Il paradiso terrestre di Outer Banks viene scombussolato da una caccia al tesoro confusa e arrancata
Netflix e la ricerca del tesoro. Nelle miriadi di serie giovanili della piattaforma streaming, tramutata da estiva e soleggiata peripezia tra amicizia, intrighi e amore di un gruppo di ragazzi a un addensamento melenso di serialità trapassata, Outer Banks è la soap che ambisce a conquistare non solamente l’oro rincorso e bramato per un’intera prima stagione dai protagonisti, ma che proprio come quest’ultimi ne manca il raggiungimento a ogni singola occasione.
Trasportata la storia nelle Outer Banks del Nord Carolina che danno il titolo alla serie, John B. (Chase Stokes) è il sedicenne figlio del scomparso Big John, andato nove mesi prima per mare alla ricerca della Royal Merchant e mai più ritornato. Ossessionato dall’indagine compulsiva della nave mercantile, su cui si narra sia nascosta una lauta fortuna, lo scettro della ricerca passa ora al ragazzo e alla sua banda di amici, un’impresa che li porterà ad esplorare ogni angolo dell’isola, portando scompiglio tra la banda dei Pogues, la parte modesta del luogo, e i Kooks, i residenti benestanti.
La nave di Outer Banks e il suo inesorabile andare a fondo
Una guerra che si divide tra chi comincia solo ora la propria ricerca della Royal Merchant e tra chi, a quel cimelio, ha dedicato la vita, nonché uno scontro rivisitato eppure ritagliato grossolanamente come quello tra i cosiddetti poveri e i sempre spocchiosi ricchi della upper class.
Un’avventura che non ha nulla di avventuroso, ambientata in quel soprannominato paradiso terrestre soppiantato prima da una devastante tempesta, poi dalle conseguenze della confusione e dell’instabilità dei suoi personaggi.
L’incoscienza più grave che i protagonisti sembrano mostrare dal principio delle dinamiche di Outer Banks è, infatti, la completa incapacità di motivare o giustificare le proprie azioni, non tanto ovviamente a loro stessi, quanto a uno spettatore di continuo scombussolato, pronto a biasimare tanto gli atti svolti compiuti dai personaggi – e protratti nella serie -, quanto più le scelte di scrittura intraprese da un evidentemente impacciato manipolo di sceneggiatori.
Questo perché scene e precipitazioni si imbarcano fin dall’inizio su presupposti inspiegabilmente sbagliati, facendo non solo da tessitura a tutte le decisioni insensate che cadono da quel momento come in un domino sulla narrazione, ma influenzano anche la percezione e il delineamento dei caratteri dei protagonisti.
Un mistero di cui nessuno vuole venire a capo
Nel circolo ristretto capitanato dal leader John B., nessuno dei suoi alleati – e benché meno dei suoi nemici – merita l’affetto o l’attenzione che ci aspettiamo di poter donare ai personaggi delle serie che guardiamo, risultando tutti così inevitabilmente irritanti da creare attorno a loro semplicemente una patina di infiltrabile fastidio.
Dagli adulti ai più giovani di età, dalle autorità a coloro che ne rifuggono: nessuno sull’isola di Outer Banks sembra avere la minima consapevolezza di diventare pressoché insopportabile all’interno della manfrina architettata dai creatori John Pate, Jonas Pate e Shannon Burke, che sembrano non voler nemmeno un minimo bene ai loro personaggi per trattarli con una superficialità tale da renderli attaccabili.
Condizione che sostiene ed estende l’abbassamento graduale – ridotto, più o meno, al tempo di una puntata – all’interesse per i misteri che Outer Banks cerca di propinare, aumentandone e diminuendone di importanza nel microcosmo di uno stesso episodio e portando a risoluzioni che, tante volte, vengono palesemente forzate da una scrittura inconsistente, convinta di poter fingere struttura e incastri ragionati al millimetro.
Esito vuole che, quindi, il pubblico decida volontariamente di abbandonare la sconquassata caccia al tesoro, senza essere mai stato realmente spinto a interrogarsi fino in fondo attorno al mistero che avvolge la Royal Merchant e quanto più distaccato dalla volontà di scoprire se John B. e i suoi compagni riusciranno a venirne a capo.
Nuova piattaforma, vecchie carenze televisive
Un arrancare sostanziale che colpisce senza più alcun freno le ultime puntate che vanno componendo la prima – e, a giudicare dall’ultimo episodio, non unica – stagione, per un racconto che cerca le tinte tematiche del thriller, ma affonda senza possibilità di ripresa.
E se il melodramma aveva fin da subito contraddistinto Outer Banks pur cercando di non risaltare così preponderante sulla natura della serie, sono le catastrofi finali a rivelarne il vero spirito, a liberare quel senso di drammaticità che aspettava solamente il momento di esplodere, costringendolo a riversarsi tutto nella conclusione, rendendola il più esasperante possibile.
Con la sua fotografia abbronzata, fintamente illuminata dal sole, ma solo artefatta come il resto delle storie, relazioni e manipolazioni che vanno a comporla, Outer Banks è la conferma che anche la caccia al tesoro più affascinante può dimostrarsi una cocente delusione. Esattamente come per le serie teen Netflix, dove nonostante il tentativo di ricercare un proprio stile, rischiano solo di mostrarsi le sotto marche scadenti di una vecchia televisione di serie B.