Unicorni, asce e violenza.
La follia è una cosa buona. Lo diceva Erasmo da Rotterdam, circa cinquecento anni fa. Staccare ogni tanto i freni inibitori della nostra mente e lasciarci andare ci può donare dei momenti di sospensione e felicità, facendoci apprezzare cose che, fino a quel momento, avremmo dato per scontate.
Se poi la follia in cui veniamo risucchiati è quella di un autore come Skottie Young, non possiamo fare altro che arrenderci ad essa, abbracciarla e goderne quanto più possibile. Perché, in buona sostanza, è questo che rende speciale Odio Favolandia, da poco giunto alla pubblicazione del suo quarto volume.
Alzi la mano chi, nel corso delle proprie letture fantasy, non ha mai sognato di poter attraversare un portale e trovarsi magicamente a Narnia, nella Terra di mezzo, a Hogwarts? Chiunque abbia la capacità di vedere il mondo per quello che è, cosa che consente di desiderare e, talvolta, creare una nuova realtà. Ma state attenti a ciò che desiderate: potrebbe avverarsi.
Almeno è quello che sembra succedere alla piccola protagonista di Odio Favolandia.
Gertrude è una dolce bambina di otto anni che un bel giorno si ritrova risucchiata dal pavimento della sua cameretta, finendo per schiantarsi in Favolandia, un mondo dai colori sgargianti dove tutto è bello e zuccheroso. Forse troppo bello e zuccheroso.
Sarà qui che la Regina Clodia affiderà alla piccola una vera e propria “quest” per permetterle di tornare a casa. Il suo compito sarà quello di trovare una chiave magica, capace di aprire la porta per il suo mondo, partendo quindi all’avventura con il moscone parlante Larrigon Wenstworth III. Sembrano le premesse per una splendida avventura fantasy, non è vero? Qualcosa che tutti abbiamo letto, giocato o visto.
Il problema è che Gert non è esattamente un asso nel trovare gli oggetti e il popolo di Favolandia non è di aiuto, costringendola a una quest insensata dopo l’altra, impedendole di completare il suo incarico. Insieme a un sempre più disilluso Larry, costretto a vedere ignorati tutti i propri consigli, Gertrude rimarrà per ventisette lunghi anni bloccata a Favolandia. Benché esteriormente abbia mantenuto l’aspetto di una dolce bimba di otto anni, in realtà il tempo l’ha trasformata in un’acida zitella, un tantino psicopatica.
Nella mente di Gert a un certo punto scatta una molla: frustrata da anni di ricerche infruttuose, nasce in lei il desiderio di farla pagare a quel mondo fatato che l’ha sottratta all’affetto dei genitori e costretta senza motivo a una ricerca assurda, facendole perdere quasi trent’anni di vita. Il primo a farne le spese sarà il Narratore Luna, seguito poi da delle stelline innocenti, testimoni dell’accaduto. L’idea di per sé mostra del genio: l’inserimento del gore in un mondo abitato da fate, unicorni e orsetti del cuore rendere diverso da tutto il resto l’opera di Young, mostrandoci una scia di sangue e morte unica nel suo genere.
Perché se è vero che la violenza nei fumetti di oggi è all’ordine del giorno, non ci sono altre opere in grado di competere col modo di rappresentarla visto in Odio Favolandia. In questo lo stile cartoonesco di Young e i colori vividi dell’opera si fondono perfettamente con un gorgo di violenza splatter degna del miglior Sam Raimi, qualcosa che diventa sempre più folle e insensato col passare delle pagine. Quella che esteticamente potrebbe sembrare un’opera fantasy per bambini rivelerà ai lettori una serie di massacri sempre più crudeli, scene politicamente scorrette e battute salaci, dove sono proprio il bello e il bene, proposti nella loro versione più stucchevole e infantile, i nemici mortali della protagonista.
Stanchi di unicorni, arcobaleni e folletti dalla parlata smielata? Gert è d’accordo con voi. E parliamo di una furia omicida, ubriaca buona parte delle volte, scatenata però non contro orde di orchi e barbari (non solo, almeno), ma verso ogni tipo di creatura fatata, da funghetti antropomorfi (letteralmente uccisi a morsi) fino a poveri Giganti Solletichini (a cui Gert scaverà un tunnel nel petto). Insomma, non c’è creatura delle fiabe che non venga presa di mira da Gertrude e dalla sua ascia.
Odio Favolandia è un’opera semplicemente dissacrante. Un modo di prendere i cliché tipici delle fiabe e del genere fantasy per farli a brandelli. Senza mai farsi mancare una strizzata d’occhio o due verso la cultura pop, ma il tutto senza che questo distolga dalla vera trama dell’opera: la scia di devastazione di Gert.
Perché tra i punti di forza di Odio Favolandia c’è anche questo: la scelta da parte dell’autore di non utilizzare mai più del dovuto elementi noti ai lettori, preferendo cercare battute originali e scene che permettano di sfruttare al meglio l’ambientazione. La tentazione di cadere nel citazionismo, quando si ha a che fare con un mondo fantasy satirico, è dietro l’angolo. Per questo la scelta di cercare sempre una gag o una battuta originale è ancor più apprezzabile.
Leggere il racconto di Young ci pone di fronte a diversi modi di recepirlo. Ovviamente l’opera in sé è senza dubbio una spietata satira del fantastico, un genere che negli ultimi anni è stato sfruttato e sviscerato in ogni modo possibile e immaginabile. Resta il fatto che Odio Favolandia può essere letto in primo luogo come un’opera fantasy a tutti gli effetti, ma nella sua concezione migliore, la stessa utilizzata da autori geniali come Terry Pratchett e Neil Gaiman: quella di una feroce critica verso il nostro mondo.
In questo Odio Favolandia dimostra di avere una marcia in più rispetto a un qualsiasi fumetto dello stesso genere. I riferimenti al nostro mondo si sprecano, visti però sotto una luce unica. Le storture che viviamo ogni giorno vengono trasposte in Favolandia per essere mostrate in un contesto colorato e fiabesco, ma proprio per questo capaci di avere un impatto ancora maggiore sull’immaginazione del lettore.
Ma a parte questo, uno dei modi più affascinanti di vedere l’opera di Young è quello della critica di un autore… verso gli autori!
Chi ha messo mano a una penna o battuto abbastanza caratteri su una tastiera per mettere insieme una storia conosce bene la sensazione che dà creare dei personaggi, un contesto e delle vicende. Raccontare è qualcosa capace di affascinare da sempre gli esseri umani… ma i personaggi sono forse d’accordo? Young prova a ribaltare la prospettiva: ci mostra una protagonista che sta realizzando il sogno di milioni di persone di tutte le età, eppure lo fa controvoglia, costretta a immergersi in un’avventura scomoda e per nulla priva di rischi. E spesso lasciandosi deviare dalla necessità di berci un po’ su, per dimenticare quello che sta vivendo.
L’accusa, che nel quarto volume diventa palese, in effetti riguarda un po’ tutte le opere che mostrano i propri protagonisti costretti a compiere le stesse azioni fino allo sfinimento. Ci sarà sempre un altro albo per un supereroe, un reboot per una saga cinematografica, un sequel per un romanzo. E questo con buona pace del personaggio principale, costretto a un loop eterno, anno dopo anno, avventura dopo avventura.
Leggere Odio Favolandia è questo: un’esperienza unica nel suo genere, in grado di coinvolgere il lettore con una serie di battute in crescendo, capace di mantenersi fresca e originale nel corso della sua intera stesura. Per un lettore appassionato di fantasy, ma anche per chiunque abbia una passione per il genere splatter, l’opera di Skottie Young è un must have.
Un gorgo di follia e violenza in cui è bello lasciarsi cadere.