Inkle ci ha oramai abituati ad aspettarci il meglio, ma Pendragon è proprio il massimo che potessimo chiedere
Quando due anni fa intervistai Jon Ingold, direttore narrativo del team indipendente Inkle, gli chiesi il perché della scelta di rendere open source il loro motore narrativo, Ink. Mi sembrava impossibile infatti che uno strumento così incredibilmente efficace, capace di rendere incredibilmente reattiva la struttura narrativa di un gioco, fosse a disposizione di chiunque. Eppure, alcuni capolavori come Bury Me My Love e Where the Water Tastes Like Wine hanno potuto utilizzare liberamente l’Ink, e i risultati sono evidenti: storie incredibilmente complesse, umane, capaci di reagire in modo credibile alle scelte, alle opinioni e alle volontà del giocatore. Con assoluta lucidità, Ingold mi rispose: “ci sembrava semplicemente giusto. Dopo anni nel settore, so quante cose splendide abbiamo perso per la mancanza di condivisione degli strumenti per crearle”. Pendragon, il nuovo gioco dello studio di Cambridge, conferma questa doppia natura interattiva e narrativa, capace per l’ennesima volta di farci esclamare, dopo qualche ora: “ma allora si può fare!”.
Da un punto di vista narrativo (ma anche ludico), Pendragon parte da un premessa semplice quanto promettente. Siamo nel 673 d. C., e Camelot è appena caduta sotto i colpi di Ser Mordred, il geloso figliastro di Artù che ha spezzato con bugie e odio la fratellanza della Tavola Rotonda. Artù si trova dunque a programmare la sua prossima, ultima mossa, verso la battaglia finale che cancellerà per sempre il suo regno, o che lo libererà definitivamente dal male scatenato da Mordred. Al contrario di ciò che accade generalmente nei videogiochi, però, in Pendragon non vestiremo i panni di Artù, ma di decine di personaggi facenti parte dei Cicli Arturiani: Ginevra o Lancillotto all’inizio, e poi di volta in volta varie figure mitologiche e cavalleresche, a seconda del modo in cui svolgeremo le prime partite.
Sì, perché in Pendragon una “campagna” dura tra l’ora e mezza e le tre ore, ma la varietà dei suoi racconti e il potenziale narrativo della sceneggiatura sono tali che ci obbligano a rigiocare. Anzi, dovrei dire rinarrare: ciò che cambia di volta in volta è soprattutto, anzi quasi esclusivamente, il racconto, così come le caratteristiche dei personaggi e persino quali luoghi visiteremo o quali figure incontreremo. Il gioco, nel senso più tradizionale del termine, rimane sostanzialmente identico: una struttura a turni dove muoviamo le pedine su scacchiere atipiche, che in funzione del tipo di nemico che incontriamo ci obbligano a muoverci verticalmente o orizzontalmente, in un costante riposizionamento per non subire danni, o per arrecarne all’avversario.
Eppure, la quantità di cambiamenti narrativi e caratteriali rispetto ai personaggi è tale che a cambiare sarà anche il gameplay: scegliere di rendere Ginevra leale ad Artù ma non innamorata genera un’abilità diversa da quella che invece si attiva se scriviamo una Regina che ama il suo Re, per esempio. Eppure, al contrario di ciò che accade con altri giochi a turni (X-Com, su tutti), in Pendragon la lettura delle mappe e l’implementazione delle abilità è totalmente narrativa: non possiamo sapere chi, cosa e quando la incontreremo, e non ha dunque senso lasciarsi trascinare in letture tecniche degli spazi ludici, o magari scegliere le abilità a seconda del modo in cui vogliamo giocare.
Se entriamo in una foresta infestata, non ci muoveremo in funzione del danno potenziale da fare ai ragni giganti, ma esploreremo in quanto saremo coscienza di Ginevra, o Lancillotto, o Merlino, o una delle tante altre figure a disposizione del giocatore (e che, dopo circa 10 ore di gioco e almeno 5 partite completate, non ho ancora sbloccato del tutto): la Regina magari vuole trovare nuovi alleati prima di raggiungere Artù, mentre il suo miglior cavaliere correrà invece verso di lui per poter subito mostrargli il suo valore (e la sua fedeltà, nonostante l’amore per Ginevra).
Inutile continuare nella descrizione dei potenziali, possibili e sostanziali cambiamenti narrativi disponibili in Pendragon: sono talmente tanti che richiederebbero un articolo a parte. Basti solo dire che se il giocatore deciderà di esplorare e di non correre verso il grande scontro, Artù morirà, e ci troveremo al massimo a vendicarlo, ma non esiste un turno specifico per capire quando si attiverà questo evento: la cosa è casuale, a secondo dei personaggi che incontriamo e delle azioni che compiamo, come è giusto che sia a livello narrativo.
Basti poi dire che esistono dei racconti, “le storie del falò” (ma anche, banalmente, i Pendragon Tales), che si attivano solo in contesti e in scene specifiche, e che sono stati scritte da persone esterne al team: una storia è stata composta da uno degli scrittori di Deus Ex; un’altra è stata inviata da un fan di 17 anni; un’altra ancora da un ultra sessantenne; una è stata prodotta da un team di scrittura; e poi ci sono storie inviate da archeologi, teatranti, canadesi e argentini. I racconti intorno al fuoco sono effettivamente prodotto di menti diversissime e di tutte le tipologie, riproducendo nel videogioco quella circolarità del racconto orale che rende quei momenti ancora più credibili ed efficaci.
Fortemente ispirato più al romanzo Re in Eterno di White che alla raccolta del ciclo arturiano di Malory, Pendragon racconta di un Artù moderno, e lo fa in una crescita della “difficoltà” che è tutta narrativa: i livelli infatti si ispirano alla profondità del testo, e non alla complessità dell’interazione. Passiamo dal livello aneddotico, abbastanza semplice e quasi privo di rischi per i personaggi, a quello teatrale e poi a quello melodrammatico e drammatico, e altri ancora attendono il giocatore a ogni nuova “campagna” conclusa, e chiaramente proprio in relazione al tipo di racconto i rischi per la vita dei personaggi aumentano, creando nuove possibilità narrative più che ludiche.
Insomma, in quanto a narrativa interattiva, reattività dei sistemi alle scelte del giocatore e al racconto videoludico in generale, con Pendragon Inkle ha pubblicato il nuovo, ennesimo gioiello che ogni appassionato di questi temi deve assolutamente recuperare.