Con la seconda parte della quarta stagione, si conclude definitivamente Ozark, una delle migliori serie (Netflix e non solo) degli ultimi anni
egli ultimi anni Ozark è stata vittima di costanti paragoni con un altro serial di culto e di straordinario successo, ovvero Breaking Bad. Le tematiche e una simile durata complessiva hanno infatti scatenato un inspiegabile dualismo, paragonabile a quello tra Messi e Cristiano Ronaldo.
Ma stabilire quale serie TV sia meglio tra le due è come decidere chi sia più forte tra la Pulce e CR7: complicato. E sostanzialmente inutile. Senza contare il fatto che, quando la qualità è così alta, si entra pure nel campo delle opinioni e la componente soggettiva conta molto.
Non vi dirò dunque quale delle due serie a mio avviso sia migliore, ma mi limito ad osservare che secondo me è piuttosto pacifico che Breaking Bad parte lentamente e con fatica per crescere costantemente e fino alla fine, mentre Ozark inizia spedita per calare leggermente nell’ultima stagione.
È infatti proprio da qui che voglio partire per analizzare questo finale della serie.
Ciò che rende atipica questa S4 volume 2 è il modo in cui riprende, con un ritmo inaspettatamente calmo e una lentezza fuori dagli standard piuttosto dinamici e briosi di Ozark. Di solito è l’inizio di una nuova stagione a manifestare una minore scorrevolezza, mentre le seconde parti sono già entrate nel vivo. A maggior ragione, per questi nuovi episodi della final season, ci aspettavamo un inizio col botto, visto come si era chiuso il volume 1, con un duplice omicidio a sangue freddo e la reazione furiosa di Ruth (Julia Garner), mentre a sorpresa ci troviamo di fronte a due puntate poco frenetiche, ponderate, in cui i protagonisti cercano di rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle e ridare ordine a una situazione generale piuttosto scombinata.
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E tutto questo – ve lo dico senza spoilerare di chi si tratta – nonostante già all’inizio di questa S4 vol. 2 assistiamo all’omicidio di un personaggio piuttosto importante.
Ma quando carbura, Ozark lo sa fare bene, oserei dire alla perfezione. L’evoluzione psicologica e caratteriale dei personaggi di questo show ha ben pochi uguali, ed in questo la possiamo – come minimo – paragonare a BB senza troppi patemi. I Byrde sono in assoluto una delle coppie più malvagie della storia della televisione, e il modo in cui lo sono diventati, pian piano e rendendosene conto ma accogliendo a braccia aperte questa trasformazione li rende ancora più inquietanti e spietati. Il personaggio di Laura Linney, Wendy Byrde, è a dir poco fantastico dietro quella facciata da donna perfetta e pura, ormai nota però ai più come la vera anima nera della coppia. Eppure anche Marty (Jason Bateman) ormai non può passare per santo. Sebbene sia sempre lui, tra i due, quello più propenso a limitare i danni e a cui provano ad affidarsi i figli o le persone esterne quando cercano un modo per far ragionare Wendy o trovare una mediazione negli affari, Marty sa essere disumano quando necessario, o quando crede che lo sia.
In questa stagione peraltro lo vediamo persino abbassare la guardia e dare di matto, cosa finora mai successa.
Eppure Ozark riesce a farti empatizzare con loro. Con dei mostri vestiti da famiglia del Mulino Bianco.
Sarà perché tutti gli altri personaggi con cui hanno a che fare non spiccano comunque per integrità morale, a partire dal padre di Wendy (Richard Thomas), ex (?) alcolizzato che non ha certo fatto passare una bellissima infanzia a lei e a Ben, per finire ovviamente con i signori della droga del Cartello Navarro. Sarà perché in fondo, la serie è talmente ben riuscita da aver permesso la costruzione di un legame così profondo tra lo spettatore e i terribili protagonisti, che l’idea che possano subire un torto a così poche puntate dall’addio, ci manda fuori di testa.
Ed è lo stesso ragionamento che spinge i componenti della famiglia a creare una formazione a testuggine di fronte alle più grandi avversità o a minacce esterne, a prescindere che vengano dalla criminalità o dalle autorità. Persino Jonah (Skylar Gaertner), che in particolare alla madre non gliene fa passare mezza e a volte rischia di metterla nei casini, resta più volte con la bocca cucita quando ha la possibilità di spalancarla, portandoci poi ad un finale emblematico e da vivere intensamente.
Probabilmente rispetto alle precedenti stagioni, in particolare a quelle centrali, questo atto conclusivo è più concentrato intorno ai Byrde, non lasciando molto spazio a personaggi secondari e allo sviluppo delle loro storie, ma questo è fondamentale per arrivare a un degno epilogo che non lascia nessuna porta aperta e pochissimo amaro in bocca, se non un inevitabile senso di abbandono tipico di quando si conclude uno dei tuoi show preferiti.
Di tutti gli altri aspetti, da quelli tecnici a partire dall’apprezzatissima fotografia, sino allo script ne abbiamo parlato più volte nel corso degli anni analizzando le varie stagioni, per cui è inutile dilungarsi ancora. Quel che possiamo dire è che l’addio ad Ozark, di fatto a poche settimane di distanza da quella che sarà la chiusura anche di Stranger Things sancisce per Netflix un momento nevralgico che la piattaforma, ora più che mai, dovrà mostrare di saper gestire regalandoci nuove serie di simile impatto. Inutile dire quanto siano purtroppo basse le nostre aspettative, tuttavia un briciolo di fiducia possiamo anche concederglielo.
Nel frattempo ci stringiamo per l’ultima volta per un commiato e un degno saluto ad Ozark, una delle migliori serie TV degli ultimi cinque anni.