Pig – Il piano di Rob (disponibile da febbraio su Now TV) è l’esordio alla regia di Michael Sarnoski, ma è soprattutto il film che non ti aspetti. Una sinossi apparentemente ridicola che ci prepara al disastro dell’ennesimo revenge movie in cui Nicolas Cage urla per 100 minuti. Ma non è così…
ig – Il piano di Rob destò estrema curiosità già dal rilascio del trailer e delle prime immagini. Un film in cui il protagonista interpretato da Nicolas Cage (il Rob del titolo italiano, appunto) è un ex chef conosciuto in tutto l’Oregon che da una decina d’anni vive come un uomo incolto e selvaggio, isolato nei boschi con un solo maiale a fargli compagnia e tramite il quale si sostenta. Si tratta infatti di un maiale da tartufi, e una volta procuratosi questi fantastici funghi ipogei, Rob li vende a un fornitore che a sua volta li smercia nei ristoranti di Portland.
Può una così strampalata sinossi di base dar vita a un film interessante? Questa è la scommessa dell’esordiente cineasta Michael Sarnoski, ma dietro questa trama apparente c’è molto altro.
- Leggi anche: Perché amiamo i film sulla Vendetta?
Le battute iniziali ci riportano ad un corollario dei revenge movie, con Cage che – tanto per cambiare – perde le staffe e inizia a urlare poiché una coppia di sbandati fa irruzione nella sua umile dimora, colpendolo ripetutamente e rubandogli il prezioso maiale, evidentemente su commissione.
Una maialina, anzi, preziosa per due motivi, per la necessità di procacciarsi i tartufi e, soprattutto – come scopriremo più avanti – perché le vuole bene.
Immaginiamo già il crescere iroso del protagonista, che come i tanti film di vendetta si mette alla caccia dei suoi nuovi nemici per fargliela pagare a caro prezzo.
“Tu non capisci, hanno ucciso il mio cane”, ripeteva fuori di sé Mark Wahlberg in Shooter. Qui non assistiamo a Nicolas Cage affermare “Non capite, hanno rapito il mio maiale”, ma sarebbe stato bello. Di fatto, tuttavia, la prima parte del film verte su questo leitmotiv, con il girovagare di Rob nei ristoranti e nei locali di Portland, accompagnato dal suo unico ma fidato cliente Amir (Alex Wolff). E già qui, le scene di un uomo consumato dalla vita, sporco e soprattutto col volto tumefatto dalla percosse e con sangue secco ormai ovunque, a bordo di una Camaro e al fianco di un giovane vestito di tutto punto, sono sequenze bislacche che ci fanno sorridere.
Ecco allora che non facciamo altro che aspettarci prima o poi Robin riuscire a mettere le mani sui rapinatori, e sfogare la sua brama di vendetta. Chiaramente urlando come un folle, marchio di fabbrica del Nicolas Cage degli ultimi 15 anni, più o meno.
E in effetti per oltre metà film l’attore dà vita una performance che sembra in linea con questa descrizione e con quanto atteso, salvo poi improvvisamente dar vita a un plot twist sconvolgente: Pig non è il film che credevate.
Niente vendetta, niente sangue schizzare a galloni, niente più urla, niente più tic a là Cage.
Il film muta in un baleno in un qualcosa di ben più profondo e inaspettato, lasciando nel cassetto le grida e tirando fuori il buon vecchio Cage riflessivo, che sa anche parlare piano o non parlare affatto.
Pig esce dal recinto di fango che sembrava costruito per lui e nel quale l’attore sarebbe finito nuovamente impantanato, e ci regala una seconda parte impostata su tema profondo e delicato come la capacità di metabolizzare la perdita e l’abbandono di qualcuno, o qualcosa di caro.
Cage gioca con noi, decostruisce pian piano l’immagine che ci dà, ancora una volta, nelle prime battute di Pig, sostituendolo con una versione magari meno efficace ma più matura di quell’attore che ci aveva regalato performance convincenti come The Weather Man o Leaving Las Vegas, tanto per dirne un paio.
Erano anni che non vedevamo Nicolas Cage a questi livelli, e sebbene Pig (da febbraio su Now TV) sia un’opera piuttosto lontana dal capolavoro, resta senza dubbio un esordio commovente, raffinato e interessante per Sarnoski, un regista dalle grandi potenzialità e di cui ci piacerebbe vedere ancora qualcosa, a breve.
La notizia più bella però è questo ritorno alla normalità per Nicolas Cage, proprio nel film sulla carta più improbabile per un cambio di passo e da cui ce lo attendevamo meno. Questa sì che è un’interpretazione, signor Cage.