Non muoiono le api, romanzo d’esordio di Natalia Guerrieri, unisce distopia e realismo magico per portare speranza in un genere spesso abusato
Ha ancora senso, oggi, scrivere distopie? In un presente di epidemie, sovranismi, illusorie tecnocrazie, negazione dei diritti e cambiamento climatico, quante persone hanno ancora voglia di leggere storie di futuri cupi?
Parlando a titolo personale, le distopie mi hanno stancata; riesco a malapena a scendere a patti con ciò che succede nel nostro mondo, per poter apprezzare speculazioni su modi alternativi in cui la Terra e i terrestri (soprattutto questi ultimi) riescano ad autodistruggersi.
E, devo ammetterlo, questo ho pensato prima di leggere Non muoiono le api di Natalia Guerrieri, il più recente dei volumi pubblicati da Moscabianca Edizioni. L’esordio dell’autrice modenese, infatti, sembra avere tutte le carte in regola per rientrare a pieno diritto nel filone distopico. Come scrive Nicoletta Vallorani nella prefazione: “Non muoiono le api […] racconta la storia di come un sassolino cominci a rotolare lungo un pendio innevato e in un tempo ragionevolmente breve si trasformi in una valanga.” Le tre storie che scorrono nelle quattrocentocinquanta pagine del romanzo sono quelle di Leonard – figlio della classe benestante, che non ha mai effettivamente toccato con mano le problematiche del paese, Anna – donna, madre, figlia, moglie, apparentemente realizzata, che si vedrà strappare tutto dalle braccia in una sola notte, e Andrea – cinque anni, alcuni animaletti di plastica per giocare, una sensibilità che si rivelerà una chiave di salvezza. Andrea, Anna, e Leonard orbitano attorno alla città di M, al quartiere L, da cui le persone in forze sono state strappate all’improvviso, reclutate per una guerra che è – come tutte le guerre – insensata, mentre le persone deboli sono abbandonate a loro stesse, alla mancanza di elettricità e riscaldamento, al mercato nero.
Natalia Guerrieri fa sua la lezione di Margaret Atwood – quel tutto quello che io racconto è già accaduto in qualche luogo, in qualche tempo e a qualcuno di noi che dovrebbe essere il mantra di chiunque scriva narrativa speculativa – e rielabora i pericoli e le preoccupazioni del nostro tempo mettendo in scena un cupo scenario che sembra appartenere, allo stesso tempo, al nostro passato, al nostro presente e al nostro futuro. Lontana dalla letteratura della pandemia che sta iniziando a pullulare sugli scaffali delle librerie – con instant book immediatamente dimenticabili e vecchi titoli rispolverati per l’occasione con bandelle che ne esaltano presunte doti oracolari – Non muoiono le api è una storia in cui le persone indossano mascherine e si affidano allo shopping online per non avventurarsi più del dovuto fuori dalle mura domestiche, in cui i genitori lavorano da remoto e i figli studiano davanti agli schermi, cullati dalla consapevolezza che tutto ciò di cui hanno bisogno sia accessibile su Nuvola. Sarà proprio la scomparsa dell’immenso cloud immaginato da Guerrieri – che non diversamente dal nostro internet delle cose consente alle persone di comunicare, lavorare, cercare informazioni, archiviare memorie, utilizzare oggetti sempre meno analogici – a spingere quel sassolino di cui parla Vallorani lungo il pendio, separando famiglie, creando nemici immaginari, costringendo Leonard a uscire dalla bolla del suo appartamento per affrontare il mondo reale.
Se il setting iniziale, perciò, rende Non muoiono le api una distopia fatta e finita, le storie di cui il romanzo si compone lo avvicinano, con lo scorrere delle pagine, a un futuro di speranza e di empatia, di connessioni con gli altri e le altre, anche con coloro che fino a quel momento, per paura (loro) e disprezzo (nostro) hanno vissuto in cittadelle il più possibile avulse dalla società che le circonda – e che proprio per questo motivo offrono a chi è rimasto, a chi ha resistito, terreno fertile per ricostruire. “È come per la Storia.” fa dire l’autrice a Hamed, abitante della cittadella di Q, “Un nuovo mondo ha bisogno di nuova cartografia, oltre che di una nuova storiografia.”
Se immaginiamo Non muoiono le api come un corpo, Leonard – che per la prima volta comprende il significato profondo della parola speranza, che scopre cosa voglia dire avere fiducia nel futuro – è il cervello, è la figura che scava nel passato per comprendere il presente e scrivere il futuro (perché “scrivere, ora, non è più solo un atto di speranza, una missione individuale: finalmente posso diventare un tramite tra il presente e il futuro, vivere nel mondo per restituire al mondo, sapendo che altri leggeranno, trascriveranno, e forse nel futuro ricorderanno.”), mentre Anna – che non smette di prendersi cura di chi la circonda, neanche quando ciò le permetterebbe di avere cura di se stessa – è il braccio che avvolge, che culla, la mano che consola, che sostiene e Andrea, con i suoi cinque anni e il suo naso carinissimo è il cuore, l’anima, gli occhi spalancati che vedono oltre il reale, traghettando chi legge in un realismo magico che non snatura la storia ma che, anzi, esalta gli elementi più crudi presi in prestito dal passato della nostra società.
Con la sua scrittura delicata ma tenace, Natalia Guerrieri scrive una distopia impreziosita da un ricamo di weirdness, una storia che non finge che stia andando – e che andrà – tutto bene; Non muoiono le api non è una narrazione di potere sovvertito e di ordine ristabilito, ma è una storia dell’antropocene che presenta nuovi epiloghi, nuove società, una storia di resistenza, di vita nonostante tutto, una storia che ha un messaggio da trasmettere, “nella speranza che anche solo una persona sia in ascolto, [che] è già un modo per cambiare le cose. E infatti hanno trovato noi.”