L’unico Verdetto è Vendicarsi… Vendetta
Cinema e vendetta, binomio indissolubile.
Dagli albori della settima arte la vendetta è un tema pressante, che con il tempo ha proseguito la sua semina su pellicola, fiorendo in tante e rigogliose rose nere che altro non sono che numerosi film incentrati sulla rivalsa.
Oggi più che mai cinema e vendetta proseguono a braccetto, complice una società che esige prodotti fruibili ed immediati, e che cannibalizza gli istinti, rendendoci voraci osservatori della natura dietro la nostra maschera, quella che la suddetta società moderna ha la duplice colpa di fomentare e contenere.
Mettiamo da parte populismo e dicerie, e concentriamoci sui fatti. Proviamoci, almeno.
Se avete riso in Don Jon, quando Joseph Gordon-Levitt scende dalla macchina per spaccare il vetro di quella davanti, colpevole di causare traffico, è perché alcune scene – ahimè – fanno parte della quotidianità. Crediamo di non muovere accuse verso nessuno, né tanto meno vogliamo ergerci a paladini del bene e di un mondo migliore, se facciamo notare che viviamo all’interno di una società frenetica, e il cui beneamato progresso (ci mancherebbe che non lo sia) porta l’essere umano a rievocare i suoi istinti selvaggi. Istinti tuttavia tenuti a bada dalla stessa società, soffocati da quel regime etico che ci rende dissimili dalle bestie.
Eppure spesso ci arrabbiamo, ci infervoriamo, e perdiamo la pazienza al cospetto di quelle che reputiamo ingiustizie.
Ecco allora che entrano in gioco il grande e il piccolo schermo. Lì, tutto è concesso.
Il cinema è un’arte con pochi freni, che si esalta nel rendere estreme dinamiche che nella realtà si scontrerebbero contro un muro fatto di moralità, impedimenti, leggi e quant’altro.
Il protagonista delle assurde vicende di cui siamo attenti osservatori davanti allo schermo è quindi, spesso, ciò che vorremmo essere. Succede in quasi tutti i generi, poiché è uno dei concetti basilari del successo della settima arte, ma ciò accresce esponenzialmente quando si tratta di film legati alla vendetta.
Un concetto che si allarga all’arte in maniera molto più ampia, partendo dalla pittura o dalla scultura, passando per la letteratura. Non solo cinema, quindi, ma qui si fa preminente, complice l’immediatezza ed il realismo, che per giunta col passare del tempo e col progresso tecnologico è sempre più accentuato.
Si attinge dalla quotidianità, si mescola l’artificio con la verità, e si ottiene una pietanza in grado di deliziare i nostri occhi ed appagare la nostra mente.
Stabilire un punto di partenza è complicato. Ogni epoca ha avuto i suoi film di vendetta, spesso malcelati dietro i generi più disparati, e seppur ci sembra naturale constatare che a partire dagli anni ’90 questo tema abbia vissuto un periodo di sovraesposizione, è altrettanto vero che la vendetta nel cinema non è mai mancata.
Negli anni ’70 ad esempio abbiamo assistito ad una tendenza che ha portato sul grande schermo una serie di film di genere horror-vendetta: Thriller di Fridolinski; L’ultima casa a sinistra di Wes Craven; Carrie – lo sguardo di Satana di Brian De Palma, tanto per citarne alcuni.
Qui si instaura il sottogenere Rape & Revenge (Stupro e vendetta), un filone che ha tramutato in cult parecchie opere dell’epoca. La struttura era molto semplice e ripetitiva: a) rapimento della ragazza; b) violenza e fuga o sopravvivenza; c) vendetta.
Una linearità estrema, che riesce a coinvolgere proprio per questo il pubblico ancora non abituato a certe tematiche per il grande schermo, e che valuta questa crudele semplicità come un prodotto fruibile ed efficace, che tiene alta la tensione con meccanismi assolutamente limpidi.
Molto spesso purtroppo alla linearità strutturale, corrisponde anche una banalità a livello di script. L’universo cinema è pieno di pellicole sul tema della vendetta che finiscono nel dimenticatoio, o molto spesso nell’enorme cesta dei giocattoloni trash che la blockbuster industry produce a grande richiesta.
Per fortuna però non è sempre così. Nel corso del tempo abbiamo assistito a molti cult, pellicole che hanno fatto scuola e che rappresentano il vero simbolo della vendetta al cinema.
Su tutti ci viene in mente Kill Bill di Tarantino (2003). L’opera del maestro Quentin riprende alcuni canoni del passato, tra tutti l’interessante fattore che la protagonista sia una donna (e che donna!), spulciando nel cassetto della Rape & Revenge rubandone alcuni elementi interessanti, come la mutazione psicologica della donna, esaltandone le conseguenze e instillando una vastità di aspetti nuovi ed originali, ovvero quelli che rendono il cinema tarantiniano un qualcosa di autoriale.
Tra ferocia e humour nero, l’idea della sposa che cerca vendetta è un’idea che possiamo senz’altro definire geniale.
Un altro che ha fatto scuola è Park Chan Wook. Già nel 2002 il suo Mr. Vendetta poneva le basi dell’evergreen. Il film in sé non è certamente un prodotto tecnicamente perfetto, ma divenne memorabile soprattutto perché lanciò la trilogia della vendetta, che avrà il suo secondo capitolo già l’anno seguente (2003) con Old Boy (di cui è stato fatto un remake da Spike Lee nel 2013).
Questa fu un’opera cruda, brutale, in grado di esaltare tutti i crismi del tema in una terribile empatia tra pubblico e protagonista, e con una regia che fa salire e scendere lo spettatore dalla giostra della vendetta. Negli anni seguenti le sale di tutto il mondo accoglieranno Kill Bill Vol. 2 di Tarantino ed anche Lady Vendetta, ovvero il terzo capitolo della trilogia targata Park Chan Wook. Non è un caso che Tarantino, riferendosi ad Old Boy disse che avrebbe voluto girare lui un film così. I due registi si guardano allo specchio lasciando intravedere tante analogie così come numerose differenze. Stilistiche, tecniche, comportamentali.
Ma il modo in cui riescono a far emergere le emozioni e donare nuova linfa ed originalità ad un tema finora un po’ schiavo delle sue stesse regole, è ciò che li accomuna e li rende protagonisti indiscussi della vendetta cinematografica.
Tarantino poi sceglie di fare suo questo tema, griffando sempre le sue produzioni con l’autorialità tipica di chi, come lui, lo fa per diletto. Anche opere che percorrono altre strade, finiscono per prendere la via della vendetta, e se questo è ben marcato in Django Unchained, accade in maniera minore ma del tutto folle e per questo sublime in un film come Grindhouse – A prova di morte. Qui sono sempre le donne a passare da vittime a carnefici, con una spettacolarità che non possiamo che definire tarantiniana. È sempre una donna anche in Jackie Brown a compiere l’atto ultimo della vendetta, che qui però si tramuta in rivincita, in modo pertanto differente anche per via di una personalità opposta a quella della Sposa di Kill Bill.
Ovviamente vendetta ed autorialità non vanno sempre di pari passo. La fruibilità e la necessità dell’immediatezza, accennati all’inizio dell’articolo, hanno fatto sì che il Blockbuster potesse attingere a piene mani nell’archivio di queste primitive emozioni.
C’è una schiera di pellicole che, in particolare nel nuovo secolo, intasano le sale cinematografiche.
Mel Gibson e Liam Neeson vestono spesso i panni dei punitori eccellenti; padri di famiglia irreprensibili, a cui vengono fatti tremendi torti per i quali è necessaria la vendetta.
La serie Taken, o film come Fuori Controllo, tanto per citarne qualcuno. Potremmo estenderci poi fino alle più recenti produzioni, come la saga di John Wick con Keanu Reaves protagonista.
Prodotti a disposizione del grande pubblico, action puri con l’adrenalina servita come ingrediente principale.
Ma oltre a questi, il cinema è pieno di opere di genere (o sottogenere) che hanno fatto da modello. Pensiamo ad esempio a Il Corvo, di Alex Proyas, col compianto Brandon Lee protagonista. Qui troviamo tutte le basi del film legato alla vendetta. E anche molto di più.
Il magnetismo dell’opera è eccezionale, che passa dalle ingiustizie e alle atrocità della crudele realtà tramite la forza dei sentimenti, quelli veri, che sopravvivono a tutto.
Ma c’è tanto altro nel mondo del cinema. La vendetta è anche intesa come atto rivoluzionario contro il sistema, e qui citiamo l’emblematico V per Vendetta, film del 2005 diretto da James McTeigue ma adattato dalle sorelle Wachowski (qui sceneggiatrici) dall’omonima graphic novel di Alan Moore.
V, il rivoluzionario con la maschera di Guy Fawkes, vuole ribellarsi al regime repressivo di una società totalitaria. La lettera V non è solo un richiamo simbolico alla vendetta, ma un iconico sigillo presente in maniera subdola ed invasiva in tutta l’opera, anche dove l’occhio riesce ad arrivare a malapena. Può essere una cicatrice sulla fronte della Portman, o delle lancette di un orologio, o ancora un’esplosione di fuochi d’artificio che vanno a formare la suddetta lettera.
Non esiste modo migliore per calcare la mano su un tema del genere.
Non facciamo troppa fatica a schierarci televisivamente dalla parte del punitore e della sua dolce seguace, seppure i suoi metodi siano deprecabili e vadano contro l’etica, la giustizia, la legge e via discorrendo. La troupe direzionale e prima ancora il maestro A. Moore hanno tessuto una tela in questo senso perfetta, seguendo e potenziando i dettami del genere, al fine di portare lo spettatore a schierarsi in maniera netta. A ciò contribuisce tutto, a partire dalla struttura dell’opera fino alla macchiettistica rappresentazione dei comprimari: i pessimi cattivi sconfitti da un buono spietato.
Totalmente diverso rispetto a V, ma simile per livello di empatia raggiunta con il pubblico nonostante anche qui i metodi utilizzati per la vendetta siano tutt’altro che esemplari, è Sweeney Todd (2007) di Tim Burton.
Il regista di Burbank utilizza il musical per mettere in scena un’opera cruda e dissennata, una commedia orrorifica che anche qui si perfeziona grazie al suo ligio percorrere delle regole.
Il cambiamento della personalità del protagonista è estremo come rare volte si è osservato sul grande schermo, e questo non può che suscitare nel pubblico un’intensa passione.
Ma la vendetta, come ben sappiamo, è anche quella dei supereroi. Chi meglio di loro può mettere in atto un piano di rivalsa? I poteri costituiscono l’arma della rivincita, e la reazione spesso inaspettata dei “nemici” di fronte ad una irreale e favolosa potenza è l’equazione del godimento dello spettatore. La vendetta supereroistica può seguire diverse strade: si va da personaggi come Batman, che persegue la giustizia a causa di un trauma familiare, a chi come Daredevil il trauma l’ha vissuto fisicamente sulla propria pelle, fino a punitori vecchio stampo come, appunto, The Punisher. C’è una linea comune, ad ogni modo, che traccia le esistenze di molti supereroi.
Affrontare criticamente il tema della vendetta al cinema, quindi, è complesso per via delle numerose sfaccettature in cui ci viene proposto, a volte evidente, altre mascherato, altre ancora malcelato.
Ciò che è sicuro è che si tratta di un argomento cardine della settima arte, dal quale questa non potrà mai discostarsi, né vorrà farlo considerate le nostre premesse e quindi in primo luogo il fatto che l’essere umano al cospetto della vendetta è – ahimè – una zolletta di zucchero in una brocca d’acqua.