Brain Structure, il podcast di Hideo Kojima, ha esordito con un primo episodio su Spotify dedicato a Metal Gear Solid e a Death Stranding. Ma ne vale la pena? La risposta è sì.
hi ha ascoltato l’ultima puntata di Gaming Wildlife dedicata alla Gamescom, avrà notato che l’aspetto che più ci è rimasto impresso è stato poter tornare a parlare a tu per tu con chi i videogiochi li sviluppa. Riuscire a dare un volto a un titolo, capirne il processo creativo (e non solo), permette di comprendere meglio un medium tanto complesso e variegato quale il videogioco. Ecco perché per me l’annuncio del podcast di Hideo Kojima, Brain Structure, rappresenta un’ottima notizia.
Annunciato durante la Gamescom Opening Night, il podcast ha esordito l’8 settembre scorso su Spotify a livello internazionale. Oltre alla versione giapponese, vi è infatti una versione inglese, in cui in sostanza un traduttore parla sopra la voce di Hideo Kojima. Quest’ultimo risponde a delle domande poste da una voce femminile robotica.
Questa soluzione, per quanto funzionale per un pubblico globale, fa perdere un po’ al progetto l’aurea accogliente e naturale tipica del podcast. Anche perché, il game director giapponese ha più volte dimostrato di avere grande capacità analitica e comunicativa nell’interpretare la vita reale e quella finzionale della cultura pop. Lo ha dimostrato, oltre che nei suoi giochi, in quel libro meraviglioso intitolato Il gene del talento e i miei adorabili meme.
Altro elemento che altera l’essenza del progetto è l’intrusione di Geoff Keighley, l’ideatore dei The Game Awards, che a quanto pare avrà uno spazio fisso dedicato alle novità dal settore. Sapere quindi di dover sentire un mero megafono del marketing videoludico in un podcast dedicato alla creatività individuale fa storcere il naso.
Al di là di queste precisazioni, che possono racchiudersi nella sfera soggettiva, il primo episodio del podcast di Hideo Kojima è incentrata sullo sviluppo del primo Metal Gear Solid e di Death Stranding. L’idea di puntare su un genere bistratto come lo stealth quando il mercato degli anni Novanta prediligeva l’action e lo sparatutto; la sfida di andare persino oltre con Death Stranding e creare un concept di gioco basato sulle consegne quando nessuno ci credeva – e ci crede, mi permetto di aggiungere; le ispirazioni dietro al personaggio di Solid Snake (per chi non se lo ricorda, Snake Plissken di Fuga da New York doppiato da David Hayter); come cambia lo sviluppo videoludico con l’avvento di PlayStation e della grafica 3D. Tanti i temi emersi durante i 25 minuti di podcast.
Per me la parte più interessante è rintracciabile nella prima risposta su Metal Gear Solid, quando il game director giapponese spiega quanto sia difficile andare oltre uno dei concetti predominanti del videogioco, ovvero sentirsi invincibili attraverso il/la protagonista, spesso perché armato/a. Eppure, nelle sue produzioni, Kojima ha cercato più volte di andare oltre a questo schema, il tutto basandosi su un semplice cambio di prospettiva.
Brain Structure è un modo per rendere più umano il mito kojimiano. Quando ha annunciato il suo podcast in arrivo su Spotify, parte del pubblico, se non addirittura della stampa, ha subito gridato alla tipica “trollata di Kojima”. Come può essere “una trollata” un tentativo di umanizzare ed estendere il discorso attorno al videogioco e a chi ci lavora? Siamo in un momento storico in cui la narrazione del medium vuole andare oltre alla frenetica staticità che guarda alla massa, ai numeri, ai consumo, a favore di metodi e nuove forme che si concentrano sui retroscena, sull’analisi effettiva, sull’individuo e le sue idee. Per questo un podcast di Hideo Kojima non può essere che un segnale positivo per l’intero settore. Per cui, la risposta da dare al titolo di questo articolo non può essere che una sola: sì.