A sette anni dalla fine di Breaking Bad, è giusto cercare in Better Call Saul un degno successore? Scopriamolo insieme.
Non è un segreto che Breaking Bad abbia lasciato nel cuore di tutti, appassionati di serie tv o meno, un incredibile vuoto nel momento in cui giunse al termine nell’ormai lontano 2013. Fa strano oggi, alla fine della quinta stagione della sua serie spin-off, Better Call Saul, ripensare al colosso che ha modellato così tanto il panorama televisivo contemporaneo. Tutti guardano infatti alla serie di Vince Gilligan come modello da seguire. Gomorra, La casa di carta, Ozark, sono solo alcuni dei titoli che hanno preso a pieno l’eredità lasciata di Breaking Bad.
O forse no? Forse il vero e unico erede di Vince Gilligan è… Vince Gilligan! Si perché nonostante Better Call Saul sia iniziata ormai da cinque anni possiamo dire che, almeno dal punto di vista qualitativo, la poetica che il proprio predecessore portava avanti è stata ampiamente sviluppata se non direttamente “migliorata”. Quello che molti fan della serie possono fare quindi è domandarsi se effettivamente quest’ultima fatica di Gilligan possa esser meglio dell’epopea di Walter White. Una domanda forse tabù visto l’impatto socio culturale di Breaking Bad, ma allo stesso tempo estremamente lecita e realistica vista la qualità di Better Call Saul.
Stessa età ma traguardi diversi
In questo momento, sia Breaking Bad che Better Call Saul hanno la stessa età. Hanno infatti entrambe raggiunto il traguardo della quinta stagione. Traguardo notevole visto che ormai difficilmente un prodotto seriale supera le tre stagioni. L’arrivo di Netflix ha infatti contribuito ad un’industrializzazione delle serie tv mai vista fino ad allora, con nuovi prodotti disponibili quali su base giornaliera. Una saturazione dell’offerta che ha comportato poi anche a una relativa cancellazione di molti programmi (la perdita di Daredevil rimane ancora un forte lutto del mondo televisivo). Better Call Saul è quindi un prodotto anomalo perché, nonostante agisca su una base di forte iconografia culturale, non è esattamente il classico prodotto d’intrattenimento tipico di Netflix.
È un prodotto più personale, più intellettuale e molto più cauto nelle sue decisioni narrative. Molto più attento nella evoluzione della propria storia. E infatti non è assolutamente comparabile l’impatto mediatico che sta avendo rispetto a Breaking Bad. Nonostante all’epoca l’episodio pilota della prima stagione registrò il più alto indice d’ascolto di sempre per le TV via cavo, basta guardarsi attorno per notare che nessuno, in realtà, ne parla. Abbiamo una saturazione mediatica per quanto riguarda serie come Stranger Things o La casa di carta (giusto per citare le più famose al momento) e quasi zero impatto per la serie prequel di quello che è stato uno degli show più famosi e influenti della storia. Come mai quindi Better Call Saul non è stata scaricata da Netflix dopo poche stagioni?
Un prodotto per pochi ma buoni
In realtà la storia di Saul Goodman viene vista da molti anche se nessuno ne parla. Segno sempre più evidente che il mondo di internet altro non fa che dar voce a una minoranza molto rumorosa. Better Call Saul è stata, almeno quest’anno, quasi costantemente nella Top 10 dei prodotti più visti nel nostro paese e il continuo sostegno da parte di Netflix è segno evidente che la collaborazione col regista e sceneggiatore Vince Gilligan è più che profittevole.
La prima stagione di Better Call Saul poteva destare dei dubbi ai fan più cinici della serie. Si poteva avere facilmente l’impressione di star assistendo a una mera operazione commerciale, di fanservice. Qualcosa quindi di non puro e mosso dal semplice bisogno di far soldi sull’immaginario di Breaking Bad. Tutti coloro che hanno superato questo pregiudizio hanno potuto notare, fortunatamente, che non si tratta di questo caso. Allontanarsi dai propri personaggi per uno sceneggiatore può essere, a volte, molto difficile. Sia Better Call Saul che il più recente El Camino nascono quindi da un’esigenza non tanto dalla parte del pubblico quanto dalla parte dell’autore, col bisogno irreprensibile di continuare ad analizzare le proprie creature.
L’evoluzione di Vince Gilligan
La testimonianza più grande che ci riserva Better Call Saul è quindi l’evoluzione del proprio autore, Vince Gilligan. Nel corso di questi dieci anni all’interno dell’universo di Breaking Bad, è constatabile il modo in cui lo sviluppo narrativo dello sceneggiatore statunitense abbia trovato il tempo (e il luogo) per svilupparsi. Breaking Bad, dopo la fine della sua seconda stagione, ha cominciato a diventare una serie cult con tutti i relativi pregi e difetti. In quest’ultimi riscontriamo il dovere e l’obbligo, da parte dei creatori, di soddisfare i bisogni del proprio pubblico, controparte fondamentale nel processo creativo televisivo. Le persone, infatti, si creano delle aspettative e se vengono deluse, o in generale non rispettate, la risposta è spesso dolente. Questo è riscontrabile nella differenza abissale, per esempio, della prima stagione di Breaking Bad con la sua quarta.
La prima che si prendeva il tempo per una prospettiva più intima e minimale sui personaggi, e la quarta che invece era un susseguirsi di momenti pulp di forte impatto visivo e narrativo (“i’m the one who knocks”). L’interezza di Better Call Saul è quindi più simile alla prima stagione di Breaking Bad. Precisa, personale e riflesso di quello a cui Vince Gilligan interessa veramente: i propri personaggi. Nell’odissea di Saul Goodman non abbiamo nessun momento epico, nessuna frase che è stampabile su una maglietta o sulla propria tazza per far colazione. Non è, sintetizzando, una serie tv commerciale.
Eppure il prodotto funziona, vende e continua ad essere esaltata dai fan. Ma tutto questo accade grazie a un percorso di fidelizzazione al mondo narrativo che è stato plasmato da Breaking Bad. È grazie alla sua eredità che Vince Gilligan riesce a catturare l’attenzione del pubblico, anche quello più generico, e portarlo in una visione del pulp e del western moderno completamente inedita. In questo senso Better Call Saul è meglio del proprio fratello maggiore, perché libero da qualsiasi bisogno di stabilire personaggi e rendere avvincenti episodi che spesso, invece, finiscono nel vuoto narrativo. Gilligan evolve e prende piena consapevolezza su come raccontare, in un ambiente televisivo sovra saturato come il nostro, storie che possiamo tranquillamente definire “d’autore”.