“Ispirato a fatti realmente accaduti”
Poteva essere questo il primo campanello d’allarme. Tutti i film ispirati a storie vere sono delicati, perché oltre a dover costruire una struttura narrativa convincente, a saperla raccontare nel modo giusto, devono anche muoversi nei confini di una realtà storica che, licenza poetica permettendo, pone più di qualche paletto. Succede spesso che, per ispirarsi a storie vere, delle pellicole manchino di pathos o difettino di colpi di scena, svolte inaspettate, perché la realtà, inutile mentirci, è spesso noiosetta. Ma, incredibilmente, questo non è un problema di Operation Chromite, ispirato all’operazione segreta di infiltrazione di agenti sud-coreani, da parte americana, tra le fila dell’esercito nord-coreano stanziato a Incheon, durante la guerra di Corea. I fatti che si susseguono a schermo sono ben orchestrati e non sentono il peso di una fedeltà storica che è, d’altronde, largamente romanzata. Insomma, il problema del film è che questo rischio sventato, è stato l’unico ad esserlo, mentre in tutti gli altri aspetti il film si rivela deludente.
Nonostante sia ambientato durante la guerra di Corea, Operation Chromite non è un film di guerra. Si colloca prima dell’attacco delle forze delle Nazioni Unite, capitanate dal Generale americano Douglas MacArthur, a Incheon, contro l’esercito nord-coreano che ha invaso la Corea del Sud sostenuto dalla Russia di Stalin. È proprio quell’attacco che gli infiltrati sud-coreani devono aiutare, ottenendo dai nemici, con l’inganno o con la forza, informazioni chiave sulla difesa nord-coreana della città. Varie sotto-trame si intersecano in maniera molto poco interessante: da una parte la copertura da non far saltare; dall’altra la posizione delle mine navali da scoprire; dall’altra ancora, il Generale MacArthur che, spinto da un sentimento umanistico davvero didascalico, fatica a farsi ascoltare dai suoi superiori, che si accontenterebbero di un attacco in un luogo più accessibile, che darebbe luogo però a una cosiddetta “vittoria mutilata”.
La parte strategica, comunque, è un altro aspetto poco approfondito. Così come lo è la caratterizzazione dei personaggi. Su tutti, proprio il MacArthur di Liam Neeson che, a discapito di una presenza massiccia nel trailer, riveste una parte del tutto marginale, e non solo. MacArthur, figura storica complessa e piena di sfumature, diventa una macchietta che combatte solo e unicamente perché mossa da empatia verso il popolo sud-coreano e l’Umanità intera, minacciata dallo spettro del diffondersi del comunismo. Le sequenze riguardanti il suo personaggio, che nega alacremente di essere interessato alla futura presidenza degli Stati Uniti (quando invece proprio questo sarebbe stato un elemento interessante e controverso), sono quelle più vuote di tutto il film, infarcito di un patriottismo al limite del propagandistico, che ricorda pellicole belliche di vent’anni fa ma con meno potenza e poderosi momenti di anticlimax. Persino la colonna sonora vi risulterà stucchevole in questi frangenti di “epica” e “sentimento”, goffamente architettati. I temi accennati sono certamente delicati e fonte di dramma, ma sono tutti troppo accennati e poco sviluppati, per non parlare di alcuni soltanto gettati nella mischia alla buona (come il filone romantico, inesistente e immotivato, fino alla fatidica battuta che lo scolpisce nella mente degli spettatori come una matita HB lo scolpirebbe nella pietra).
Il resto del cast, interamente e giustamente composto da attori orientali, fallisce nel compensare un Neeson, di fatto il volto noto a fare da sponsor per il film, altamente deludente, regalandoci prestazioni quasi interamente anonime. Gli otto infiltrati vivono prima qualche brevissima schermaglia da film di spionaggio per poi, saltata la copertura, affrontare la missione da fuggitivi, con grossi spargimenti di sangue e di piombo. Solo il protagonista, il Capitano Jang Hak-soo interpretato da Lee Jung-jae, e l’antagonista principale, il Lim Gye-jin di Lee Bum-soo, fanno eccezione, instaurando una buona contrapposizione drammatica tra i due personaggi. Tutto il resto è, ben più che ordinaria, noiosa amministrazione.
Neanche la regia di John H. Lee la scampa, forse messa in difficoltà dalla natura ambigua della pellicola, non di guerra, non di spionaggio, di certo non storica ma nemmeno completamente didascalica. Non abbiamo un montaggio ispirato e anzi, salvando un numero esiguo di inquadrature, le sequenze di scontro sono confuse e confusionarie, impedendo allo spettatore una comprensione sufficiente degli eventi. Anche questo contribuisce a diminuire l’epica sopracitata, tanto disperatamente ricercata con una serie di cliché che non smetterà mai di non-sorprendervi (vale a dire sorprendendovi in negativo).
Verdetto:
Dispiace constatare che il film, che si ispira a un’operazione segreta realmente accaduta e potenzialmente interessante, si sgonfia per una serie di problemi che attengono non alla fedeltà storica ampiamente romanzata ma, primariamente, alla pellicola stessa e a com’è costruita. Troppi temi si sovrappongono senza che uno venga sviluppato a dovere, il pathos viene disperso da momenti di sentimento stucchevoli, ogni personaggio risulta piatto e bidimensionale. Persino, e soprattutto, il Generale MacArthur di Liam Neeson. Il film, che per certi versi ricorda lungometraggi di vent’anni fa (o più), si dimostra ancora più indietro per quanto riguarda l’abilità del raccontare, ignorando e stigmatizzando la sensibilità dello spettatore che, dopo 111 giri di orologio, resterà tristemente a bocca asciutta.