Tie-in videoludico e vero proprio prequel alle vicende della serie televisiva BBC, Peaky Blinders: Mastermind è un puzzle game in cui pianificazione e gestione del tempo la fanno da padroni. Siete pronti a calarvi nei panni della famiglia Shelby? 

La cosa forse più affascinante e avvincente di Peaky Blinders – famosissima serie BBC, disponibile in Italia grazie a Netflix – sta in come Tommy Shelby, protagonista e capo dell’omonima famiglia di malavitosi interpretato da Cillian Murphy, pianifica i movimenti suoi e dei parenti coordinandone ogni minuscola mossa. Un vero e proprio capofamiglia che non si limita ad amministrarne i traffici ma che, in modo molto più attivo, ne gestisce e affina le azioni decidendole preventivamente per fare in modo che siano perfettamente calibrate tra di loro. 

Non è un caso, dunque, che per adattare le atmosfere della grigia Birmingham degli anni ’20 e della lotte tra bande malavitose, Curve Digital abbia voluto distillare la sensazione di controllo totale di Tommy in un puzzle game in cui tempismo e pianificazione sono il fulcro. Eloquente, poi, anche il titolo scelto per sottolineare questa scelta, Peaky Blinders: Mastermind.

È possibile modificare ciò che si fa, ma non è possibile modificare ciò che si desidera

Come già anticipato in apertura, Peaky Blinders: Mastermind è un puzzle game in cui chi gioca è chiamato in causa a vestire i panni del nuovo capofamiglia, Tommy, in una storia prequel a quelle che si susseguono durante la serie originale. L’ingrediente principale del pacchetto è riuscire a ottimizzare e coordinare le azioni di tutti i personaggi chiamati in causa, sbrogliando la matassa di enigmi ambientali che compongono i dieci livelli del gioco.

Il motore ludico di Peaky Blinders: Mastermind è rappresentato da una linea temporale attraverso la quale giocatrici e giocatori possono intervenire sullo scorrere degli eventi. Chi gioca ha dunque il compito e la possibilità di incastrare le azioni e le specialità di ciascuna e ciascuno della famiglia Shelby in modo tale che il colpo specifico di un particolare livello vada a buon fine.

peaky blinders

Ognuna delle e ognuno degli Shelby ha, quindi, la sua specialità e abilità unica che chi gioca deve sapere coordinare in modo tale che ci sia un concerto di azioni fluide che possono essere eseguite contemporaneamente. Per esempio mentre Ada è intenta a distrarre qualcuno degli sgherri di una banda rivale, Finn potrebbe sgattaiolare attraverso piccole fessure tra i muri. E sta proprio qui il cuore pulsante del gioco: riuscire a fare in modo che le azioni, manipolando la linea temporale avvolgendola avanti e indietro, permettano lo svolgimento di quelle degli altri personaggi e viceversa.

Tutto questo restituisce in modo abbastanza preciso e fedele la macchinazione strategica che sta alla base degli eventi che vedono protagonista la famiglia Shelby in Peaky Blinders. Un modo decisamente efficace di restituire a mezzo ludico uno dei caratteri fondanti di una produzione longeva e con un pubblico particolarmente affezionato.

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Devi ottenere quello che vuoi con i tuoi mezzi

Laddove a livello ludico Peaky Blinders: Mastermind riesce a rendere su schermo una situazione credibile rispetto a quella di origine, tutto il resto della proposta invece crolla in un contesto anonimo. Sonoro, estetica, storia e resa dell’ambientazione non creano il giusto contraltare a una buonissima struttura giocabile, che anzi cede il passo a una rifinitura molto bassa e poco interessante.

Il gioco infatti si limita a presentare Birmingham, le sue bande e i loschi traffici che avvenivano durante gli anni ’20. Qui manca tutto il fascino che Steven Knight, creatore della serie, ha saputo iniettare nelle strade polverose e metalliche che i personaggi della sua storia solcano. Tutto pare creato per emulare, anziché evocare, creando in chi gioca la sensazione di un lavoro un po’ raffazzonato e poco ispirato a partire da un materiale originale che, al contrario, vive e pulsa di dettagli e rifiniture.

Manca totalmente una direzione artistica precisa o curata, che invece è limitata a ricostruire posti che chi ha visto la serie conosce ma senza quell’anima e quello spirito che li contraddistinguono. E anche quello che forse è il punto più particolare e forte di Peaky Blinders, l’uso di rock alternativo contemporaneo per dare un contrasto fortissimo tra scena e sonoro, viene soltanto sfiorato senza che possa avere il respiro che merita.

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In definitiva e per concludere, Peaky Blinders: Mastermind soffre della solita malattia di cui soffrono i tie-in. Sebbene con un comparto ludico all’altezza, anche se minato da una brevità e da una semplicità di risoluzione dei puzzle davvero poco soddisfacente, il resto della proposta risulta soltanto una pennellata slavata e pigra di quello che il franchise avrebbe da offrire.

Un gioco che forse farà ingolosire i fan più sfegatati e le fan più sfegatate ma che, pad alla mano, anche a loro lascerà l’amaro in bocca per la poco rifinitura che c’è in grossa parte del gioco. Un peccato, sopratutto date le ottime premesse ludiche offerte.

 

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.