el corso degli anni la fantascienza è sempre stata interessata a trattare le tematiche di ogni tempo, con lo scopo di rivisitarle e distorcerle per andare a creare un quadro più o meno plausibile del futuro originatosi da determinate scelte e conseguenze. È il caso di quei racconti apocalittici che nacquero nel secondo dopoguerra e continuarono per la durata della Guerra Fredda, in cui si temeva che il braccio di ferro tra le due superpotenze mondiali dell’epoca, USA e URSS, sarebbe sfociato, nell’ipotesi più oscura, ad un conflitto nucleare capace di spazzare dal pianeta la maggior parte della popolazione terrestre. E in questi anni in America scoppia un fenomeno che ha lasciato ancora oggi una ferita aperta nel paese, un fenomeno ricco di spunti per qualsiasi autore di fantascienza: il maccartismo.
Che cos’è il maccartismo?
Il fenomeno ha origine nel 1950 e prende il nome dall’allora senatore repubblicano del Wisconsin Joseph McCarthy, che portò avanti una lotta contro quelle che venivano definite attività antiamericane di matrice filo-sovietica e comunista. Questo fu possibile anche grazie all’appoggio di John Edgar Hoover, l’uomo al tempo a capo dell’FBI. Tutto ciò diede origine ad una spietata e veramente poco costituzionale caccia alle streghe, che si spinse fino a toccare quasi tutti gli ambiti lavorativi per sfociare poi nel quotidiano. Famose furono le accuse riguardanti personaggi di spicco di Hollywood, tra cui lo stesso Charlie Chaplin, lo sceneggiatore Dalton Trumbo, e la diva del cinema Marylin Monroe. Bastava una semplice simpatia di sinistra per finire sotto inchiesta. Questo clima ovviamente diede origine a una vera e propria isteria di massa, in cui molta gente puntava il dito e tanti altri erano costretti a nascondersi (molte volte senza avere nulla da nascondere) per evitare di essere ingiustamente accusati.
Il rapporto con la fantascienza
Sono molte le opere di fantascienza che in quegli stessi anni hanno ricalcato le atmosfere che si respiravano nell’America del terrore rosso. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, del 1953, affronta egregiamente il tema della censura in relazione ad un potere invasivo, mentre L’Invasione degli Ultracorpi, di Jack Finney, del 1954, in cui degli alieni invadono la terra imitando le fattezze dei suoi abitanti, così da non essere facilmente individuabili, ricalca la paura di massa tipica dell’epoca. La parte più inquietante del libro era costituita proprio dal fatto che il nemico non potesse essere riconosciuto facilmente e ciò portava la gente a vederlo ovunque. Il libro di Finney subì vari rimaneggiamenti nel corso del tempo, e nella sua prima versione l’invasione veniva fermata solo grazie all’FBI. Se c’è però un autore che forse più di ogni altro ha trattato molte delle tematiche del maccartismo, quello è sicuramente Philip Dick.
Philip Dick: l’isteria di massa e il confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è
Non ci sono forse temi nella fantascienza moderna che non siano già stati teorizzati e approfonditi da Philip Dick. Egli ha infatti sempre utilizzato la fantascienza per esplorare i limiti e i dubbi dell’uomo. Leggendo le sue opere non è raro percepire un montante senso di incertezza nato dall’incapacità di riuscire a definire delle linee di demarcazione ben precise. La realtà diventa malleabile come creta e i personaggi dei suoi romanzi, così come il lettore, vengono pervasi da un senso di paranoia che spesso culmina in un colpo di scena finale atto a rimescolare completamente le carte in tavola. Troviamo regimi distopici che fanno della propaganda il mezzo per distorcere la realtà a loro favore, androidi dalle caratteristiche fin troppo umane, linee temporali stravolte e universi paralleli.
Il motivo per cui i suoi racconti risultano così realistici e pervasivi è da ritrovare in molti aspetti della vita dell’autore. Molte sono state le esperienze al limite del normale (o ai confini della realtà se preferite un po’ di sano citazionismo fantascientifico) vissute da Philip Dick, esperienze che hanno fatto spesso da sostrato per le sue opere. Sentiva delle voci, più volte ha avuto visioni ed allucinazioni, come quella di un fascio di luce sprigionatosi dal ciondolo di una donna. Tutto ciò lega indissolubilmente le opere di Philip Dick al maccartismo e sebbene possa non esserci un legame diretto tra le due, ci sono due racconti, scritti durante quel periodo, che ricalcano quel senso di isteria e paranoia e che potrebbero benissimo essere stati ispirati dalle vicende in cui l’America era proiettata in quegli anni.
Philip Dick: La cosa-padre
La fiducia non si è solita darla a tutti, così come non si dà per scontato di riceverla immediatamente. Ma se c’è un luogo in cui questa non dovrebbe mancare è probabilmente all’interno della propria famiglia.
E se non ci potessimo fidare neanche dei nostri genitori? Questo l’incipit di uno dei racconti più inquietanti di Philip Dick, La Cosa-Padre, scritto nel 1954, lo stesso anno in cui, almeno tecnicamente, il maccartismo giunse al termine, a causa delle false accuse mosse dal senatore McCarthy nei confronti degli alti vertici dell’esercito degli Stati Uniti. Nella Cosa-Padre troviamo Charlie, un giovane ragazzo della periferia americana, intento a chiamare il padre per la cena, che in quel momento si trova in garage. Solo che Charlie vede due padri e quello che alla fine si siede a tavola, Charlie ne è certo, non è quello vero. L’aspetto e gli atteggiamenti sono apparentemente gli stessi, ma il ragazzo non ci casca e rimane visibilmente turbato. Nonostante il padre tenti di rassicurarlo fino ad assumere un atteggiamento più severo, Charlie decide di scappare e andare in garage per trovare la conferma definitiva alla sua ipotesi, cosa che accade prontamente.
Aprendo infatti un cestino dell’immondizia, Charlie trova quello che rimane di suo padre, nient’altro che una muta friabile al tatto. Un elemento raccapricciante, che disturba, al pensiero di un figlio che tiene in mano i resti del padre, nient’altro che un guscio vuoto. Da qui in poi il racconto diventa una sorta di caccia all’alieno, in cui Charlie si allea con due ragazzi del vicinato per trovare una soluzione al problema. Scoprono che la cosa-padre è controllata da un alieno simile a un millepiedi intento a scavare nel giardino di casa, ma ucciderlo non è così semplice. Il finto padre interviene appena in tempo per salvare il suo padrone e Charlie scappa nascondendosi nella fitta vegetazione vicino casa, dove trova altri alieni in stato embrionale, delle statue viscide simili alle persone del suo vicinato e pronte a soppiantare l’intero quartiere. Proprio quando la situazione sembrava volgere in suo sfavore, con il padre pronto ad ucciderlo per far spazio alla cosa-Charlie, uno dei ragazzi riesce ad eliminare il millepiedi.
Il racconto porta agli estremi quel senso di ostilità sviluppatasi durante gli anni del maccartismo, in un modo che solo la fantascienza poteva rendere possibile. Quella dell’alieno in grado di infiltrarsi all’interno della società, oltre che essere il sogno di qualsiasi complottista, è anche un’idea che simboleggia quello che il maccartismo ha significato per il paese. Nessuno era più degno di fiducia, il nemico poteva nascondersi anche all’interno della propria abitazione.
Philip Dick: Impostore
“Tutti erano spaventati, tutti erano disposti a sacrificare il singolo in nome della paura collettiva”
In pieno periodo maccartista la paura di spie e infiltrati russi era ormai diventata dilagante. Questo anche a causa del processo ai coniugi Rosenberg, Julius ed Ethel, accusati di fornire informazioni ai nemici e conseguentemente condannati a morte. La citazione sopra è tratta da un altro racconto di Philip Dick, Impostore, pubblicato nel 1953 e che, in un certo senso, si spinge oltre La cosa-padre. Qui è lo stesso protagonista che viene accusato di essere, appunto, un impostore, nello specifico un robot infiltrato dalla fazione aliena con cui gli umani si trovano in guerra.
Olham, il protagonista, viene prelevato dalla sua abitazione da un suo amico di vecchia data e da un membro dell’esercito, che hanno ricevuto l’ordine di portarlo via dalla Terra per far si che degli artificieri sulla Luna possano asportagli la bomba che si presume gli alieni abbiano nascosto al suo interno. Ovviamente Olham non crede alle accuse e non ha alcun ricordo riguardante l’essere stato sostituito da un robot con le sue fattezze. L’uomo dell’esercito, Peters, gli spiega che non avrebbe alcuna importanza, il robot è stato programmato per essere esattamente come lui, quindi possiede anche i suoi stessi ricordi.
Tramite uno stratagemma Olham riesce a impadronirsi della navicella e a scappare, facendo ritorno sulla Terra, alla ricerca di una prova che possa dimostrare la sua buona fede. Dopo un’altra rocambolesca fuga, Olham trova una navicella aliena, parecchio malandata a causa dell’atterraggio di fortuna. Vicino a essa trova anche un corpo. Peters e il suo amico intanto lo raggiungono e Olham indica il cadavere a terra, totalmente uguale al protagonista, se non fosse per il fatto che la posa grottesca ricorda quella di un robot che ha smesso di funzionare. Tutti tirano un sospiro di sollievo, ma l’oggetto metallico che viene trovato all’interno del cadavere non è la bomba tanto temuta, ed è invece un coltello, utilizzato dal robot per uccidere il vero Olham. Non c’è neanche spazio per lo stupore che la bomba si attiva spazzando via l’intero pianeta. Il racconto di Dick, oltre a cambiare il punto di vista, è inserito in un contesto bellico, una sorta di allegoria di un’ipotetica guerra tra Russia e Stati Uniti, calcando la mano sul senso di paura provato nei confronti di spie nemiche in patria. L’autore mette in luce l’enorme superficialità con cui le indagini e le accuse vengono portate avanti durante la storia, specchio di quelle stesse indagini e accuse portate avanti durante il periodo maccartista.
Philip Dick ha sempre avuto la capacità di filtrare la realtà tramite i mezzi concessi dalla fantascienza, quel substrato scientifico che permetteva alle sue teorie di assumere sostanza, realismo e di essere quindi ancora più sconcertanti, proprio a causa di tale contestualizzazione. Da molti è ricordato come un personaggio sopra le righe, ma le sue opere hanno sempre presentato una chiarezza e una lucidità anche nelle situazioni più assurde. Ed è ciò che ha permesso a Philip Dick di essere ricordato come un innovatore, un grande pensatore e, più di tutti, un grande scrittore di fantascienza.