficoltà normale ad esempio, svilisce completamente ogni singolo aspetto del gameplay già a poche ore dall’inizio del gioco. E’ infatti troppo facile raggiungere un livello per il quale non dovrete più fare attenzione alle armi che utilizzerete, non dovrete preoccuparvi dei chip equipaggiati, e ogni item del gioco risulterà per lo più inutile. L’intelligenza artificiale dei nemici infatti è risibile e i loro pattern d’attacco ridotti all’osso, evitare quindi qualsiasi attacco sarà semplice e annichilirli in pochi attimi lo sarà altrettanto. Giocare a difficile d’altro canto offre una buona sfida ma solo fino al momento in cui non raggiungere un grado di esperienza con il vostro personaggio molto alto. I nemici infatti si adeguano al vostro livello solo fino ad un certo punto, oltre il quale non andranno. Infine la modalità estrema tocca picchi di severità sempre e comunque troppo alti, giacché un singolo colpo basterà per morire in ogni situazione.
Detto questo, è possibile in realtà personalizzare anche questo aspetto del gioco, perché se il gioco risulterà troppo facile basterà complicarsi la vita inserendo chip meno efficaci o anche cambiando il comportamento del nostro compagno di viaggio facendolo essere più o meno attivo durante i combattimenti. Sono espedienti forse un po’ pretestuosi e macchinosi per arginare il problema della difficoltà, ma mi rendo conto che forse era difficile fare altrimenti e rendere comunque il gioco fruibile su larga scala.
“Soulsiane” reminiscenze
L’ultima opera di Platinum Game come abbiamo visto, unisce in maniera elegante e carismatica tanti elementi presi dai più svariati generi di giochi, da quelli più di nicchia ad altri più “di tendenza” nel panorama odierno, come un mondo aperto, un sistema di combattimento sfaccettato ma intuitivo, tanto crafting e una classica struttura di progressione a base di main e sub quest. Tra questi c’è anche qualche meccanica presa dai titoli di FromSoftware. Per capire cosa intendo, partiamo dallo spiegare come funziona il sistema di salvataggio di Automata. Nelle varie location andranno sbloccate e attivate delle postazioni che vi permetteranno di salvare il partita in quella determinata area. I checkpoint sono estremamente rari e distribuiti in punti ben precisi della storia, per il resto, ogni volta che morirete, dovrete ricominciare da queste postazioni. Come in Dark Souls anche qui infatti una dinamica extra-diegetica e ludica come la morte è contestualizzata nella logica dell’universo di gioco. In effetti A2 è un androide la cui coscienza può essere trasferita su un nuovo corpo cybernetico (che la postazione di salvataggio “sfornerà” sul momento) ogni volta che questo perisce. Tornando nel luogo della nostra morte troverete infatti il vostro corpo a terra e potrete recuperare i chip persi, un po’ come funzionava con le anime dei non morti. Anche in questo caso se si muore prima di raggiungere il proprio corpo a terra, si perderà tutto. Inoltre troverete in giro corpi di altri giocatori morti e potrete o assorbire da loro alcuni power up temporanei e risorse oppure riportarli in vita per assistervi nelle battaglie per un lasso di tempo piuttosto breve.
Il pelo nell’uovo
Platinum Games e Yoko Taro hanno fatto un lavoro eccezionale, e tutti i comparti del titolo di cui abbiamo parlato fino ad ora, creano un’alchimia che per lo più sfiora l’eccellenza. Eppure purtroppo non possiamo parlare di perfezione a causa di alcuni difetti, o se vogliamo limiti. Quello più evidente riguarda sicuramente il comparto grafico. Automata ha stile da vendere, il character design è in quasi tutti i casi eccellente, salvo qualche eccezione che vede qualche comprimario o antagonista tenersi in bilico sulla sottile linea della banalità. Gli androidi hanno un look cool, ispirato all’animazione giapponese più riuscita. Le biomacchine poi, nella loro semplicità, nel loro essere così grezze esteticamente e spesso buffe, a volte anonime, sono realizzate in modo ottimale e funzionale per sottolineare la dicotomia macchina/anima (non vi preoccupate, tutte cose che capirete giocando). Le animazioni sono altrettanto notevoli: 2B utilizza ogni arma con una grazia ed eleganza incredibile e ogni combattimento si trasforma in una danza frenetica ma anche ammaliante. Dove proprio il gioco non ce la fa però è negli scenari, davvero troppo poveri di dettaglio, con texture di qualità bassissima, spogli e spigolosi come nemmeno nei giochi di due generazioni fa. E si, anche se parliamo di un gioco dagli spazi ampi (ma non poi così tanto) che viaggia con un frame rate di 60 fps, tale pochezza grafica davvero non è giustificabile sugli hardware odierni. La cosa dispiace perché si intravede il piglio artistico dietro la mera realizzazione tecnica e si capisce come quelli che sicuramente erano stupendi bozzetti di paesaggi estremamente affascinanti e suggestivi, solo in rarissimi casi coinvolgono lo sguardo del giocatore sullo schermo, il quale si trova davanti orizzonti potenzialmente belli da vedere, ma alla prova dei fatti sterili e anonimi. Fortunatamente non è così proprio in tutti i casi e la regia del gioco e certe sequenze campali piene di elementi su schermo riescono comunque ad appagare un po’ la vista, ma sostanzialmente, il colpo d’occhio sulle larghe vedute è quasi sempre deludente. Se aggiungiamo il fatto che il frame rate non è poi così stabile (fortunatamente non tanto nei combattimenti ma durante l’esplorazione) capiamo come il problema sia anche più grave.
C’è a mio avviso anche un altro “problema” nel gioco che risiede nelle side quest. Queste non sono poi molto diverse da quelle che troviamo in moltissimi altri giochi che presentano una componente ruolistica. Si tratta spesso di andare dal punto A al punto B e viceversa, fare scorte di loot di vario genere, svolgere commissioni basilari, cercare roba o gente nascosta in giro ecc. Nulla di scandaloso ma nemmeno nulla di trascendentale che, proprio perché il resto del gioco risulta così fresco, veloce e sempre divertente, mette in risalto la dose di ripetitività e “banalità” piuttosto alta che contamina queste missioni secondarie. Il problema è duplice: visto l’imbrido piuttosto estroso fino a questo momento riuscito tra avventura ruolistica e action al fulmicotone, era secondo il mio umile parere meglio limitare il numero di queste side quest (sono TROPPE) per diluire meno l’esperienza con attività non sempre proprio così divertenti. Inoltre, è un peccato che in queste side quest solo raramente vengano utilizzati quei cambi di prospettiva nel gameplay che risultavano cosi piacevoli nelle missioni primarie. Qualche fase da shoot’em up, qualche puzzle o livello in salsa platform side scroller in più, giacché si sono impegnati tanto per creare un’esperienza versatile e aperta a tutti questi cambi di registri, non avrebbe certo stonato per sostituire almeno in parte i mille incarichi opzionali che comunque saremo costretti a fare se vogliamo davvero sviscerare il gioco in tutte le sue parti.
Verdetto
Tutto considerato però, stiamo parlando di un grande gioco, che cerca di fare molte cose e le fa tutte molto bene rimanendo sempre su altissimi livelli, non raggiungendo però l’eccellenza assoluta in nessuna, se non, e va proprio detto, nella colonna sonora. Le melodie che caratterizzano le varie zone del gioco sono strepitose e le canzoni che accompagnano molti momenti importanti dell’avventura sono quanto di più emozionante e suggestivo io abbia mai sentito in un videogioco, il compositore Okaba è riuscito ad unire epicità e malinconia, dolcezza ed grazia in alcuni pezzi che vi entreranno nella testa e non ne usciranno più. Nier: Automata è un titolo fortemente autoriale su più livelli, quello del concept, della narrazione, opera dei virtuosismi con cui Yoko Taro è riuscito ad unire filosofia, fantascienza, e la miglior ispirazione proveniente da opere cyber-futuristiche dell’ animazione giapponese come Neo Genesis Evangelion e Ghost in the Shell; ma anche su quello del gameplay, la cui firma di Platinum Games ormai fa scuola per quel che riguarda una certa perizia, pulizia e precisione svizzera nel sistema di controllo, nella cinetica del combattimento e dinamismo dell’azione. Una perla rara, ma anche grezza e imperfetta per alcuni aspetti. Un titolo semplice e intuitivo ma non per questo semplicistico ed evidentemente non per tutti. Un compendio di tutte quelle formule di gioco in cui gli sviluppatori giapponesi primeggiano ancora. Questo, e molto altro, è Nier: Automata.