mumbo jambo, mumbo jambo
Dopo lo straordinario successo di The Walking Dead, e la conseguente creazione di un’etichetta indipendente (La Skybound, nata in seno alla Image Comics) era più che lecito aspettarsi che il nome di Robert Kirkman fosse destinato ad essere sentito sempre più spesso, che poi esso fosse evocato non solo nelle fumetterie ma anche in tv era, anch’esso, abbastanza prevedibile. E così dopo l’universo televisivo di The Walking Dead, Fox porta sui nostri schermi quello che è stato (ed è in realtà) un altro grande successo fumettistico dell’autore del Kentucky ossia Outcast. Ma cos’è Outcast? Di cosa diamine parla? Ma soprattutto com’è l’episodio pilota? Nonostante l’uscita in TV sia ancora lontana, noi di Stay Nerd abbiamo avuto il privilegio di partecipare all’esclusiva anteprima europea in quel di Roma, con tanto di cast a sfilare sul red carpet. Poco da dire sull’evento in sé (che non siamo certo gente da vita mondana) ma un plauso per il coraggio a Fox va fatto. La società ha infatti deciso di tenere lo show all’Auditorium della Conciliazione in quel di Roma, a 2 passi da Piazza San Pietro. Perché coraggioso? Lo capirete tra poco.
Ambientato nella fittizia città di Rome, in West Virginia (e non che non esistano delle città chiamate Rome in America… anzi!), Outcast racconta della scombussolata vita di Kyle Barnes (Patrick Fugit), un uomo sulla trentina che vive con addosso un evidente disagio nel rapportarsi al prossimo. La vita di Kyle è infatti stata segnata da due vicende terribili, entrambe legate all’improvvisa follia dei suoi cari, prima sua madre quando egli era ancora bambino, e poi di sua moglie già diversi anni dopo il loro matrimonio, e quando la coppia aveva già una bambina piccola e su cui proprio la compagna ha riversato la sua follia. Kyle, dalla psiche frammentata e spesso vittima dei traumatici ricordi del suo passato, decide così dopo anni, e non si sa bene perché, di tornare nella sua città natale e di prendere possesso della casa in cui era cresciuto, dove i segni degli abusi e della follia di sua madre (ora in stato vegetativo) sono ancora ben marcati. Dopo 5 mesi di reclusione auto-imposta, e occasionalmente aiutato dalla sua sorellastra Megan (che con estrema difficoltà riesce anche solo a farlo uscire di casa), Kyle decide infine, più per obbligo che per scelta, di tornare all’esterno dove ben presto verrà a sapere di un nuovo caso di follia in città, stavolta però non più direttamente (almeno in apparenza) legato a lui. Da qualche giorno infatti, un ragazzo ha improvvisamente cominciato a manifestare alcuni violenti disturbi comportamentali. Il reverendo Anderson (Philip Glenister), interpellato dalla madre del giovane, riconosce subito nel bambino i segni di una possessione demoniaca che, con estrema fatica, il prete riesce solo ad arginare e non a scacciare. Venuto a sapere per caso della cosa, e per qualche motivo sentitosi in dovere di “indagare” Kyle si rincontra allora con Anderson, che pure aveva assistito alla “follia” della famiglia Barnes, secondo lui parimenti causata dal demonio. Proprio a Kyle il reverendo chiederà aiuto scoprendo che egli, per motivi che sono oscuri a tutti, non solo è ben noto ai demoni che effettivamente aleggiano sulla cittadina, ma che questi addirittura lo stanno cercando da anni essendo egli quello che le creature demoniache chiamano un “Reietto”.
Questa, in soldoni, è la trama di Outcast. Ora, normalmente non siamo molto propensi a dilungarci così tanto sulla trama, ma il problema principale di Outcast, almeno nella sua trasposizione televisiva, è forse proprio il ritmo. Quando si lancia un pilot, il pregio principale dello stesso deve essere quello di saturare tutti i bisogni dello spettatore affinché esso sia in qualche modo avvinghiato dalla visione e logicamente dia seguito alla stagione. Outcast invece compie qualcosa di diverso, scegliendo un ritmo molto più lento che punta praticamente tutto alle scene di esorcismo. Ora intendiamoci, non c’è un vero e proprio problema di scrittura, il serial infatti segue quasi per filo e per segno quello che è l’incipit narrativo del primo volume della serie a fumetti, compiendo solo una serie di scelte un tantinello “a cazzo” (come il fatto di far presentare Kyle in casa del posseduto per motivi di altruismo… cosa che visto il personaggio ti fa venir da dire “bho”, invece del più logico ed esplicito invito che avviene nei fumetti) ma che a conti fatti non fanno deragliare la narrazione televisiva dai binari imposti dalla serie. Il problema è allora forse proprio l’adattamento che non si sposa precisamente alle meccaniche della tv, poiché proprio il ritmo del racconto non sembra sufficiente a tenere alta l’attesa o anche solo la tensione. Siamo schietti: Outcast non fa paura e la prima puntata ci è sembrata anche un tantinello noiosa. Per fare un paragone “in casa” siamo ad esempio lontani dal bellissimo pilot della prima stagione di The Walking Dead, con Rick che si risveglia nell’ospedale dal coma, con la celeberrima scena della porta chiusa dalle catene e da cui si intravedono le mani dei non morti. Outcast, pur ovviamente puntando sulle persone, non riesce proprio a generare lo stesso livello di attenzione. Certo c’è il mistero delle possessioni, e la curiosità di capire cosa sia effettivamente un “reietto”, ma tutto quel che è di contorno è sonnacchioso e spesso lento, occasionalmente spezzato dai flashback che sono proposti invece in maniera molto decisa e con un montaggio molto veloce, quasi volutamente a spiazzare o, se vogliamo, risvegliare lo spettatore dal suo torpore. Anche la componente horror che, pur essendo presente, non è comunque non è fondamentale nel racconto kirkmaniano (dove, ricordiamolo, gli uomini vivono tra i mostri, ma sono mostri a loro volta) non è in grado di spaventare, sorprendere o sconvolgere ed in effetti l’unica scena veramente forte, per altro ottimamente ripresa dal fumetto, la si vede nei primi minuti dello show, per il resto siamo lontanissimi da qualunque caposaldo del cinema di genere “esorcistico”, a cui pure ci sono dei richiami, ma così blandi e telefonati che spostati.
Il problema fondamentale di Outcast è allora quello di essere, almeno televisivamente, a metà tra carne e pesce. Non c’è ancora empatia, ed i personaggi sono anzi molto ermetici, rispetto a quella che è una componente fumettistica che, invece, già solo nel primo numero, dice qualcosa in più (per esempio sul Reverendo Anderson). Manca la forza del dramma corale, che invece è stato (ed è) la forza di The Walking Dead. Manca l’orrore, sicché il sempre affascinante tema dell’esorcizzazione demoniaca è, ad ora, decisamente poco incisivo. Insomma, abbiamo il dubbio che se Outcast non avesse alle spalle la prestigiosissima firma di Robert Kirkman, forse non sarebbe lo show dalla comunicazione prepotente che di fatto è. Forse il serial, come la serie a fumetti, ha bisogno solo di qualche episodio per ingranare sul serio. Ma immaginatevi la mia faccia quando, avviata la presentazione sul palco, i capoccia di Fox hanno presentato il pilot chiarendo al pubblico che i successivi episodi sarebbero stati MENO horror del primo. Ancora adesso non ho capito se mi stavano trollando o no…
Insomma, è questa una serie degna di nota? Certamente si, a maggior ragione se si è fan del buon Kirkman e se si è apprezzata la serie messa in piedi assieme alla star Paul Azaceta, ma qui comincia e qui finisce. Come a dire che i meriti stanno più nella fama dell’autore che nella serie televisiva, che per ora non pare essere particolarmente brillante o sconvolgente. Vedremo se il tempo ci darà torto o ragione ma è evidente che Oucast sia un vero e proprio “reietto” in quello che è il moderno linguaggio televisivo, che ovviamente non punta esclusivamente sul tutto e subito, ma sa giocarsi le sue carte mille volte meglio di quanto il nuovo show della Fox non sembra sia stato capace di fare.
Cosa ci è piaciuto?
Su tutto la sigla. Disturbante al punto giusto e davvero “adatta al tema”. A seguire il cast, che nonostante il pilot in sé si dimostra davvero all’altezza. Fugit in particolare tratteggia un Kyle sciatto e tormentato, perfettamente aderente a quello disegnato da Paul Azaceta sulle pagine della serie a fumetti. Anche il Reverendo Anderson interpretato da Glanister sembra uscito direttamente dalla serie e questo, per gli amanti della serie edita da Saldapress è certamente un bene.
Cosa non ci è piaciuto?
Il pilota non ha ritmo né mordente. Gioca tutte le sue carte sul “fascino” delle possessioni demoniache deludendo, poi, nella loro effettiva resa. Le possessioni di Outcast sembrano, tutto sommato, molto ordinarie e sono solo lontanamente sovrapponibili agli stilemi a cui il genere cinematografico ci ha abituati. La trama si dipana lenta e ponderata, finendo però per avvinghiare molto meno del previsto. Essendo poi un prodotto di “casa Kirkman”, il paragone con l’ottimo pilot di The Walking Dead è praticamente immediato ed Outcast, pur essendo ovviamente diverso su molti fronti, perde sotto ogni punto di vista. Ma la colpa non è neanche nostra, perché già solo nella comunicazione, Fox ha davvero fatto di tutto per utilizzare il successo di TWD per spammare la sua serie sicché, dopo la visione, è proprio difficile non ragionare per paragoni.
Continueremo a guardarlo?
Ni, nel senso che daremo allo show una seconda, ed eventualmente una terza possibilità. Avendo dei personaggi poco propensi a parlare di sé, e mancando a Outcast la forza della coralità di un cast ampio e molto sfaccettato, è ovvio che il tutto potrebbe metterci un po’ ad ingranare. Se non parlassimo di Kirkman la risposta alla domanda sarebbe sicuramente NO, ma visto che siamo in ballo, vedremo come andrà per i prossimi due episodi, ma se poco o nulla cambierà allora ci terremo stretta la serie a fumetti archiviando definitivamente la serie tv.