Omoiyari: mettere l’altro al primo posto

Ormai sappiamo tutti che i giapponesi posseggono quasi un’innata propensione all’educazione nei confronti di amici, parenti o anche completi estranei. Tuttavia, non si riduce tutto solo a inchini e ringraziamenti più o meno sentiti, esistono anzi diversi codici di comportamento che variano in base a situazione, interlocutore e la propria posizione nel contesto. In taluni casi, tra espressioni del viso e linguistiche e gesti che già dimostrano la centralità dell’altro invece del sé, entra in gioco però un sentimento, detto omoiyari, che potremmo considerare assimilabile all’empatia e alla compassione, che spinge a compiere un’azione in favore del prossimo, in un esercizio di gentilezza che dovremmo imparare a donare di più.

omoiyari

Omoiyari e i rapporti interpersonali

Come al solito, già dalla parola stessa è possibile intuire il significato intrinseco di questo comportamento: omoiyari unisce infatti il verbo yaru, “fare, avere, inviare” al sostantivo omoi, “pensiero” e in effetti, quando facciamo una gentilezza a qualcuno, si tratta di questo: esprimiamo con un’azione il pensiero, l’interesse per qualcun altro. Qualcosa che va al di là del semplice riconoscimento di una necessità, poiché in quell’azione riversiamo la comprensione più profonda di ciò che la causa quella necessità, assecondando un po’ l’istinto che spesso non ci tradisce, almeno non tanto quanto le nostre parole.

Notare come si ponga l’accento proprio sul fare, invece che sul dire. Anche per noi occidentali non è facile dire qualcosa ed è preferibile, piuttosto, dimostrare coi fatti quello che vorremmo esprimere. Talvolta è così anche in Giappone, nonostante nella lingua giapponese stessa vi siano modi per prestare attenzione all’interlocutore. Il giapponese, infatti, divide il discorso diretto su più livelli di formalità che vanno da quello più colloquiale, parlato con amici intimi e famiglia, a quello più cortese e ricco di formule educate, usato quando ci si rivolge al proprio capo, agli insegnanti o in generale a qualcuno in una posizione superiore. In questi casi, non si esercita una gentilezza particolare e non si può dire vi sia un sentimento di omoiyari, ma si bada solo a rispettare gerarchie e regole sociali non scritte, che peraltro portano spesso anche a non esplicitare ogni singolo pensiero.

omoiyari

Lo omoiyari, però, potrebbe riuscire comunque a farsi strada in una conversazione del genere nel momento in cui si cerca di “leggere l’aria”, kuuki wo yomu: lo abbiamo provato tutti, quel momento in cui si percepisce chiaramente che è bene fare o non fare qualcosa, perché si sente serpeggiare nell’atmosfera la possibilità che sia o meno una buona idea. Il solo soffermarsi a fare questa “lettura” si potrebbe considerare omoiyari, perché è un modo per entrare in contatto con le sensazioni altrui curandosi di non mancare di rispetto o gentilezza.

Gentilezza multiforme

In realtà, comunque, la gentilezza e cortesia giapponese, e quindi lo omoiyari, possiamo viverla tutti i giorni sia in Giappone prestando più attenzione, sia alla nostra quotidianità occidentale, se solo cominciassimo a essere più presenti e orientati all’esterno, invece di concentrarci solo sul nostro ego.

Mettere il divisore alla cassa tra la nostra spesa e quella di qualcun altro; il packaging di certi prodotti, specialmente se sono stati incartati a mano, che rendono facile l’apertura o fanno in modo di non rovinare il contenuto; il riportare la vostra tazzina di caffè al bancone, se vi siete seduti a un tavolino; tutto ciò che può anticipare o prevenire qualcosa di spiacevole, un disagio o una qualche scomodità. Questi sono solo piccoli esempi di gentilezza e omoiyari che potremmo esercitare ogni giorno.

omoiyari

Il volontariato, ad esempio, è forse una delle forme più alte di omoiyari: i volontari, in fondo, non sono mossi da pietà verso coloro che aiutano, non hanno vissuto per forza le stesse difficoltà, eppure hanno questo sentimento radicato in loro che li spinge ad agire in modo disinteressato. Questi esempi dimostrano come questo possa essere una dote naturale o un aspetto della vita cui imparare a dare il giusto valore. Non serve comprendere perfettamente cosa provano gli altri, se si prova omoiyari ci si sta allineando a pensieri ed emozioni di un altro individuo, i quali ci portano spontaneamente ad agire.

L’azione dello omoiyari, perciò, ha una sua bellezza intrinseca comprensibile solo attraverso uno sguardo costante verso tutto ciò che può essere vulnerabile, esposto, anche sensibile e delicato, come può esserlo un oggetto o la nostra psiche. Come tanti altri concetti, legati soprattutto al pensiero buddhista, anche lo omoiyari si collega allora a ulteriori sentimenti classici giapponesi, come il mono no aware, col quale possiamo ricordare con ancor più fervore che la gentilezza non costa nulla ed è bene apprezzare questa e ogni altra cosa ci circonda perché avranno breve durata, in questo mondo così effimero e caduco ma dal potenziale armonioso.

Alessia Trombini
Torinese, classe '94, vive dal 2014 a Treviso e si è laureata all'università Ca' Foscari di Venezia in lingua e cultura giapponese, con la fatica e il sudore degni di un samurai. Entra in Stay Nerd nel luglio 2018 e dal 2019 è anche host del podcast di Stay Nerd "Japan Wildlife". Spende e spande nella sua fumetteria di fiducia ed è appassionata di giochi da tavolo, tra i quali non manca di provare anche quelli a tema Giappone.