Domenica 18 agosto 2019 a Dublino, nel corso dell’annuale Worldcon, sono stati annunciati, come ogni anno, i vincitori dei Premi Hugo, del John W. Campbell Memorial Award for Best Science Novel (vinto da Sam J. Miller con il suo Blackfish City, in arrivo in Italia grazie a Zona 42), e del John W. Campbell Award for Best New Writer, appena rinominato Astounding Award for Best New Writer.
Il cambio di nome è stato deciso e ampiamente spiegato dall’attuale editor della rivista Analog in un comunicato del 27 agosto, ma partiamo dalla scintilla che ha scatenato il cambiamento: il discorso di ringraziamento dell’autrice Jeannette Ng, durante il quale ha, senza mezze misure, puntato i riflettori sulla figura a cui il premio è intitolato.
“John W. Campbell, a cui questo premio è intitolato, era un fascista. Con il controllo editoriale che aveva di Astounding Science Fiction, [Campbell] è stato responsabile dell’aver impostato una voce per la fantascienza che infesta il genere ancora oggi. Sterile. Maschile. Bianca. Esaltando le ambizioni di imperialisti e colonizzatori, invasori e imprenditori. E sì, sono consapevole che ci siano delle eccezioni.
Ma da questa base abbiamo fatto crescere un meraviglioso, traballante genere, più selvaggio e bizzarro di quello che la sua mente avrebbe potuto immaginare o permettere. E sono fiera di farne parte, di condividere con voi la mia piccola storia strana, una miscela di tutti i miei strani interessi, molti dei quali hanno ben poco a vedere con il mio aspetto esteriore e le etichette.”
Se nella narrativa di genere esistono, come in ogni campo, tonnellate di leggende metropolitane e luoghi comuni, come quella che vede nella fantascienza un genere di sinistra e nel fantasy la sua controparte reazionaria, è pur vero che il lato suprematista di Campbell, che ha pubblicato nella sua carriera saggi a supporto dello schiavismo e della segregazione, e commissionato romanzi come Sesta Colonna, scritto da Robert A. Heinlein a partire da un’idea dello stesso Campbell, è tuttalpiù un segreto di Pulcinella.
Il discorso dell’autrice di Hong Kong, che ha comunque accettato il premio, consapevole che “[Campbell] avrebbe quasi certamente odiato la mia opera, e sono fiera di questo”, non è certo un fulmine a ciel sereno, ma rientra coerentemente in un dialogo che la comunità fantascientifica ha intrapreso da anni, da quando cioè sempre più autori e addetti ai lavori si sono fatti promotori di una fantascienza più inclusiva e meno WASP, che non significa assolutamente rinnegare un periodo, la golden age, che ha gettato le basi di un immaginario, quanto piuttosto allargare la scena a scrittori lasciati in secondo piano agli albori del genere.
Ursula K. Le Guin, Kate Wilhelm, Cixin Liu, Samuel R. Delany, Octavia E. Butler, non possono e non devono essere gli unici a venirci alla mente quando viene sbandierata una labile inclusività degli anni passati: questi nomi non sono che i primi mattoncini di una nuova era della fantascienza, che senza escludere i maestri del passato permetta a sempre più voci di farsi sentire e leggere. Ciò che spesso viene fatta passare dai lettori più refrattari come un’invasione degli alieni del pianeta politically correct dovrebbe diventare un sacrosanto diritto all’inclusione, che non censuri il passato, ma che aggiunga nuovi scenari.
Negare la predominanza di un certo tipo di narrazione nel secolo scorso significa non dare credito al punto di vista di una buona parte della popolazione mondiale; così, se la pluripremiata autrice N.K. Jemisin, parlando della trilogia Binti dell’autrice nigero-americana Nnedi Okorafor, di prossima pubblicazione per Mondadori, sostiene che “Il viaggio di Binti riflette la tensione che qualunque donna nera sperimenta dentro un genere che è il più maschile e il più bianco dei generi”, nessuno può tacciarla di estrema sensibilità, o di fame di politically correct, soprattutto se questo qualcuno non è una donna nera che scrive fantascienza.
Dello stesso avviso è proprio Trevor Quachr, che spiegando il motivo per cui è stato deciso di cambiare il nome del fu John W. Campbell Award for Best New Writer scrive: “Gli editoriali provocatori e le opinioni di Campbell su razza, schiavitù, e altri temi, riflettono posizioni che vanno al di là dei costumi sociali del suo tempo e che sono oggi in contrasto con i valori moderni, inclusi quelli dei molti nominati, vincitori e sostenitori del premio. Mentre ci avviciniamo al novantesimo anniversario di Analog, il nostro obiettivo è di mantenere il premio più vitale e illustre che mai, perciò dopo aver riflettuto a lungo, abbiamo deciso di cambiare il nome in Astounding Award for Best New Writer.”
Una decisione ponderata, che non cancella il nome di Campbell dalla storia della fantascienza, né ne sminuisce il valore come editor e scopritore di talenti, ma che riflette sull’eredità del passato, con la spinta a riconoscere l’intrinseca capacità del genere umano di aprirsi sempre di più a nuovi mondi, non solo immaginari.
Una narrazione inclusiva è ancora più importante nell’ambito della fantascienza, un genere da sempre proiettato verso il futuro e che ha sempre sfruttato le molteplici possibilità immaginative di questa narrativa per trattare tematiche politiche e sociali, mascherandole da altro e smascherandone la violenza. È quello che fa ormai da decenni Kim Stanley Robinson, denunciando la scelleratezza climatica che abbiamo costruito e alimentato con i nostri comportamenti, o che ha fatto il pakistano Mohsin Hamid, inserendo un elemento al limite della magia in una storia di emigrazione e attualità nel suo Exit West. Una letteratura che se ne resta nel suo angolo a rimpiangere i bei tempi passati, che alza muri e pone divieti di ingresso è una letteratura morta, e ciò che di più lontano esista dallo spirito avventuroso e speculativo che ha sempre caratterizzato gli scrittori – e i lettori – di fantascienza.
Proprio le storie che amiamo, infatti, dovrebbero servirci come guida nell’accettazione di ogni genere di narrazione, non solo di quella predominante, o di quella che troviamo confortevole. Molto spesso la paura del diverso è paura dell’ignoto, e chi ne è più spaventato è chi, da una posizione di potere, vede l’eguaglianza come una perdita dei propri diritti, ma soprattutto del proprio status. Tuttavia, è ora di vedere oltre la retorica dell’alieno invasore, di smettere di sparare contro tutto ciò che non rispecchia i canoni di quello che siamo abituati a leggere, di riscoprire quella curiosità e quel desiderio di conoscere nuove realtà che sta alla base della lettura della fantascienza. Chissà che poi questi alieni non abbiano una buona storia da raccontare.