In occasione dell’arrivo del manga nel nostro Pease, abbiamo guardato l’adattamento animato di Plunderer

Il mese di luglio, per tutti gli appassionati di animazione giapponese, sarà un mese da segnare in rosso un po’ su tutti i calendari disponibili.
Nelle prossime settimane, infatti, il palinsesto degli anime in onda si arricchirà di numerosi ritorni illustri, tra cui spiccano prodotti di primissima caratura quali la seconda parte della terza stagione di Sword Art Online, la quinta e presumibilmente ultima di Shokugeki no Soma (Food Wars!), la tanto attesa seconda stagione di Re:Zero, una delle più grandi sorprese degli ultimi anni, o ancora la seconda parte della quarta stagione di Haikyuu!, uno degli spokon di maggior successo che ritorna in un momento se vogliamo delicato per lo sport “reale” come una manna dal cielo.

Il mese però sarà particolarmente caldo non soltanto per gli arrivi anime, ma anche per alcune novità che riguardando il proprio “corrispettivo” cartaceo, ossia i manga, i manhwa e quant’altro, in alcuni casi direttamente legati tra loro. È il caso ad esempio di Plunderer, il cui adattamento animato dell’opera di Su Minazuki, serializzata in patria a partire dal lontano 2014 sulla rivista Weekly Shonen Ace, si è da poco concluso, proprio in concomitanza con l’arrivo della pubblicazione italiana del manga, prevista appunto per il prossimo 9 luglio.

Tale mossa ha dato la possibilità a molti di prendere conoscenza di un prodotto che sulle prime si mostra discretamente interessante e dotato di un buon potenziale, ma che nella prosecuzione della visione si è dimostrato non esente da diverse problematiche del caso che hanno palesato un lavoro qualitativamente altalenante che accompagna lo spettatore durante un po’ tutta la visione dei 24 episodi da cui è composta la serie.

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Kono sekai…

L’impronta narrativa di Plunderer, almeno sulle prime battute e nelle intenzioni iniziali, sembra molto promettente e ricca di potenziali spunti d’interesse. Nel distopico mondo di Alcia, nell’anno 305 del calendario alciano, la razza umana è dominata dai numeri, tratto distintivo di ogni individuo sin dalla sua nascita. Tale numero rappresenta quello che è fondamentalmente l’obiettivo più importante di una persona, e maggiore è il “conteggio” maggiore è automaticamente il grado sociale e l’agiatezza che ne conseguono per ogni individuo.

Chiaramente, qualora questo numero crolli fino al raggiungimento dello zero, la persona in questione finisce con l’andare incontro alla morte o, per meglio dire, per sprofondare nel misterioso Abisso. Su queste più che promettenti basi narrative, si snoda l’avventura di Hina, la dolce e strampalata protagonista della storia, caratterizzata da un numero – il 441 – situato in un punto che definiremmo abbastanza “sensuale” e che sta indicare il numero di chilometri (in realtà sono 441.000) per cui ha camminato, alla ricerca del misterioso “Asso”.

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Poco prima di finire risucchiata dall’Abisso, la madre della giovane protagonista le ha affidato infatti tale compito, accompagnato da una misteriosa sfera con sopra inciso il numero 10000. E lo ripetiamo: fino a questo momento, le premesse per ritrovarsi tra le mani un prodotto super interessante sono sempre più solide. Sfortunatamente, però, la trama inizia a sgretolarsi a poco a poco col passare degli episodi, che dopo le primissime puntate inizia a perdere pericolosamente la propria identità fino a diventare in alcuni passaggi inconcludente e poco a fuoco.

La vita di Hina cambia radicalmente quando incontra Licht Bach, un misterioso guerriero mascherato che sulla propria mano ha inciso un numero caratterizzato da un conteggio negativo. Per qualche strana ragione, che si paleserà soltanto con il passare degli episodi, l’uomo è immune all’Abisso e per tale motivo è ricercato dalle forze politiche, che hanno nel proprio palmo il destino degli abitanti di un mondo all’apparenza semplice ed accogliente ma che in realtà nasconde un volto incredibilmente spaventoso. Il caso vuole, però, che Licht sia proprio l’Asso che Hina stava cercando, o almeno uno degli Assi, considerati alla stregua di eroi leggendari che nel passato hanno salvato il mondo.

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Tutte queste informazioni vengono approfondite in maniera coerente ma confusionaria col passare del tempo, fino a portare lo spettatore a chiedersi in continuazione quale sia effettivamente il nocciolo della questione che, vuoi anche per la natura “incompleta” dell’anime, non riesce a dare quella doverosa sensazione di appagamento, e soprattutto mostra il fianco ad una sorta di carenza sotto il profilo dell’identità in generale, messa continuamente in discussione da un prodotto che in alcuni passaggi si smarrisce una volta di troppo.

Un cast… dimenticabile!

Ammettiamolo: accade veramente di rado, al giorno d’oggi, di riuscire a rimanere stupiti dalla volontà di osare da parte di molti autori, che soprattutto dal punto di vista del character design si lasciano sin troppo sedurre dal fascino del riciclo e degli stereotipi nel concepire le proprie opere. E, in tutta onestà, dopo aver visto Plunderer ci siamo ritrovati di fronte ad una situazione in cui entrambi i “difetti” sembrano incredibilmente unirsi tra loro, per un risultato finale tutt’altro che invidiabile.

Partendo dal protagonista, che tutto sommato si salva grazie ad alcuni artifici, come ad esempio l’utilizzo di maschere diverse in base allo stato d’animo (la questione maschere ha origini ben più radicate, che verranno esplorate durante il corso della stagione), che ricorda in modo anche troppo marcato sia per outfit sia per estetica in generale Dante di DMC, l’opera mostra il fianco ad un character design spesso e volentieri piatto, in cui i personaggi, per l’appunto, non si distinguono mai per qualsivoglia ragione.

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Ci è sembrato tutto un po’ troppo “già visto”, poco ispirato ma soprattutto poco originale, e questa sensazione non ci ha mai abbandonato nemmeno col palesarsi degli immancabili villain della storia, un’altra delle note dolenti dell’opera. Andando contro quelli che sono un po’ gli “obblighi morali” di ogni una produzione a tema, Plunderer pecca gravemente proprio sotto questo aspetto, ossia nella mancanza di antagonisti validi, che non riescono quindi a risollevare le sorti di un prodotto pressoché incapace di offrire al pubblico un numero di personaggi memorabili e più in generale con cui è possibile empatizzare.

Pecca molto sul piano del character design, Plunderer, ma non soltanto. A lasciarci perplessi è stata anche la mole di ambientazioni, davvero molto risicata e mai ispirata o iconica. Dimenticatevi, insomma, i paesaggi memorabili di uno o gli spettacolari combattimenti dell’altro: Plunderer porta avanti la sua natura estremamente “neutra” in cui tutto prosegue con uno stile sin troppo schematico e alienato.

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A compromettere non poco la godibilità generale dell’anime, ci pensa poi un adattamento che durante i 24 episodi della programmazione vive di troppi momenti morti e soprattutto di situazioni riempitive, fattore che incide pesantemente su un ritmo altalenante e disomogeneo. Sia chiaro, non ci siamo mai veramente annoiati, ma ciò è dovuto più che altro alla vena eccessiva e volutamente esagerata, con tanti richiami di stampo ecchi (forse troppi). Per il resto, Plunderer non hai mai mostrato particolari spunti interessanti o frame in qualche modo memorabili.

Plunderer: un adattamento sottotono

La stessa natura altalenante dell’opera base, si riscontra nell’adattamento in sé, un po’ allo stesso modo relegato ad uno status qualitativo tutto sommato standard.

La trasposizione animata, curata dallo studio Geek Toys e distribuita nel nostro Paese in modo del tutto gratuito sul canale YouTube ufficiale di Yamato, è dunque di buon livello, in particolare per quanto riguarda la vena cromatica, senza ombra di dubbio l’elemento più riuscito dal punto di vista tecnico. I colori sono infatti vivi, accesi, incredibilmente saturi, e nascondono in qualche modo quello che è un tratto tutt’altro che preciso e omogeneo, e in generale una veste “grafica” decisamente poco ispirata.

A compromettere il tutto ci pensa poi un lavoro davvero troppo abbozzato ed eseguito con sufficienza sotto il profilo delle animazioni il che, trattandosi di un’opera fondamentalmente di stampo shonen di combattimento, è una mancanza piuttosto evidente. In alcuni passaggi in particolare ci è sembrato che la cura generale per alcuni dettagli venga messa troppo in secondo piano per offrire una resa estetica complessiva più credibile, ma la missione, ci sentiamo di dire, è in parte fallita, poiché ogni singolo combattimento pare essere un mero copia e incolla di quello precedente, con i personaggi che sembrano possedere un numero risicato di animazioni corporee ma anche facciali ed espressive.

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Plunderer non ci ha stupito, dunque, nemmeno da questo punto di vista, ma la sua conversione animata si risolleva grazie ad un ottimo lavoro sul doppiaggio (ma non la localizzazione, non esente da diversi svarioni di sorta), che nella maggior parte dei casi risulta convincente e soprattutto consono. Le voci sembrano sposarsi molto bene coi volti interpretati, e per quanto possa sembrare semplice, vi assicuriamo che non lo è.

Molto carina, infine, la colonna sonora, su cui spicca la bellissima opening (della prima metà di stagione) omonima interpretata dalla famosa popstar nipponica Miku Itou, che ci ha strappato un sorriso in più di un’occasione.

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Vogliamo subito liberarci del proverbiale elefante nella stanza: Plunderer ci ha delusi? La risposta è sì, ma non del tutto. Qualche spunto di interesse c’è, e in generale la visione rimane nel complesso godibile, ma l’assenza di una trama forte alle spalle e di villain di un certo spessore si fa sentire fin troppo.

A complicare il tutto ci pensa una narrazione eccessivamente frammentaria, che nella seconda parte dell’opera si perde completamente, offrendo così una storia che ad un certo punto non sembra più ricordarsi le proprie origini. Si salva soltanto in parte l’adattamento animato, che pecca soprattutto dal punto di vista di animazioni troppo elementari e disomogenee, ma che viene aiutato da un buon comparto sonoro e da un doppiaggio di tutto rispetto. Nel complesso, dunque, se dovessimo dare una valutazione numerica potremmo affermare che Plunderer si avvicini alla sufficienza, seppur non riesca a raggiungerla sotto quasi nessun aspetto.

Salvatore Cardone
Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.