Power Rangers, tra America e Giappone
Alzi la mano chi di noi non ha mai visto, almeno una volta, i Power Rangers in televisione, magari appena tornati da scuola, seduti davanti alla TV con pane e Nutella in una mano e un succo di frutta nell’altra. Le avventure dei cinque eroi colorati costituivano un must per gran parte dei ragazzi che li videro sbarcare, per la prima volta, su Italia 1 nel 1993. Non è scontato capire quale fosse il fascino di una serie che, rivista oggi (con occhio critico), appariva già per allora abbastanza datata. Forse riuscì a trovare terreno fertile in quella generazione di ragazzi che, nata a metà anni ‘90, era riuscita per il rotto della cuffia a godersi le ultime eco dell’epoca d’oro dei robottoni. O forse era stato tutto merito di un’efficace campagna pubblicitaria. Non a caso, la nascita dei Power Rangers può essere fatta risalire quasi esclusivamente alle vendite di merchandise, ma è bene andare con ordine.
Ma cerchiamo di fare un passo indietro per conoscere meglio la lunghissima storia dietro a questo fortunato franchise che, ad oggi, vanta 25 serie.
La serie nasce in Giappone, come ormai la stragrande maggioranza dei fan saprà bene, ma quello che molti non sanno è la sua appartenenza a un genere, il super sentai (スーパー戦隊 sūpā sentai, letteralmente “super squadre”) che aveva trovato terreno fertile nella terra del Sol Levante sin dal 1975, quando Shōtarō Ishinomori creò la prima versione di Himitsu Sentai Goranger. L’idea era quella di far recitare ad attori in carne e ossa una storia che ricalcasse le trame degli anime a tema mecha e shonen, affidando a stuntman in costume la battaglia finale tra il mecha di turno e il “kaiju”. Spesso, alla parte action vera e propria si univano temi differenti, da tematiche adolescenziali (come le relazioni che potevano nascere tra i membri della squadra o con altri personaggi dello show) a quelle più serie, come la morte e la malattia. Poteva capitare, infatti, che i ragazzi della formazione iniziale morissero in battaglia, venendo sostituiti nel corso della serie da nuovi interpreti.
Già da questa prima produzione, i tratti salienti del genere erano quelli che si sarebbero protratti per tutti le trenta stagioni dello show: un gruppo di ragazzi (solitamente cinque) riceve dei poteri di natura mistica o tecnologica, allo scopo di combattere una minaccia che rischia di annientare l’umanità. Guidati da una figura di riferimento saggia e potente, i cinque si trovano ad affrontare di volta in volta una serie di nemici sempre più forti, imparando a collaborare come squadre e applicando ai problemi della vita di tutti giorni quanto hanno appreso sul campo di battaglia. In questo schema rientrano anche la presenza di armi particolari e mezzi di trasporto che, nel tempo, sono diventati iconici, destinati a unirsi per distruggere una versione potenziata e ingrandita del mostro di turno.
Sembra poca cosa, ma la presenza di attori in carne e ossa trasportò immediatamente le stesse situazioni presenti in Jeeg e Mazinga su un piano completamente diverso, più reale e attuale di quanto non fosse mai stato prima. Il successo di questo genere fu tale che anche personaggi importati finirono per ricadere in questo schema (avanti, è da quando avete iniziato l’articolo che state pensando a Supaidamen e a Leopaldon!). È in questo prolifico filone che si inserisce la serie del 1992, Kyōryū sentai Juranger, sedicesima stagione di quel Himitsu Sentai Goranger di cui abbiamo parlato poc’anzi. In questo caso, a causa della liberazione della sterminatrice dei dinosauri, la malvagia strega Bandora, il mago Barza risvegliava dal loro sonno cinque giovani guerrieri appartenenti ad altrettante popolazioni preistoriche, legate a doppio filo agli animali preistorici e agli elfi (non chiedete…).
Fu allora che la Saban Entertaiment, specializzata nell’importare sul suolo Americano diverse produzioni giapponesi e non solo, intravide le potenzialità della serie. Ci si può interrogare sul perché siano stati necessario diciotto anni per compiere questo passo, ma banalmente la risposta si può trovare nella moda che imperversava negli States in quel momento: i dinosauri! Pochi anni prima (1990) era uscito il best seller di Michael Crichton Jurassic Park, cui era seguito l’omonimo blockbuster movie di Stephen Spielberg. In un momento in cui tutti i bambini giocavano con i dinosauri, l’idea di portare in America un franchise che vedeva cinque robottoni a forma di animale preistorico unirsi per creare un gigantesco mecha deve aver fatto venire gli occhi a “simbolo del dollaro” agli investitori della Saban.
Qui, però, si presentava un grande ostacolo per i produttori: come poteva piacere al grande pubblico una serie con protagonisti cinque ragazzi giapponesi, ambientata nella terra del Sol Levante? La risposta è semplice: non poteva! Oltretutto, le serie giapponesi per le fasce di pubblico più giovani, spesso si dedicavano anche a tematiche più crude, come le già citate morte e malattia. I sentai potevano anche morire in battaglia, cosa difficile da accettare per le mamme e i papà occidentali che dovevano approvare le serie per i loro pargoli.
Fu così che i Kyōryū Sentai Rangers diventarono i Power Rangers. Per ovviare a questi enormi problemi di adattamento, la soluzione scelta fu drastica: scritturare dei nuovi attori e girare da zero tutta la serie. Così i cinque rappresentanti delle antiche tribù divennero teenager americani, Tokyo divenne Angel Grove e il saggio mago Barza scomparve per far posto a Zordon e al robottino Alpha 5, cui si aggiungevano i due comprimari Bulk & Skull. Tutto fu cambiato? Beh, no. La strega Bandora, pur chiamata col nome sfortunatissimo Rita Repulsa, rimase al suo posto con i suoi gregari. Oltre a questo le scene di combattimento, dove i protagonisti originali indossavano un casco che ne celava le origini nipponiche, rimasero inalterate. Con tutti i problemi che sarebbero derivati da questa scelta. Le movenze dei nostri eroi, nonostante il montaggio statunitense li avesse resi cinque tipici liceali USA, una volta indossato il casco e la tutina colorata restavano inconfutabilmente giapponesi.
Oggi, rivedere i movimenti enfatizzati dei Rangers all’interno degli episodi fa un po’ sorridere. Essendo la serie fortemente ispirata agli anime, dove sia dialoghi che gestualità dei protagonisti tendono ad essere molto marcati, la cesura tra le scene di lotta e quelle di trama, in cui i nostri protagonisti non indossavano le loro tutine colorate, era estremamente marcata e, talvolta, straniante. Al di là di ciò, rivedendo gli episodi privati della sospensione d’incredulità che avevamo da bambini… davvero nessuno notava che le città sfondo della lotta contro i nemici mandati da Rita Repulsa erano Tokyo e dintorni?
Il prodotto però, nonostante tutto, funzionò. La serie, trasmessa dal network FOX, ottenne un ottimo successo, corroborato dalle entrate del merchandise: era difficile per un bambino non rimanere affascinato di fronte a cinque robot dalle sembianze preistoriche che si assemblavano per diventare un unico gigantesco robottone da combattimento. Inutile negarlo: l’arrivo degli Zord era il momento della serie che tutti gli spettatori, grandi e piccini, attendevano, per vederli poi assemblarsi e diventare il potentissimo Megazord.
Nonostante i cambi di network e la cessione dei diritti da parte di Saban (riacquistati nel 2010), la serie ha mantenuto un’enorme successo nel tempo, al punto che, nel 2018, è già stata annunciata la produzione di quella che sarà la ventiseiesima stagione del format. Ogni nuova iterazione ha portato con sé nuovo merchandise da poter mettere sul mercato: nuove formazioni di eroi, nuovi sfondi e ambientazioni, dal Giappone feudale all’Antico Egitto, tornando anche una volta a riprendere il tema portante dei dinosauri. E intanto al cinema è arrivata la nuova pellicola dedicata ai Rangers, ultimo capitolo di un franchise che non sembra minimamente intenzionato a spegnersi.
Ma per i fan italiani, quelli che iniziarono a seguire la serie a cavallo tra il 1993 e il 1994, inutile negarlo, i Rangers resteranno per sempre quei cinque (poi divenuti sei) ragazzi di Angel Grove che andavano a bersi il milkshake insieme nella palestra locale, evocando il potere di animali totemici e imprimendosi a fuoco nel nostro immaginario di bambini sognatori.