Dietro la già grande complessità di tematiche e scelte etiche del capolavoro di Lucas Pope, Papers, Please nasconde una intricata riflessione sul rapporto dell’Uomo con la legge percepita come ingiusta

Lucas Pope è indubbiamente uno dei migliori autori indipendenti nel panorama videoludico. Il suo Papers, Please (2013) – opera prima per quel che concerne l’esperienza indie – rappresenta un po’ una summa dellindie gaming: narrazione profonda e concettuale, gameplay “puzzle” declinato in una salsa ruolistica, design semplice ma efficace. Il gioco, acclamato da critica e pubblico, presenta un primo strato di impatto immediato, dovuto principalmente all’indubbia efficacia del suo sistema di gioco tanto essenziale quanto gratificante.

Come sottolineato da un ottimo articolo di Arstechnica, Papers, Please è un emulo di “Dov’è Waldo?”, sotto forma di mini giochi logico-deduttivi. Il sistema entro il quale tale emulazione viene calata, ossia il lavoro di un funzionario di dogana addetto ai visti di ingresso, trasforma la struttura ludica in una vera e propria simulazione. Il compito, percepito subito come “importante” dal fruitore, viene complicato dalla situazione politica della fittizia regione geografica che fa da cornice narrativa: un gruppo di Paesi vicini, ideati sulla falsariga del blocco sovietico. Pope non fa mistero di aver pescato a piene mani dall’immaginario comune del totalitarismo sovietico i nomi, i vestiti degli sventurati in fila alla dogana, i simboli, le comunicazioni dal Partito, il freddo micidiale: i richiami sono palesi e contribuiscono alla creazione di una sensazione di straniamento e di tensione.

La libertà delle scelte morali

Papers, Please, però, non è una critica all’URSS. La storia sovietica, l’idea della dittatura che controlla e che opprime è solo il pretesto narrativo per introdurre un sistema di scelte etiche strettamente collegato alle nostre azioni. Si tratta, in realtà, di un secondo livello di comprensione ed approfondimento. Il titolo, infatti, è di per sé molto soddisfacente ed anzi le scelte morali sono state considerate dalla critica come ben contestualizzate e di spessore. Eppure, il valore nascosto dell’opera si cela proprio in questo apparato molto più complesso del solito dualismo bianco/nero a cui il medium videoludico solitamente abitua. A questo punto mi si perdonerà l’interruzione della disamina sul gioco, ma ritengo necessaria una parentesi legata al tema filosofico principale collegato al durissimo lavoro di impiegati lungo la frontiera di Arstotzka.

papers please

 

La peculiarità di Papers, Please infatti non è la scelta “morale”. Solitamente i bivi narrativi videoludici muovono su binari precisi di giusto o sbagliato o, al più, evitando ambientazioni particolarmente schierate (come nel mondo di Fallout, dove la civiltà è un ricordo lontano) riconducono il risultato finale alla solita dicotomia del buono e del cattivo. Anche Tiranny, il GDR di Obsidian che prometteva un’inversione copernicana della solita struttura di cui sopra, si arrese a questo dogma morale, presentando una pletora di scelte arzigogolate più che complesse, oltreché semplicemente traslate da un setting asettico ad uno “malvagio”. Il gioco di Pope, invece, affronta la durissima questione della legge ingiusta.

Diritto naturale e positivismo giuridico

Il concetto risulta essere, sotto la lente d’analisi della filosofia del diritto, uno dei più spinosi e dibattuti di sempre. Le difficoltà nel delineare e nel trattare l’idea della legge “ingiusta” risalgono agli albori del tempo, ed alla stessa cristallizzazione del concetto di ius. Il diritto, già da prima delle più analitiche suddivisioni accademiche del post illuminismo, è sempre stato considerato scientia, in virtù della sua capacità di imporre regole generali e valide per tutti i consociati. Allo stesso modo, però, il diritto nasconde un lato umano, mai taciuto dai giuristi, che rende la scienza in parola tanto affascinante quanto pericolosamente fallibile. Da qui la grande difficoltà nell’affrontare l’ingiustizia della legge, ossia dello strumento atto esso stesso ad eliminarla.

Il giuramento della Pallacorda di Jacques-Louis David

Perdonandomi una semplificazione necessaria, ritengo che il dibattito possa essere ricondotto alle contrapposte posizioni tra giusnaturalisti e positivisti. I primi, fautori del diritto naturale quale fonte extra leges di valori e regole morali, che accomunano l’Uomo in quanto tale. Tra le decine di declinazioni di questa corrente di pensiero credo sia importante menzionare Socrate, San Tommaso, Hobbes e Locke. Chiunque mastichi anche pochissima filosofia riconoscerà la profonda differenza tra gli autori citati, segno di un’evoluzione affatto omogenea del concetto.

Tant’è che i risultati del diritto naturale nella pratica dei sistemi giuridici è molto stravagante: si passa in rapida successione, anche temporale, dal patto leonino di Hobbes, che considerava il diritto naturale diritto dell’Uomo nella sua forma più ferale (homo homini lupus), al giusnaturalismo di valore di Locke, convinto che lo stato naturale porti con sé il germe innato di valori quali l’eguaglianza, la ragionevolezza, la libertà. Il positivismo giuridico invece, pur non essendo letteralmente opposto, considera diritto solo quello creato e imposto dall’essere umano. Paradossalmente si nota come Hobbes, nella sua spinta estrema alla teorizzazione del diritto naturale, abbia de facto introdotto il diritto positivo, quale unico strumento finale di controllo e pacificazione sociale.

La legge morale di Papers, Please

Il breve excursus risulta più contestualizzato una volta reintrodotto in Papers, Please. Cosa succede infatti quando il nostro mondo (in questo caso il videogioco), non porta con sé delle regole etiche e morali ben definite? Cosa succede alla scelta quando diventa effettivamente libera, almeno dal punto di vista delle sue conseguenze filosofiche? In Papers, Please infatti l’unica vera struttura è quella imposta dalla dittatura di Arstotzka, che fornisce al giocatore un lavoro e uno scopo. Le ragioni della politica statale sono praticamente sempre nascoste e misteriose. Al tempo stesso la presenza di un movimento di ribellione sembra solo in apparenza spostare la bilancia delle valutazioni etiche del fruitore, al contrario introducendo bivi ancora più complessi e dal risultato imprevedibile.

Sia chiaro, ritengo evidente che Papers, Please non possa offrire un panorama completamente scevro da sovrastrutture ed elementi terzi, d’altronde è un prodotto umano, figlio del suo tempo e fisiologicamente influenzato da valori storici e morali precisi (il rifiuto della dittatura, il controllo sociale, la pericolosità dello Stato di polizia). Eppure Pope riesce nel difficilissimo compito di eliminare l’eliminabile, cancellando qualsiasi impalcatura psicologica solitamente presente in tante altre opere videoludiche. In tal senso consiglio la lettura di un paper di Paul Formosa, Malcolm Ryan e Dan Staines, i quali centrano perfettamente la grande differenza di game design tra alcuni titoli e l’opera di Pope, per poi passare ad un’analisi di alcune tematiche morali.

Qualche esempio chiarificatore di questa comparazione: Fable, uno dei primi giochi con una feature diretta di allineamento, non fa mistero del suo schieramento etico marcatamente buono/cattivo; Fallout segue un meccanismo meno esplicito ma pur sempre ricondotto ai canoni contemporanei (la famosa quest della bomba nucleare di Megaton, dove la scelta è tra salvare una popolazione di “buoni selvaggi” o accettare il patto con il diavolo del fantasma di un capitalismo colpevole di aver distrutto il mondo); infine ho già accennato all’esperimento a metà di Tiranny, nel quale la traslazione morale non fa altro che creare un universo “più cattivo” dove però persistono le solite regole etiche di matrice moderna.

papers please

 

Ed è a questo punto della riflessione che il giocatore attento sente improvvisamente mancare qualche appoggio. La sua scelta è completamente avvolta nella nebbia: aiutare il Partito al governo è necessariamente un male? Cosa è poi questo male e qual è il mio guadagno nella ribellione? Sono davvero nel torto ad attenermi alle regole dello Stato dove sono nato e cresciuto? Su che base la violenza dei ribelli è più giusta? E poi, soprattutto, il mio aiuto può davvero cambiare le cose?

Gli interrogativi non fanno altro che portare ad un unico punto di discussione, che ritengo essere il vero cuore pulsante di tutta la produzione: il rapporto umano con la regola sociale, con la legge nel suo senso più alto e generale. Si tratta di un livello di lettura chiaramente più nascosto di quelli comunque già di per loro validi della discriminazione, della dittatura, della ribellione e del compromesso politico. La sua presenza però è tangibile, soprattutto alla luce della difficile sensazione di prurito che la giocata di Papers, Please infligge costantemente all’utente. Ed ecco che si arriva alla (non) conclusione: quando vengono eliminati quei binari etici – già menzionati in opere come Fable – il giocatore si ritrova spiazzato.

Il diritto naturale, il cui importantissimo concetto in questo contesto è un pretesto di riflessione, viene meno o meglio ancora: va effettivamente cercato e utilizzato. A quel punto, però, si aggiunge il problema del diritto positivo, della legge che ci impone alcuni comportamenti e che vincola i suoi consociati. I sistemi di diritto moderni hanno ovviamente “valvole di sfogo”, permettono la disobbedienza in alcuni particolari frangenti. Ma quando l’ingiustizia morale diventa sistemica, la disobbedienza acquista connotazioni più problematiche, esattamente come le scelte di Papers, Please. L’esempio più noto di questa disquisizione è “La banalità del male” della Arendt, nel quale alla critica disincantata nei confronti dei regimi, si mescolano le riflessioni circa la ribellione sociale, la capacità di discernere il bene dal male e l’intrinseca difficoltà di distinguere il crimine nel momento in cui si vive nel crimine.

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Papers, Please non fornisce risposte (come potrebbe?), ma ci regala uno spunto e forse un invito alla indipendenza di pensiero, tanto nell’uniformazione sociale, quanto nello sviluppo di una morale superiore. D’altronde questo dualismo è antico come il pensiero umano e probabilmente in eterno contrasto: mentre le odiose leggi razziali impazzavano nell’Europa nazifascista, Radbruch (uno dei più grandi giusnaturalisti tedeschi) teorizzava che la legge dello Stato va disapplicata ogniqualvolta sia in aperto contrasto con “il principio di uguaglianza, che costituisce il fondamento di tutta la giustizia”.