Una disanima della carriera e della poetica del regista americano Paul Thomas Anderson
Nato a Los Angeles nel giugno del 1970, Paul Thomas Anderson è uno dei più grandi registi americani del nostro tempo. Un autore che con solo otto film nel curriculum è riuscito a entrare nella storia del cinema con alcuni dei più grandi capolavori contemporanei. Scopriamo le origini del suo talento cinematografico, insieme anche allo sviluppo della poetica che l’ha portato a essere l’autore affermato che è adesso.
Gli esordi: Sydney e Boogie Nights
Paul Thomas Anderson esordisce sul grande schermo nel 1996, giusto qualche anno più tardi dei due colleghi e compatrioti Quentin Tarantino e David Fincher. Con il film Sydney, racconto pulp dai toni indipendenti e le umili prospettive, Paul Thomas Anderson inizia a dimostrare il suo talento sia nella scrittura che nella direzione della camera. Sin dal suo esordio, PTA (acronimo del regista) sarà autore di tutte quante le sceneggiature e il soggetto delle sue opere, con solo qualche saltuaria trasposizione letteraria.
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Ma è con il film successivo, Boogie Nights, che il regista inizia a farsi notare maggiormente dal pubblico e dalla critica, firmando un’opera che viene considerata ormai un cult del cinema americano di fine secolo. La storia è quella dell’ascesa e del declino di un attore pornografico di fine anni ’70 interpretato da un giovanissimo Mark Wahlberg. Con Boogie Nights si inizia a contraddistinguere maggiormente la poetica di PTA, soprattutto se contestualizzata all’interno del movimento postmodernista di quegli anni. Riferimenti alla storia del cinema, miscela di generi e influenze da Martin Scorsese e Robert Altman, rendono la seconda opera di Paul Thomas Anderson una chiara pellicola postmoderna perfettamente collocabile al fianco di un qualsiasi film di Tarantino dell’epoca; anche se è da sottolineare che questo aspetto del suo cinema andrà pian piano a svanire con l’avanzare del tempo.
Le opere di transizione: Ubriaco d’amore e Magnolia
Nel 1999 esce Magnolia, che è ancora oggi probabilmente il film più ambizioso e allo stesso tempo meno riuscito del cineasta californiano. Si tratta di un’opera corale che rende esplicita l’influenza di Robert Altman sulla sceneggiatura, regista della New Hollywood abituato a gestire numerose storyline e altrettanti personaggi le cui vicende s’incrociano tra loro. L’opera fallisce nel trovare uno stile coeso e personale, pur portando in scena delle ottime prove attoriali e raggiungendo lo status di cult per moltissimi appassionati di cinema.
A una conferenza stampa di Magnolia, molti giornalisti scoppiarono a ridere quando PTA annunciò che il suo film successivo avrebbe avuto come protagonista l’attore comico Adam Sandler. Ubriaco d’amore è infatti un’anomalia quasi surreale nella filmografia sia di Sandler che di Anderson. È un film di transizione che inizia a sviluppare lo stile registico che PTA porterà avanti per il resto della sua carriera, fatto di ambiziosi movimenti di macchina alternati da intimi spaccati dove ci si concentra sulla psicologia dei personaggi. Si tratta di un’opera che abbandona l’ensemble attoriale dei film precedenti e si concentra su pochi e specifici caratteri. Si abbandonano gli anni ’90 e con essi i ricollegamenti meta testuali che hanno contraddistinto il cinema americano di quell’epoca.
La maturazione di Paul Thomas Anderson: da Il petroliere a Il filo nascosto
Con Il petroliere nel 2007 arriva il primo capolavoro di Paul Thomas Anderson. Un western moderno ambientato agli inizi del ‘900 dove come protagonista troviamo un Daniel Day-Lewis assettato di oro nero, qui ad una delle sue più maestose interpretazioni che gli è valsa la vittoria del secondo Premio Oscar della sua carriera.
Un film che completa la transizione della poetica di Paul Thomas Anderson: dai tratti referenziali al cinema moderno di Boogie Nights e Magnolia, all’eredità della Hollywood classica di John Ford e Howard Hawks. Il suo stile di scrittura rimane concentrato sulla chirurgia psicologica dei propri personaggi, completamente alienati dal loro contesto storico: tema caratterizzante della maturazione poetica del regista che verrà raggiunta con i successivi film.
Anche in The Master, ambientato nel secondo dopoguerra americano, i protagonisti si ritrovano persi in un’America sospesa nel tempo. Il protagonista Freddie Quell (Joaquin Phoenix) è un veterano di guerra che non riesce a trovare un posto nella società americana, che va avanti senza di lui. Trova rifugio nella Causa di Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), personaggio ispirato al fondatore di Scientology. Si tratta di un continuo scontro fra le parti, tra il caos irascibile del primo e la mania di controllo del secondo. Un viaggio nell’America degli anni ’50 parzialmente ispirata anche alla vita dello scrittore John Steinbeck e i racconti di mare dell’attore hollywoodiano Jason Robards.
Il protagonista di The Master segue un arco narrativo ciclico, che alla fine del film lo riporta al punto di partenza. Non è la prima volta nella filmografia di Paul Thomas Anderson dove i protagonisti concludono il proprio viaggio senza essere evoluti e senza aver “imparato nulla”. Si tratta di una situazione in cui si trova anche il personaggio principale del film successivo, un detective hippy bloccato mentalmente nell’era dei moti rivoluzionari mentre gli Stati Uniti avanzano imperterriti negli anni ’70. Tratto dal romanzo di Thomas Pynchon, Vizio di Forma è sicuramente il film più ostico di PTA, che racconta un’intricata storia poliziesca dai toni psichedelici. Vizio di Forma è disinteressato a costruire un thriller coeso e conciso, e porta lo spettatore in tour de force fatto di droghe, musica rock e caos narrativo. Scelte non apprezzate dal grande pubblico, che ha fatto miseramente fallire il film al botteghino.
Con Il filo nascosto PTA firma invece un altro capolavoro, riportandosi nelle braccia dell’Accademy che nel 2018 nomina il film per i Premi Oscar più importanti (vincerà solamente miglior costumi). Anche ne Il filo nascosto ci troviamo davanti a un film d’epoca, ambientato nel mondo della moda londinese degli anni ’50. La storia d’amore tra uno stilista e la sua musa che sfocia in una relazione basata sulla continua alternanza di potere ricorda molto la dinamica tra i personaggi de Il petroliere e The Master. Daniel Day-Lewis offre nuovamente un’interpretazione impeccabile, l’ultima prima del ritiro dal grande schermo, mentre la lussemburghese Vicky Krieps diviene una delle migliori rivelazioni dell’anno. La regia di Paul Thomas Anderson sprizza classicismo da tutti i pori, andando a ricordare il cinema di Alfred Hitchcock e Douglas Sirk, ma mantenendo lo stile e i temi che sono diventati ormai caratteristici della poetica dell’autore.
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Il rapporto con la musica: i videoclip, Junun e l’imminente Licorice Pizza
Sin dagli inizi della sua carriera, Paul Thomas Anderson ha sempre avuto un forte legame con l’ambito musicale. Ha infatti diretto numerosi videoclip per artisti quali Fiona Apple, i Radiohead e le sorelle Haim. Una di quest’ultime, Alana Haime, sarà inoltre protagonista del prossimo film del regista: Licorice Pizza, titolo che fa riferimento alla catena di negozi di dischi della California popolare negli anni ’70.
Sin dai tempi de Il petroliere, dietro alle colonne sonore dei film di PTA troviamo il chitarrista dei Radiohead Johnny Greenwood, con il quale nel 2015 è voltato fino in India per girare Junun: documentario che segue la registrazione dell’omonimo album dell’artista musicale Shye Ben Tzur.
Le musiche di Greenwood variano da tonalità classiche a melodie stranianti e angoscianti, perfette per circondare tutti quei personaggi nevrotici che Anderson ha messo in scena negli ultimi dieci anni. Un’attenzione musicale che va anche oltre alle composizioni ex novo, visto che Greenwood è anche selezionatore di tutte le canzoni non originali dei film. Un artista dunque, in grado di esaltare alla perfezione il cinema di un grande regista.
A fine anno dovrebbe infine uscire nelle sale di tutto il mondo Licorice Pizza, che dal trailer rilasciato pochi giorni sembra voler ripercorrere lo stile e le atmosfere di Vizio di forma. Ancora una volta, un film ambientato in un America del passato che sarà vista senza dubbio con un occhio critico e disincantato, come sempre, sospesa al di sopra del tempo. È la terza volta che Paul Thomas Anderson andrà a toccare quel periodo storico e quella ambientazione, ma siamo confidenti del fatto che sarà in grado, anche questa volta, di aggiornarsi e di proseguire uno dei discorsi poetici più intriganti del cinema contemporaneo.