A Sexy Horror Story era già un ottimo film, ma il Pearl di Ti West riesce ad alzare ancora di più l’asticella. Il regista arriva a presentarlo addirittura nel Fuori Concorso della 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove aveva già portato in Orizzonti il suo The Sacrament nel 2013. Un film che nasce come costola di X, prequel incentrato sulla squilibrata figura dell’anziana padrona di casa e girato back to back rispetto alla pellicola originale.
Sempre che si possa o abbia senso arrivare a scindere le due opere, legate assieme non tanto dalla continuità narrativa quanto da Mia Goth, che di Pearl è anche sceneggiatrice alla sua prima esperienza nel ruolo. Quel che ne esce fuori è un lavoro a dir poco strepitoso sulla costruzione di un personaggio che è in tutto e per tutto il film, che il film lo riempie, lo straborda, lo taglia in due grazie a un’interpretazione che surclassa quanto fatto già dalla Goth in X.
E pure lì l’attrice era già chiamata a una performance doppia nelle vesti dell’inquietante Pearl e della rampante Maxine, nella proposizione di un dualismo che faceva da collante all’opera. Perché se X poteva contare su un ottimo senso di aderenza allo slasher horror degli anni Settanta e Ottanta, in fin dei conti ne rimaneva anche un po’ prigioniero nel momento in cui era atteso a fare il balzo.
Pearl sotto questo punto di vista non ha vincolo alcuno e assume fin da subito i contorni di un’opera più libera e schizofrenica perché pensata e messa in scena in virtù non tanto del genere, ma appunto di un personaggio esilarante e incontrollabile. Visivamente abbandona il granuloso per abbracciare un’esplosione di colori da Technicolor (la stupenda e studiatissima fotografia di Eliot Rockett), per dipingere un mondo del desiderio che sta tutto nella testa di una giovane ragazza oppressa e repressa dall’insoddisfazione della sua vita di campagna.
La pulsione chiusa nel cassetto è la stessa che la contraddistingueva in X (lo script di Pearl nasce come esercizio d’immedesimazione di Goth), così come lo è la casa dove è ambientata la maggior parte del film ad eccezione di qualche sortita in città, ma il tempo è quello di un 1918 agli sgoccioli della Prima guerra mondiale che si è portata lontano anche il giovane marito di Pearl. Se lo è portato dietro strappando via anche le voglie coniugali e i sogni di futuro per una ragazza che, sotto sotto, non è che sia poi così sana di testa.
E come se non bastasse ad esacerbare la situazione c’è lo stress di un triangolo familiare dove l’autoritaria madre (Tandi Wright) non è altro che pure lei una vittima dei desideri spezzati da figure maschili che, volenti o nolenti come suo marito (Matthew Sunderland) costretto su una carrozzina dalla febbre spagnola, sono manchevoli, insoddisfacenti. Una prima parte di Pearl sta qui, nelle monotone giornate di una donna che appena può scappa al cinematografo per incontrare l’affascinante proiezionista (David Corenswet) e sognare a occhi aperti una carriera da ballerina come grande star del cinema.
Quando il film inizia a lanciare i chiari e spietati segnali del fatto che Pearl l’x-factor probabilmente non lo ha, raccoglie tutti i numerosi e ironici contrasti disseminati durante il percorso e li porta a collidere in una seconda parte dell’opera che si tinge sempre più di rosso – letteralmente, dai drappi della casa, al vestito di Pearl, fino ovviamente all’immancabile bagno di sangue.
Pearl suscita molta più (colpevole) ilarità di X, tutta a partire dalle assurde situazioni di inquietudine a cui conduce il personaggio di una Mia Goth che fa valore aggiunto della fisionomia del suo volto, tanto fanciullesco e imbronciato da riempiere lo schermo. Esplode in tutte le sue sfumature sul limite di una frustrazione che fischia come una pentola a pressione, e si fa anticamera dell’efferata discesa nella violenza affrescata come un atto estremamente liberatorio nell’alternarsi della fantasia che si mescola alla realtà.
Se Ti West dimostra una gran gioia e libertà creativa nel giocare con le proiezioni che escono dalla testa di Pearl, così come notevole maturità nel padroneggiare gli strumenti a cielo aperto della suspense, è lo stare dietro ai ritmi e all’estro della sua protagonista che fa del film un divertissement puro.
Un godimento cinematografico che raggela il sangue quando strappa le risate dello spettatore, capace di sterzare da lunghi e fissi piani sequenza alle carrellate, mentre al centro dell’inquadratura fa da mattatrice sempre lei, la certezza di una Goth che piange, urla, ride, si dispera, si storce e distorce come bambola demoniaca davanti una macchina da presa che la ama tantissimo. Imperdibile.