Due parole sugli Oscar 2015
Il cinema non è una scienza perfetta, non lo è mai stata e mai lo sarà. Accade allora che, seppur sia un anno un po’ avaro di capolavori, nella magica notte di Los Angeles ci siano inevitabilmente i grandi esclusi e gli scontenti.
Se l’opera di Linklater aveva distrutto i suoi concorrenti poco più di un mese fa durante i Golden Globe, nella cerimonia numero 1 al mondo viene invece del tutto ignorato dall’Academy, che dona solamente la statuetta all’invincibile Patricia Arquette, dimenticandosi dell’apprezzabile lavoro di oltre una dozzina d’anni del regista di Boyhood; invitandolo di fatto a sedersi per far posto a chi ancora non aveva ricevuto niente. C’è anche chi ha fatto di peggio, ovvero The Imitation Game del novello Tyldum, che forse non si aspettava, né tanto meno pretendeva un tripudio con ricchi premi e cotillon, ma nemmeno di fare la figura della matricola subissata di nonnismo a cui viene regalato il premio di consolazione. Se da un lato ci sono i vinti, dall’altro abbiamo sempre i vincitori. Più o meno. A Wes Anderson tocca infatti il ruolo di Christopher Nolan (stavolta inspiegabilmente ignorato), cioè quello del grande contendente che solitamente fa il pienone di nomination (ben nove), ma che nonostante riesca a portarne a casa un bottino soddisfacente, si rende conto che la quantità non è sempre connessa alla qualità. Sì, perché non prendiamoci in giro, esistono Oscar e Oscar. Ogni statuetta ha un peso diverso, e quella per la colonna sonora non può essere equiparata a quella per il miglior film.
I quattro premi ottenuti da Grand Budapest Hotel quindi non avranno mai lo stesso valore dei quattro vinti dal suo sfidante numero uno, che concorreva con il medesimo numero di nomination.Teniamo questo sottile velo di finta suspance perché il titolo in questione merita un discorso a parte. Ad un anno dal trionfo per la regia (più varie ed eventuali) di Alfonso Cuaron, lo strike di statuette pesanti tocca ad un altro messicano: Alejando Gonzàlez Iñáarritu; il vero vincente – più che vincitore – della serata. Il suo Birdman, seppur in maniera un po’ diversa rispetto agli ultimi titoli vincenti, è il classico film che piace all’Academy, e per di più con un mostro sacro come Keaton protagonista. Dunque: miglior film; migliore regia; miglior sceneggiatura originale; miglior fotografia. Praticamente Inarritu si è portato a casa pure il tappeto rosso. Una menzione particolare la spendiamo anche per Eddie Redmayne, che al primo tentativo fa centro con tutte le scarpe, prendendosi l’Oscar per il miglior attore protagonista grazie alla sua performance ne La Teoria del Tutto. Chissà come l’avranno presa i vari DiCaprio sparsi nel mondo. Chi sicuramente l’ha presa bene, presentandosi con un taglio di capelli da Serie A ed un vestito da sirena è Scarlett Johansson, bella e spensierata come sempre, al punto da far perdere quasi le staffe a John Travolta. Sarà pure il lato rosa della cerimonia, ma in fondo ogni anno anche la gara del look consegna i suoi vincitori, vinti e vincenti.