Formula che vince non si cambia
La seconda stagione di Ozark riprende la narrazione da dove avevamo lasciato Byrde and family (o la Byrde Enterprises, dovremmo dire). Dopo il successo della prima infatti, Patrick Markey, Bateman e soci hanno ben pensato di realizzare altri 10 episodi di circa 50 minuti/1 ora ciascuno, disponibili in Italia su Netflix dal 31 agosto.
La situazione non è delle più semplici: il riciclatore per eccellenza, Marty Byrde (Jason Bateman) sembra aver trovato il modo per far accordare il Cartello messicano e Jacob e Darlene Snell (Peter Mullan e Lisa Emery), la folle e spietata coppia che controlla ogni movimento ad Ozark, affinché si realizzi un Casinò che garantisca a tutti dei benefici.
Ma ovviamente le cose non andranno esattamente come previsto da Marty e ci sarà una lunga serie di complicazioni…
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Sono svariati i motivi del successo della prima stagione di questo serial TV, da molti indicato come l’erede di Breaking Bad. In realtà, sebbene i punti di contatto con lo show con Walter White protagonista ci siano e risultino pure piuttosto evidenti, Ozark si differisce da esso sotto molto altri aspetti. Senza inerpicarci in lunghe analisi, è ovvio che si trovino attinenze tra i due personaggi principali, il professore di chimica di B.B. e il consulente finanziario interpretato da Bateman, entrambi costretti a cambiare drasticamente le proprie vite e il proprio atteggiamento, ed entrambi ormai dediti al riciclaggio di soldi, ed anche nell’analisi del contesto familiare si ritrovano diversi punti di contatto. Ma al di là di questa base di partenza, obiettivamente simile, Ozark prende una deriva assolutamente differente, sia nei suoi protagonisti ed in particolar modo in Mr. Byrde, che nel modo in cui la famiglia agisce e si comporta, ovvero senza nascondere nulla l’uno con l’altro.
È proprio questo il punto di forza di Ozark. Breaking Bad è una serie eccezionale soprattutto perché per molto tempo l’alone di mistero e la suspense si fanno pressanti, ma riuscire a catturare il pubblico quando tutto è alla luce del sole non è altrettanto semplice.
Eppure Ozark ci riesce perfettamente nella prima stagione e sa bene cosa fare nei successivi 10 episodi.
Formula che vince non si cambia, abbiam detto: infatti la serie si ricicla, non muta eccessivamente la sua struttura, non sovverte uno schema che ha funzionato così bene. Si riparte da quella che è ormai l’attività di casa Byrde e attorno a loro si sviluppano storie parallele di famiglie ed associazioni pericolose, con cui è necessario accordarsi ma dai quali ci si deve anche guardare le spalle. Il tutto senza voli pindarici, con linearità ed uno script organico e ordinato.
Proprio per questo, la nuova stagione convince ma non esalta. Non c’è un ritmo frenetico, i colpi di scena sono rari e quando avvengono non aderiscono perfettamente alla definizione, risultando piuttosto telefonati, anche per via di una sceneggiatura che – come detto – è ben studiata, forse troppo, ma ha meno guizzi della precedente.
Personaggi e situazioni si intrecciano bene, nel modo giusto, dando coerenza al plot e garantendo una continua fluidità, tuttavia sembra quasi che non si sia voluto osare troppo per non snaturare lo show e per non rischiare. Quel rischio che è il pane quotidiano dei protagonisti di Ozark non lo è invece per i suoi creatori, che agiscono tenendo ben saldi i piedi per terra.
Siamo abituati ad avere a che fare con serie di successo che partono lentamente per poi esplodere con il proseguire delle stagioni (Breaking Bad, appunto) o con altre che dopo un esordio straripante si perdono perché la continua voglia di stupire rende il loro prodotto ridicolo e gli fa perdere credibilità. Esattamente quello che non fa Ozark, che invece prosegue per la sua strada, nel modo probabilmente più giusto, sebbene magari non condiviso da tutta l’utenza.
In questa struttura così compatta prendono vita nuovi personaggi, pochi ma interessanti, ed acquisiscono un ulteriore caratterizzazione i vecchi.
Tra le new entry troviamo Cade Langmore, il padre di Ruth (Julia Garner), che avevamo visto di sfuggita nella prima stagione e qui si prende una piccola ma importante fetta dello show, una volta uscito di prigione. Poi c’è Helen (Janet McTeer), l’avvocatessa del Cartello, spietata per necessità, che nasconde però un’anima non così marcia come i suoi comportamenti sembrerebbero indicare: magari vedremo questa sua doppia natura in una prossima stagione.
I vecchi personaggi invece assumono contorni maggiormente delineati. Se Marty è una sorta di libro aperto, già letto e riletto nella prima parte, sono le donne ora a conquistare lo schermo. Innanzitutto sua moglie Wendy (Laura Linney), con un’evoluzione della serie “Skyler White non sei nessuno” e una determinazione che ricorda un po’ quella della Claire Underwood di House of Cards, ma che dovrà fare i conti con un’altra personalità estremamente potente, quella di Darlene Snell.
Interessante anche lo sviluppo del personaggio di Ruth, che prende sempre più coscienza del suo ruolo e soprattutto della sua forza caratteriale, per troppo tempo nascosta dietro la maschera della ragazza dura a tutti i costi ma in fondo incredibilmente fragile. Resta di sicuro uno dei personaggi meglio caratterizzati, con alcuni elementi, come l’infanzia tormentata e il complesso rapporto col padre che vengono abilmente analizzati dagli sceneggiatori ed altrettanto magistralmente soltanto accennati, consegnandoci una Ruth fantastica nel suo sviluppo comportamentale durante i 10 episodi.
In generale la forza delle donne nelle relazioni con padri, amanti, mariti e colleghi è un tema assolutamente predominante e ricorrente in questa stagione di Ozark, e spesso laddove l’uomo crede di aver avuto la meglio, finisce poi per doversi inchinare alla strategia femminile.
Se il lato narrativo, dunque, tra pregi e difetti ci ha comunque convinto, a rendere ancor più gradevole ai nostri occhi la visione c’è la peculiare fotografia della serie. Le tinte grigio-bluastre si sposano con l’animo cupo e tormentato dei suoi protagonisti, calamitando lo spettatore in quella atmosfera putrida e corrotta.
Ozark, in sostanza, ci piace perché non vuole stupirci a tutti i costi, ma è evidente che gli ideatori sappiano il fatto loro e proseguano su una strada che conoscono alla perfezione. Chi vuole un passaggio può salire e mettersi comodo: sa già che ambiente troverà, che si rispetteranno i limiti di velocità salvo qualche sorpasso mai troppo azzardato, e che la destinazione sarà senz’altro gradita.